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29 marzo 2023
di Alessandro Galliani

Vassalli, così la letteratura sconfigge la solitudine

Sebastiano Vassalli 
Sebastiano Vassalli 
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In ricordo di ‘Seba’ Vassalli, il più manzoniano degli antimanzoniani. Uno scrittore che, se provi a rileggerlo, somiglia a un rosso piemontese doc, un vino che lo stappi, lo fai ossigenare, lo versi, lo assapori e scopri che, a quasi dieci anni dalla sua morte, conserva lo stesso gusto forte e ruvido e per certi versi, al palato, migliora. Sebastiano Vassalli, è uno scrittore ‘scomodo’, d’aspetto somiglia a Paolo Conte, hanno entrambi la stessa aria sorniona, lo stesso sguardo triste e ironico, la stessa piemontesità, sono entrambi due fantastici parolieri, anche se poi sono unici. ‘Seba’ sembra l’erede di Alessandro Manzoni, anche se in realtà quello che li divide è più di quello che li unisce.

‘Seba’ sembra l’erede di Alessandro Manzoni, anche se in realtà quello che li divide è più di quello che li unisce.

Romanziere ed editorialista, candidato al premio Nobel per la letteratura nel 2015, insignito del premio Campiello postumo alla carriera nel settembre 2015, Vassalli è fondamentalmente uno scettico. Alla fede inossidabile e provvidenziale del Manzoni oppone un nichilismo assoluto, senza illusioni. La sua unica fede riposa nella parola, nel potere della parola, che poi è quello che gli deriva dal suo mestiere: il potere di creare.

E' questa la sua sola ancora di salvezza, in grado di opporsi al nulla del reale in cui si dissolvono senza lasciare traccia le storie umane. La parola, la scrittura è per lui un antidoto al disordine, al caos delle Terre d’acqua, le risaie del novarese, sua patria d’adozione, da cui in mezzo alla nebbia, scorre il nulla: un paesaggio disegnato dall’acqua, una “piana vaporosa”, ai piedi del Monte Rosa, in cui il cielo e la terra si mescolano e diventano un tutto indistinto.

Nato a Genova nel 1941, Vassalli ha un'infanzia tormentata, difficile: prima in collegio, poi a Novara presso due zie zitelle; in continua fuga dai genitori, coi quali non si è mai sentito in sintonia, in conflitto col padre, che considera un fascista "nullafacente", "sempre schierato dalla parte sbagliata".

Si laurea a Milano che lo attrae in quei primi anni Sessanta per il suo carattere di città moderna, aperta alle più spregiudicate avanguardie. Qui, prima di dedicarsi alla scrittura, il ‘mestiere di Omero’, come lo definisce, fa diversi lavori: imbianchino, bibliotecario, fattorino, supplente. Professore alle superiori a Novara, incontra a Torino Edoardo Sanguineti, con cui intreccia un lungo sodalizio letterario che lo proietta all’interno delle neoavanguardie degli anni Sessanta. Stabilisce solidi legami col Gruppo ’63, poi vira verso il romanzo storico e il suo impegno letterario culmina nel 1990 nella pubblicazione con Einaudi del suo capolavoro: La Chimera, il romanzo con cui trionfa al premio Strega, consacrato grande scrittore da quella stessa ‘accademia’ letteraria contro cui nel 1983, in un'appassionata requisitoria lui attacca le cosiddette consorterie di potere, definendole le "confraternite degli impoeti d’Italia".

Come scrive in un’autobiografia in forma di intervista, il cui titolo ‘Un Nulla pieno di storie’ dà meglio di tante definizioni la cifra del suo stile di vita e di scrittore, Vassalli racconta della sua ossessione per la storia, per la memoria, che alimenta il suo interesse per il passato, la sua nostalgia, la sua passione civile per la moralità dei deboli, dei perdenti, dei vili, dei risentiti contro la vita.

Vassalli non cerca di capire, sa che il mondo va dove vuole non dove vorremmo che andasse. E' come la Chiesa che rimane quella che è, irriformabile, qualcosa che nemmeno gli spiriti forti come Carlo Bascapè, il personaggio principale della Chimera, il vescovo di Novara, un grande moralista, di rara forza d’animo, un riformista-integralista, allievo del cardinal Borromeo, appartenente alla fazione dei nemici del clero, riesce a scalfire. E questo per il semplice motivo che il Dio vero non esiste, o si è ritirato dalle cose umane. D’altra parte per secoli la fede è servita a uccidere in nome di Dio.

