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16 febbraio 2023
di Guendalina Dainelli

Le mani di Lorenzo Quinn

La scultura di Lorenzo Quinn 
La scultura di Lorenzo Quinn 
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Dice che ha già vissuto quattro vite. L’ultima in Spagna, dove ha sede in suo atelier. Almeno due negli Usa, tra l’infanzia a Los Angeles e gli studi all’American Academy of Fine Arts in New York. E una in Italia, tra Roma e Venezia, di cui sono originarie le donne della sua vita: la mamma, l’attrice e costumista Iolanda Addolori e la moglie Giovanna Cicutto, madre dei suoi tre figli. Ma a giudicare dal successo registrato nel mondo arabo, dall’ Egitto al Golfo, si direbbe che è già iniziata anche la quinta fase della sua vita.

Quando ci sentiamo al telefono, Lorenzo Quinn, artista e scultore italoamericano, è in partenza dall’aeroporto di Doha, in Quatar, per tornare negli Emirati Arabi Uniti. A Dubai, infatti, è ora possibile vedere molte delle sue opera. Nella Galleria Leila Haller, la mostra ‘Now and Forever’ espone anche suoi gioielli insieme alle sculture, mentre il DIFC Sculpture Park, la galleria d’arte oper-air che si allunga accanto all’iconico Gate Building, presenta diverse delle sue inconfondibili creazioni dalla vena surrealista, ispirata a Salvador Dalì.

Proporzioni monumentali, intreccio di mani, titoli semplici e immediati sono la sua firma

Proporzioni monumentali, intreccio di mani, titoli semplici e immediati sono la sua firma: “Give”, mani che si uniscono creando l’immenso vaso di un albero, già esposta al Giardino di Boboli a Firenze; “Love Dubai” la scritta metallica che allude al tema della “tolleranza” tanto sentito negli Emirati Arabi e “Together”, intreccio di mani giganti in rete di metallo, già esposta di fronte alla piramide di Giza, sito Unesco, in occasione della esibizione Forever is Now Exhibition del novembre 2021. Ora l’istallazione sarà il monumentale arco d’ingresso al parco.

“Non è facile curare la logistica delle mie opera, queste arrivano fino a 12 metri di lunghezza, sono arrivate in parte in nave e in parte in aereo - dice Quinn – In Quatar sono esposte tante mie sculture pubbliche e sono felice di avere la possibilità di esporre anche a Dubai, dove ho già prodotto molto per diversi privati. Credo che qui nel Golfo sia piaciuta la semplicità del mio messaggio, che vuole essere chiaro per chiunque.  Tutto ciò che diciamo e facciamo nella vita ha un effetto a catena e altera per sempre il corso degli eventi. Nel mondo privato, a livello internazionale, nel rapporto con l’ecosistema. Cerco di creare un'onda positiva, quando uniamo le nostre mani per sempre, come nelle mie opere, possiamo essere l'onda di questo cambiamento.”

Un cognome che pesa quello di Lorenzo, figlio della star di Hollywood Anthony Quinn. Sui social media racconta la sua infanzia da sogno a Bel Air, dove ancora bambino scorazzava in bicicletta nei giardini dei vicini di casa, del calibro di John Wayne, Kirk Douglas, Jerry Lewis. “Sono fiero di essere figlio di una leggenda. Ho imparato molto da lui. Mi occupo di arte da oltre 35 anni e lui è morto quando ne avevo venti, quindi non ha visto molto di quanto ho prodotto ma mi sosteneva. Certo, il mio cognome è un’arma a doppio taglio, non ci si possono permettere errori.”

Sono fiero di essere figlio di una leggenda. Ho imparato molto da lui

E se il suo cognome è noto, ancora di più lo sono le due gigantesche mani bianche in spuma riciclabile (nove metri di altezza), che durante la Biennale del 2017 fuoriuscivano dall’acqua del Canal Grande e sostenevano il Palazzo Cà Sagredo. Il titolo era, appunto, “Support”, un appello ad aiutare le meraviglie storiche della Laguna contro le minacce dei cambiamenti climatici. “Si dice sia stata condivisa sui social fino a due miliardi di volte, un apprezzamento di pubblico davvero incredibile”. Certamente un’opera che è diventata un simbolo della lotta al cambiamento climatico, con diverse repliche più piccole adottate dalla COP 25 di Madrid. E sempre a Venezia, due anni dopo, Quinn è tornato in Biennale con Building Bridges, sei coppie di mani a guisa di ponte sull’Arsenale di Venezia, simbolo di “tutto quello che ci unisce” aveva detto l’artista. Opere che si sono imposte, catturate in infiniti scatti fotografici, seppur estranee al circuito ufficiale della Biennale.

Qualche nota pungente è arrivata invece dalla critica di settore. Forse opere troppo “ingombranti”? “Le critiche costruttive sono sempre utili, non si può piacere a tutti, ma sono contento che siano piaciute molto al grande pubblico e soprattutto ai veneziani. Come ripeto, erano opera per Venezia, per la città. E sicuramente tornerò a Venezia, sto preparando qualcosa che mi sta molto a cuore. Ho sempre partecipato da esterno, ma questa volta mi piacerebbe far parte della Biennale. Deve essere presentato un progetto che deve essere accettato. Vediamo. In ogni caso, non è tutto positivo, ci sono delle regole da seguire. Fino a ora ho goduto di molta libertà.”

Certo è che la fonderia di Quinn, a Barcellona, lavora a pieno ritmo. Sui social l’artista ama raccontare le sue giornate all’interno del suo hangar intento nelle operazioni di fusione, colata, formatura e poi alle prese con pialle, levigatrici, lucidatrici. “Il Golfo è un’area del mondo che intende investire molto nella cultura e in cui succedono tante cose. Qui si passa dalle parole ai fatti. Tanti dei temi trattati sono profondamente miei, dalla fratellanza, alla tolleranza, alla lotta collettiva al cambiamento climatico. Guardo alla prossima Cop28 di Dubai con molto interesse. E sono certo che anche l’arte avrà tanto da dire a riguardo”.

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