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7 marzo 2025
di Lidia Lombardi 

Viaggiare in Sicilia significa... 

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«In Sicilia non conoscerai un paesaggio ma innumerevoli paesaggi, non solo un mare ma un susseguirsi di mari, non una civiltà ma più civiltà. Troverai i segni della potente Roma a Catania, della democratica Atene a Siracusa, Bisanzio a Palermo, Madrid a Messina, Londra a Marsala, tutte differenti e multiformi civiltà, accatastate le une sulle altre in una sola. Viaggiare in Sicilia equivale a sprofondare nell’abisso dei secoli, fino alle costruzioni megalitiche di Taormina, Segesta, Selinunte e Agrigento, incontrare realtà antichissime, ancora vive e ritrovare nella barca del pescatore il mito di Ulisse. Viaggiare in Sicilia significa immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari e nello stesso tempo stupire di fronte all’estrema giovinezza di città molto antiche”. 

Spiegava così il motivo del suo viaggio nell’isola uno dei personaggi più raffinati e complessi del secolo scorso, il pittore inglese Robert Hawthorn Kitson, che tanto amò la Sicilia da stabilirvisi ed anzi morire, nel 1947, nella villa che si era fatto costruire sul declino dell’Ottocento a Taormina, in faccia al golfo e all’Etna, cielo, mare e sbuffi abbacinanti del vulcano che si riflettono negli specchi d’acqua del giardino. Un Grand Tour cristallizzato nella scelta di vita, legame indissolubile con Taormina dalla quale tanto ha preso ma molto di più ha dato. La sua dimora, Casa Cuseni, è diventata Museo delle Belle Arti e del Grand Tour, monumento nazionale italiano, Patrimonio Culturale dell’Unesco. 

Kitson, ricchissimo rampollo di costruttori di locomotive e strade ferrate (la Kitson and Company) nato a Leeds nel 1873, laureato a Cambridge in scienze naturali e poi specializzato in geologia, volle coltivare la sua inclinazione verso l’arte piuttosto che impegnarsi nell’impresa familiare. Una predilezione favorita dai viaggi in Italia, alla ricerca di un clima più mite per curare le febbri reumatiche, e dal legame con il pittore Cecil Arthur Hunt e poi con Alfred East e Frank Brangwyn. Erano artisti che trovavano nel Bel Paese la libertà e la condiscendenza verso i diritti civili che la puritana Inghilterra negò a molti, a partire dalla legge contro l’omosessualità del 1885 che alcuni anni dopo avrebbe fatto condannare Oscar Wilde.

 

 

Lo scrittore fu ospite di Villa Cuseni, diventata via via meta di un’allargata cerchia di pensatori, romanzieri, pittori, intellettuali. Nelle sue stanze – divenute il  primo albergo per artisti in Europa – Ernest Hemingway nel 1919 fece esordio in narrativa con un racconto, “The Mercenaries”. La camera con vista sul Golfo di Naxos e sull’Etna – arredata da Corrado Cagli, un altro ospite insieme con Salvator Dalì e la moglie Gala – era la preferita di Greta Garbo.

Il balcone in stile barocco, i mobili siciliani del Settecento, i dipinti, il bagno con vasca realizzato nel 1941 per Kesselring, al comando delle truppe di occupazione tedesche in Italia, sono nella suite dove dormì Pablo Picasso. Tennessee William preferiva l’appartamento decorato con i dipinti di Kitson e di Faulkner. Arrivò qui a Bertrand Russell la notizia di aver vinto il Nobel per la Letteratura. E lo storico Denis Mack Smith conosceva tanto bene Casa Cuseni da scrivere la prefazione di “A house in Sicily”, firmato da Daphne Pelps, la nipote di Kitson, che ereditò la villa. Alla morte, nel 2005, il complesso diventò una Fondazione, a tutela della sua integrità. 

E c’è molto da tutelare. E da suscitare la meraviglia degli attuali visitatori. Arroccata su una collina, la villa è naturaliter un museo per i dipinti, gli arredi, i reperti archeologici che conserva. Molti furono acquistati da Kitson, instancabile viaggiatore, che si spinse da Madrid a Barcellona, da Casablanca a Il Cairo e a Istanbul, accompagnato dagli artisti suoi sodali. Ecco allora tra i 2700 pezzi della collezione i manufatti greci e romani, i tappeti persiani, le invetriate islamiche dall’azzurro traslucido, le antiche ceramiche siciliane.

