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22 luglio 2022
di Guendalina Dainelli

I sandali degli sceicchi

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In Arabia Saudita il sandalo è infradito ma con l’alluce coperto. Come in Oman, va portato piatto, privo di tacco o zeppa. Negli Emirati Arabi Uniti, invece, si predilige la zeppa, alta fino a 3 cm, con le dita in vista e ben curate. Paese (del Golfo) che vai, sandalo che trovi, meglio ancora se su misura e Made in Italy. Quanto a materiali, ornamenti e prezzi, tutto è lecito quando si parla di Na-aal o Madan Sharqi, le calzature formali che completano l’abbigliamento tradizionale maschile nella penisola arabica.

E’ con molto orgoglio che Andrea Caretti, 36 anni, quarta generazione di un’azienda familiare con sede unica a Varese, ci racconta come tutto è iniziato nel lontano 1954, quando il segretario di un Emiro della Penisola del Golfo (ancora non erano neppure sorti gran parte dei moderni paesi dell’area) raggiunse in fabbrica nonno Giovanni per commissionargli un paio di sandali. “Il Florida 1493, dove il numero è proprio quello di serie dell’epoca, è ancora oggi il modello più richiesto”, racconta Andrea, direttore creativo “Produciamo esclusivamente per il Golfo, con una media di 30 mila paia all'anno. Non abbiamo mai risentito di alcuna crisi ad eccezione della Guerra del Golfo del 94, quando per l’embargo non potevamo vendere. Oggi i nostri sandali “Florida” si vendono nelle migliori Boutiques di Dubai e Abu Dhabi, nei migliori negozi del Kuwait e del Qatar , esclusivamente negozi monomarca .

Produciamo esclusivamente per il Golfo, con una media di 30 mila paia all'anno. Non abbiamo mai risentito di alcuna crisi ad eccezione della Guerra del Golfo del 94

E c’è da crederci a giudicare dal sito Internet, in sola lingua inglese e araba, in cui le immagini di calzature scivolano tra quelle di cavalli arabi e gazzelle in corsa nel deserto. “La clientela araba ama la qualità del nostro lavoro, tutto realizzato a mano. Pensi che qualcuno riconosce gli originali sandali Caretti solo dal profumo del pellame che è il “Novocalf francese”. Usiamo pelli di alta qualità, con uno spessore di 2,2 millimetri che subiscono una doppia concia con tannini vegetali che le rendono particolarmente morbide, resistenti e idrorepellenti.

E in effetti, nel mondo arabo, quella dei sandali è una questione seria. Sembra impossibile ma per chi abbia l’occhio allenato è facile distinguere un emiratino da un saudita anche solo da calzature, copricapo e  tunica. Che assume nomi diversi a seconda dei paesi. Kandurah negli Emirati, Dishdashah in Kuwait, Thoub in Arabia Saudita e Bahrainin. In ogni caso deve essere candida e così intrisa di profumi a base di oud da lasciare un sillage al passaggio. Il business attire dei qatarini, poi, è spesso completato un uso particolare del Ghutra, il classico copricapo costituito da un pezzo di stoffa bianco. Abbondanti dosi di amido consentono di ripiegare le falde all’indietro in “stile cobra”, come insegnano anche diversi tutorial che impazzano tra i giovani.

“La clientela araba ama la qualità del nostro lavoro, tutto realizzato a mano. Pensi che qualcuno riconosce gli originali sandali Caretti solo dal profumo del pellame che è il “Novocalf francese”.

Quanto alla scarpa, c’è tutta una sua filosofia dietro alla sua scelta. “Non solo perché in risposta alle torride temperature deve essere aperta, con suola ergonomica, traspirante e isolante dal calore del suolo” ci racconta Andrea “Il sandalo è anche la calzatura più pratica per pregare cinque volte al giorno, in ginocchio a piedi nudi, come tradizione nel mondo musulmano. I nostri clienti sono piuttosto sobri, non amano fronzoli. Ricordo che abbiamo prodotto un paio di sandali con cristalli Swarovski ma l’unico vezzo che qualcuno si concede è quello dei pellami esotici, come struzzo, coccodrillo o pitone”.

Papà Giuseppe, oggi al timone dell’azienda, mastica addirittura qualche parola di arabo “Una volta quando partiva per i viaggi di lavoro nel Golfo doveva rimanere lontano anche qualche settimana, ospite delle famiglie reali. Quando tornava a casa ci raccontava di questi incontri favolosi e dell'ospitalità estrema. Sono nate belle amicizie, rapporti umani che ancora oggi costituiscono la base del nostro lavoro”. 

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