Compie diciotto anni, si è chiamata in principio Festa Internazionale del Cinema di Roma (così volle il presidente-maiueuta Goffredo Bettini, a evocare il clima allegro e partecipativo da parte dei cittadini e distinguersi dal blasone trinariciuto di Venezia e di Cannes), poi Festival Internazionale (e qui l’input da intellettuale fu di Gian Luigi Rondi, che lo presiedette dal 2007 al 2011), quindi, dal 2015 e ancora oggi Festa del Cinema e basta, senza fronzoli. Mai è cambiata la location, quell’Auditorium Parco della Musica (ora intitolato a Ennio Morricone) che permette al tappeto rosso di srotolarsi per sessanta metri e ai fan dei divi di affastellarsi dietro le transenne, mentre i paparazzi si appostano sulla scalinata della cavea e chiamando star e starlette per nome scattano foto a raffica, come si conviene.
Le cupole delle tre sale disegnate da Renzo Piano – i “bacarozzi”, li chiamano i romani – sfumano la seriosità mentre il pubblico prende posto e attori-registi-produttori di ciascuna pellicola si sistemano nella fila centrale delle poltrone rosse. Poi, silenzio, buio in sala e la magia del cinema si invera dopo che sullo schermo è apparso il logo rosso della manifestazione, dove è stilizzato un lupetto.
“C’è ancora domani” ripete come un leit motiv Paola Malanga, da due edizioni direttrice artistica della kermesse capitolina (lei è milanese). Prende a prestito il titolo di uno dei tre film italiani in concorso, quello di Paola Cortellesi (gli altri due sono di Roberta Torre ed Edoardo Gabriellini), che esordisce dietro la macchina da presa. Perché, ha messo in chiaro Malanga, non è per niente vero che il cinema sia in crisi, in quanto è l’arte per eccellenza capace di cogliere i mutamenti. E infatti l’estate cinematografica lo ha dimostrato, riempiendo le sale come mai con titoli importanti, “Barbie” e “Oppenheimer”.
Del resto, Gian Luca Farinelli, che viene dalla Cineteca di Bologna e da un anno è presidente della manifestazione, quantifica in 70 mila gli spettatori che hanno affollato nei mesi caldi le sette arene di Roma e la Casa del Cinema, con l’acme della presenza di Martin Scorsese. Insomma Festa del Cinema diffusa e spalmata al di là dei giorni ufficiali di proiezioni/concorso. Che quest’anno sono diventati dodici, dal 18 al 29 ottobre, uno in più. Incontri con il pubblico (Paso Doble, dialogo di due autori, e Absolute Beginners, rievocazione dell’esordio da parte di un cineasta affermato), caciara lungo i viali dell’Auditorium con le postazioni Rai, i dj, spritz & patatine, le vetture dello sponsor Nissan che portano gli ospiti fin a ridosso della passerella dove affondare i tacchi a spillo, le mani tese per il selfie che ha quasi rimpiazzato l’autografo.
Farinelli ha promesso sul red carpet Juliette Binoche e Monica Bellucci, Isabella Rossellini e Alba Rohrwacher, Margherita Buy e Valerio Mastandrea, Jasmine Trinca e Antonio Albanese, Valeria Bruni Tedeschi e Justine Triet, Christian De Sica e Michele Riondino, debuttante alla regia. Con buona pace dei divi statunitensi e di quelli che americani non sono ma in Usa lavorano, in disparte per l’epocale sciopero che li accomuna agli sceneggiatori e alle altre maestranze contro Chat Gpt, algoritmi, compensi non adeguati ai guadagni delle piattaforme.
Diciotto i film del concorso ufficiale (“Progressive cinema – Visioni per il mondo di domani”, si intitola). Poi quelli di “Alice nella città”, la sezione dedicata ai giovanissimi che propone tra gli altri due episodi di “Mare fuori 4” e il poetico “Il ragazzo e l’airone” di Hayao Miyazaki. Ancora, i segmenti non competitivi: “Freestyle” (dalle serie ai videoclip alla video arte); “Grand Public” (proiezioni per il grande pubblico, appunto, come “Diabolik chi sei?” dei fratelli Manetti), “Best of 2023” (alcuni tra i migliori titoli dell’anno provenienti da altri festival che in alcuni casi non hanno ancora distributore); “Storia del Cinema” (capolavori restaurati, e qui ci sono anche “Callas Paris 1958” di Tom Wolf, l’ultimo delizioso Gregoretti, il thriller 1960 “L’occhio che uccide”, due episodi de “Il camorrista”, serie inedita di un giovane Giuseppe Tornatore, “Ciao Ni’” di Renato Zero).
