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28 agosto 2022
di Massimo Basile

Pavarotti sulla Walk of Fame

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La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi e un centro di riabilitazione per tossicodipendenti. L’Ave Maria di Franz Schubert e il cartello appeso al lampione che promuove una scuola di rock. La musica, le stelle, la lirica a due passi dalle alette di pollo fritto di Buffalo Wild Wings, il Nirvana e la strada per il Wattles Garden Park. Trovare nella stessa frase lirica le alette di pollo poteva succedere solo parlando di Hollywood, questo perenne luogo obliquo, diverso da tutto il resto, a nord di Los Angeles, dove, come diceva Marylin Monroe, pagano migliaia di dollari un bacio e cinquanta centesimi per prenderti l’anima. Qui anche chi siede al pub ordinando una birra, ti guarda con aria di sfida a riconoscerlo, atteggiandosi a misteriosa star anche se forse è un disoccupato o un aspirante gigolò. Ma se parli con uno a caso che incroci per le strade di Hollywood Boulevard potrebbe avere centomila follower, perché questo è l’unico posto al mondo dove il successo è routine, l’aria sembra dorata e le celebrità e il marciapiede sono tutt’uno.

Dal 24 agosto 2022 vale anche per Luciano Pavarotti, il cui nome è stato impresso per sempre al numero 7065 di Hollywood Boulevard sulla stella numero 2730 della città del cinema. Il nome del grande cantante è stato messo a pochi passi dalla scalinata di mattoni rossi che porta alla sede di un’organizzazione che aiuta persone in difficoltà. Niente succede per caso. Nella motivazione, enunciata dalla produttrice della Hollywood Walk of Fame, Ana Martinez, si parla di Pavarotti come “leggendario Maestro, la cui voce ha trasceso le generazioni, dono per il mondo e una leggenda per l’eternità”. Il Grande Italiano è stato uno dei cantanti lirici più iconici di sempre, capace di conquistare il pubblico di tutto il mondo lungo una carriera di quasi mezzo secolo, dal ’61 al 2004, dalla Wiener Staatsoper alla Royal Opera House Covent Garden, dal Teatro alla Scala al Metropolitan Opera House, sempre conquistando un pubblico nuovo e nuovi spazi, dal Madison Square Garden a Central Park.

La lirica con Luciano Pavarotti è diventata rock

La lirica con lui è diventata rock. Spettacolo universale. Pavarotti resterà la voce che nel ’90 cantò davanti a 800 milioni di telespettatori collegati da tutto il mondo per seguire il Concerto dei Tre Tenori alle Terme di Caracalla. Resterà l’artista dei cinque Grammy, the Grammy Legend Award, due Emmy e un treno di altri premi. Ma la sua collocazione al numero 7065 racconta simbolicamente della sua umanità. La figlia Cristina, che ha portato una testimonianza emozionante all’inaugurazione della stella, ha ricordato le “ore passate a firmare autografi per non scontentare nessuno”, nonostante il padre fosse stanco e affamato dopo un concerto, e la volta che alle audizioni degli allievi, intimiditi dalla sua presenza, il Maestro offriva un bicchiere d’acqua e una battuta per allentare la tensione.

Pavarotti, racconta chi lo conosce bene, “cantava in modo meraviglioso perché aveva dentro la meraviglia di un carattere dolce”. Nel ’98 era stato nominato dall’Onu Messaggero di Pace. Insieme alla sua grande amica, la principessa Diana, aveva raccolto fondi per l’eliminazione delle mine antiuomo. Ogni anno a Modena ospitava concerti di beneficenza. Ha cantato per tutti, i grandi della Terra e gli ultimi, per principi e leader mondiali e per le vittime della Bosnia, Guatemala, Kosovo e Iraq. Nel 2001, sei anni prima di scomparire all’età di 71 anni, il tenore aveva ricevuto la medaglia Nansen dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i suoi sforzi nella raccolta di fondi a favore dei rifugiati di tutto il mondo. Attraverso i suoi concerti aveva raccolto più di un milione e mezzo di dollari. Pensare che da ragazzo era combattuto se continuare a cantare o fare il calciatore. E nell’82 aveva tentato una sortita nel cinema, nella commedia romantica “Yes, Giorgio”, salvo poi essere stroncato dalla critica. Il suo “posto” era nella voce, dunque da nessuna parte e allo stesso tempo ovunque.

La motivazione: "Leggendario Maestro, la cui voce ha trasceso le generazioni, dono per il mondo e una leggenda per l’eternità"

E quella voce, che la figlia Cristina dice l’ha aiutata a “volare in alto in alto”, l’ha portato lungo questo tratto della Boulevard di Hollywood, dove si leggono i nomi di altri italiani, alcuni scomparsi e altri no, i cantanti d’opera Licia Albanese, Renata Tebaldi, Enrico Caruso, Beniamino Gigli, Andrea Bocelli, il regista Bernardo Bertolucci, le attrici Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Anna Magnani, i direttori d’orchestra Arturo Toscanini e Annunzio Paolo Mantovani, il maestro Ennio Morricone. E con loro gli italoamericani, da Tony Bennett a Nicolas Cage, Frank Capra, Danny DeVito, Giancarlo Esposito, il “genovese” Henry Fonda,  la “toscana” Susan Sarandon, il “palermitano” Martin Scorsese, Anjelica Huston, figlia della ballerina Erica Soma, e poi Dean Martin, Joe Mantegna, Frank Sinatra, Sylvester Stallone, John Travolta. Tutti accomunati da una luminosa stella rosa bordata di bronzo e incastonata sul marciapiede, nella città che ti invita a guardare a terra e poi a sollevare lo sguardo, in cerca di qualcosa, senza ben sapere cosa, e magari trovare un giovane tenore all’angolo di LaBrea Avenue intonare un Ave Maria in onore del Maestro. Perché a parte la vita, di Pavarotti è rimasto tutto. 

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