 

E gli acquerelli del Grand Tour in Italia e in Oriente. Molte le opere di Kitson. Scrive Francesco Spadaro, che di Casa Cuseni è il “custode” più sensibile e rigoroso (da presidente della omonima Fondazione, nel 2023 è stato inserito nel Reis, Registro Eredità Immateriale Unesco per la Sicilia): “Nella realizzazione dei suoi acquarelli cercava sempre un elemento verticale intorno al quale fare ruotare la composizione, una colonna, un arco, un ponte, un minareto o una montagna e poi, partendo da questo punto focale, dipingeva velocemente le forme orizzontali e i dettagli, preferendo sempre le narrazioni minime come i monelli che giocano in strada, gli attori a teatro, i passanti sulla strada principale, le nuvole tranquille, i pupi siciliani nel momento del riposo, i venditori ambulanti di Casablanca”.  

La villa, edificata tra il 1900 e il 1905, spalanca il suo ingresso dietro un colonnato in stile palladiano. Il fascino degli interni coniuga la luce abbacinante del paesaggio con lo scuro dei mobili. Nell’architettura e nell’arredamento c’è la mano di sir Brangwyn, Accademico Reale Britannico. E una storia particolare racconta la dining room, unico suo interior rimasto intatto. È il miglior esempio fuori dal Regno Unito del Movimento Arts and Crafts. Ma restò sbarrata per oltre cento anni perché nella decorazione dei murales, fluida ed elegante come imponeva l’Art Nouveau, raffigurava due uomini legati anche dalla sfida della omogenitorialità. Ne restò impressionato Oscar Wilde, scarcerato da appena un anno.  

 

 

Del resto, l’impegno per sostenere battaglie controverse distingue Casa Cuseni, cenacolo di avanguardie non solo artistiche ma ideali. Daphne Pelps ospitò Danilo Dolci e Bertrand Russell che teorizzarono qui il Manifesto sul disarmo nucleare. Il tema pacifista è poi una delle anime del Giardino Storico, che si ispira al pensiero teosofico, sposato da Annie Besant, la donna che con Helena Blavatsky iniziò Gandhi, il futuro “apostolo della non violenza”, alla teosofia e alla religione indù. Il respiro cosmico si fonde con il panorama. L’aura di un mondo spirituale spira dai simboli e dalla geometria. Cascate di glicini bianchi e azzurri interrompono la serie di cuspidi. Una grande Menorah, l’acqua di tre Mikveh e un Tempio della Purificazione, che si distende tra il verde della vegetazione, riflettono l’idea di Kitson che attraverso l’arte ci si possa congiungere al divino. Oltre a Brangwyn, East e Hunt, entrano nel progetto decorativo anche i futuristi Depero e Balla, ma su tutto aleggia il romanticismo di Wiliam Blake e il socialismo utopico di Ruskin. Un substrato di idee che non distoglie il viaggiatore odierno dall’emozione di vedersi immerso nel sodalizio più armonioso di Natura-Architettura. 

Ultima tappa, la Biblioteca, luogo quasi sacro perché non solo contiene le carte, le corrispondenze, i libri di Kitson, ma perché lavorarono tra gli scaffali le menti sopra nominate e a loro si aggiungono Ezra Pound, Duilio Cambellotti, Filippo Tommaso Marinetti… 

 

 

Un mondo a parte, quello di Kitson, fatto di pensiero e forma, di divino e di umano, di memoria, tradizione, culto della Bellezza. Di lui scrissero gli storici dell’arte: “Ogni giorno dipingeva, inumidendo la carta con un leggero tocco di spugna, poi, con mano educata, velocemente, stendeva i colori, prima il bianco, per inondare la carta di luce, poi i colori chiari e alla fine quelli più scuri: terre, ocre, cobalti, cadmi e oltremare. Si sa, ogni colore nell’acquarello è inesorabile, non può essere cancellato, neppure coperto, nessuna inesattezza è permessa, perché una cancellatura distrugge per sempre la composizione. Robert era veloce, intuiva la grazia dell’inquadratura e la trasferiva sul foglio. Sulla carta si intravedono le tracce delle matite di piombo o di carbone, poi, in sequenza, acqua, bianco e colore, e più intensa è la luce più il foglio diventa bianco…”. Accecante, come il monte Etna quando è ricolmo di neve, commenta Francesco Spadaro. Che aggiunge: “Dalla sua casa guardava il panorama, un paesaggio sempre mutevole, sempre cangiante; ne fissava le tonalità e poi stendeva i colori sul cartoncino, scrivendo e consegnando alla storia la poesia di un luogo”. 

 

 

 

 

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