E per farlo la Chiesa deve servirsi di cinici assassini, non di nobili riformisti. Antonia, la seconda figura forte della Chimera, una donna del 1600 che è accusata di essere una strega e viene condannata al rogo, è sconfitta dall’odio, dall’intolleranza, dagli interessi particolari, dalla cupidigia dei preti, dalle lotte tra funzionari della Chiesa e dalla gratuita violenza della gente vile, di quei deboli che hanno bisogno di una giustificazione superiore per le proprie azioni. Ne rimane tuttavia qualcosa, un esempio di tenacia e inflessibilità di chi ha difeso la sua chimera anche a costo della morte. Grazie alla parola, ne rimane la storia.

Vassalli in questo che è il suo romanzo più noto mette a nudo l’insensatezza della vita governata dall’inerzia della materia, dal mondo caotico, dalla storia il cui motore è l’odio. E lui racconta dettagliatamente nel romanzo questo eterno ritorno, che nullifica, che rende inutile ogni azione umana. E da ultimo, nella sua raccolta di storie brevi, La morte di Marx e altri racconti, lo scrittore, poco prima di morire, cambia completamente stile, rinnega le grandi narrazioni e diventa l’anticlimax fatto persona: col suo sorriso triste di poeta giocoso, per quanto ci provi non ce la fa proprio a prendersi sul serio, resta uno scrittore a metà, che monta e rimonta le sue storie, incapace di arrivare alla fine, uno scrittore e un artista – quasi un sacerdote – che si mette al posto di Dio, fino all’eroica resa delle illusioni, come quella tipicamente sessantottina di voler cambiare il mondo, oppure quella di chi, pur ponendosi nelle vesti di un grande romanziere, alla fine non ce la fa nemmeno a terminare un racconto breve e lascia che le sue storie rimangano appese, a morire dissanguate.

L’ultimo Vassalli, probabilmente minato dalla depressione, cambia pelle, ma non rinnega sé stesso, continua a inseguire nuove chimere, perché, come dice lui, “sono queste illusioni, che aiutano l’umanità a vivere”.

Vassalli non cerca di capire, sa che il mondo va dove vuole non dove vorremmo che andasse

Lo aveva fatto nel 2003, nel romanzo La Stella avvelenata, in cui s’era immerso nel racconto di un viaggio a Parigi, nell’Europa del 1400, meta a cui il protagonista, il chierico Leonardo Sacco, studente del Monferrato, non arriverà mai, finendo per imbarcarsi in un altro viaggio, in compagnia di una scombinata congrega di eretici e di pendagli da forca, verso la mitica Atlantide. Un viaggio vero? Falso? Sicuramente un viaggio assurdo, anacronistico, contro il tempo, verso un’Utopia che non esiste, una terra ai confini del mondo: una Chimera, una finzione letteraria, come il Diluvio universale, la Torre di Babele, l’Eden, il Paradiso Terrestre. Leonardo attraversa l’Atlantico, verso una terra mitica, un altro mondo, lontano dall’Italia come l’Italia è lontana dalla luna, l’America prima dell’America, ma non trova il Paradiso Terrestre, non gli basta attraversare l’Oceano per lasciarsi il mondo alle spalle. La Stella avvelenata è un luogo magico ma è anche un posto dove s’infrangono le illusioni e dove i sogni rischiano di divenire incubi.

D’altra parte che ti aspetti da uno scrittore, uno dei migliori della sua generazione, ma senza bussola: nato a Genova e che s’adatta a vivere nel novarese, in un piattume che neanche più la nebbia si degna di coprire? E’ qui in questa piana in mezzo alle risaie che Vassalli si ritira nell’ultima parte della sua vita, nella villa della Maragnana di Biandrate, una ex sagrestia sulla cui facciata, espone dei dischi di ceramica, fatti da lui, ognuno dei quali rappresenta i 23 libri che hanno segnato la sua produzione letteraria. Ogni disco è un sole e, come è scritto sulla porta d’ingresso della sua cascina, “i soli sono soli e fanno luce”. Questo è il suo motto. E non a caso ogni sole, nel suo caso, è un libro.

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