Come districarsi in tanta abbondanza? Malanga ha segnalato alcuni temi. Le donne, che potrebbe avere come sottotitolo il coraggio. Per esempio, quattro attrici esordiscono alla regia, ed è un fatto non un inchino alle quote rosa. Se a Venezia ha presentato la sua opera prima Micaela Ramazzotti, a Roma lo fa Paola Cortellesi (“C’è ancora un domani”, film d’apertura dove è pure protagonista, bianco e nero ambientato negli anni Quaranta, un marito violento, Mastandrea, una moglie “underdog” per dirla alla Meloni). Anche Margherita Buy dietro la macchina da presa con una commedia sull’ansia,“Volare”, poi Kasia Smutniak (“Mur”, documentario sul muro eretto dalla Polonia per respingere i rifugiati) e Giovanna Mezzogiorno (“Unfitting”, un corto sul body shaming con Ambra Angiolini e Fabio Volo).
Ma c’è anche Roberta Torre con “Mi fanno male i capelli” che non è un film su Monica Vitti, sostiene contro ogni evidenza Malanga, sia perché il titolo è una celebre battuta di “Deserto Rosso”, sia perché la protagonista si chiama Monica ed è una Alba Rohrwacher che perde la memoria e si aggrappa per vivere alla identificazione con l’attrice romana, parla con Antonioni, Sordi, Mastroianni, amorevolmente assecondata dal marito, interpretato da Filippo Timi. E poi il Leone alla carriera, assegnato a una anticonvenzionale Isabella Rossellini, attrice, modella, regista, infine appassionata e studiosa degli animali, che interpreta travestendosi da ape oppure da balena.
La musica è un ulteriore filone. A partire dall’altro Premio alla Carriera, che va a Shigeru Umebayashi, autore di alcune delle colonne sonore più iconiche del cinema mondiale, come “Hannibal Lecter – Le origini del male” di Peter Webber e “In the Mood for Love” di Wong-Kar-wai che verrà riproiettato durante la Festa. Zucchero è protagonista di un documentario, Trudy Stiler presenta un viaggio a Napoli zeppo di musica (e porta alla Festa il marito, Sting), la meglio gioventù di Sarajevo assediata nel ’97 avrà il conforto nel live degli U2.
Ai concerti con inediti incontri (Salmo e Noyz insieme a Dario Argento e il mitico David Steward con Greta Scarano e i Mokadelic) si aggiunge un omaggio a Giorgio Gaber e qui il filo rosso della musica devia verso il teatro: evento speciale per Emma Dante con “Misericordia”, quella che bisognerebbe offrire a tre donne che sopravvivono lavorando a maglia di giorno e vendendosi di notte, o la rievocazione di Albertazzi nel centenario della nascita. La letteratura ha il suo spazio: Francesca Archibugi ha basato il suo nuovo lavoro su “La Storia” di Elsa Morante (Asia Argento ed Elio Germano tra i protagonisti), Genovese dal best seller di Stefania Auci sulla famiglia Florio ha firmato la serie “I leoni di Sicilia” con Miriam Leone.
La Festa di Roma inquadra anche sul grande schermo la Capitale. È lo sfondo di “Nuovo Olimpo”, la pellicola di Ferzan Ozpeteck su due giovani (Damiano Gavino e Andrea Di Luigi, altri interpreti Luisa Ranieri e Aurora Giovinazzo) che si incontrano negli anni Settanta, si innamorano, si perdono e si ritrovano trent’anni dopo. “Roma nuda e santa” è invece tutta in notturna e nelle sue strade si aggirano come flaneurs Daniele Ciprì, Marco Giusti e Roberto D’Agostino mettendo a nudo in modo definitivo l’anima della città. Che è anche nella risata fragorosa di Anna Magnani che pare risentire nell’immagine ufficiale della kermesse.
Ha appena vinto l’Oscar per “La rosa tatuata” (è il 1956) e all’Excelsior di via Veneto dove è andata la mattina dopo aver ricevuto la notizia è attorniata dai flashes dei paparazzi, anche da quello di un giovanissimo Lello Bersani. Lei però gira loro le spalle, le preme soprattutto guardare il pubblico e mostrare il fazzoletto che tiene steso tra le mani: ha al centro il disegno di una rosa. Nel cinquantenario della scomparsa di Nannarella è giusto che la sua faccia schietta invada quella che è stata chiamata la Hollywood sul Tevere.
25 settembre 2024