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15 settembre 2023
di Lidia Lombardi

Alambicchi e cultura
 

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Sotto il segno della vite anticipati sei Premi Nobel. E riuniti scienziati, registi, pittori, storici, sociologi, pacifisti, direttori d’orchestra, editori, vignaioli: è il miracolo generato dal tralcio che affolla le vigne, la “Barbatella d’oro”, in friulano “Risit d’aur”. Così si chiama il Premio ideato nel 1975 da Giannola e Benito Nonino, gli “ambasciatori della grappa nel mondo” insigniti anche dal presidente Ciampi: lo scopo era salvare e far ufficialmente riconoscere i vitigni autoctoni del Friuli Venezia Giulia, che andavano scomparendo.

Poi, si aggiunsero altre sezioni del Premio: “Nonino Letteratura”, “Premio Internazionale”, “A un Maestro del nostro tempo”. E sul palco allestito l’ultimo sabato di gennaio in distilleria, a Percoto-Udine – tra gli alambicchi che fumano, il profumo della grappa appena distillata, i canti e i balli friulani, le lunghe tavole apparecchiate – sono saliti in mezzo secolo Luigi Veronelli e padre Turoldo, Gianni Brera e Rigoberta Menchu, V. S. Naipaul ed Ermanno Olmi, Peter Brook e Claudio Abbado, Peter Higgs, Fabiola Giannotti e Giorgio Parisi, Emilio Vedova ed Edgard Morin… E scusate se non li elenco tutti, i volti s’affollano nella mia mente, non li dimentico, come indimenticabili sono le serate a Borgo Nonino – brume invernali, camini accesi e calici colmi – a celebrare cultura contadina e cultura tutta.

Il prossimo 1 dicembre segna la data spartiacque per l’azienda friulana famosa nel pianeta (la Grappa Nonino si esporta in 85 paesi e ha accumulato prestigiosi premi, come nel 2019 “Migliore distilleria del mondo”). Ricorrono i cinquanta anni dalla creazione della Grappa Monovitigno®, ovvero proveniente dalla distillazione della vinaccia di una sola specie di uva, mentre fino ad allora le vinacce venivano mischiate, a caso, e dunque ne usciva un prodotto senza precisa identità.

Fu da quel momento che il distillato dei poveri, buono da mandar giù per combattere il freddo, quasi senza assaporarlo, cominciò a trasformarsi da crisalide in farfalla, a conquistare palati fini. Giannola – caparbia e scoppiettante – lo portò in dono, nell’elegante ampolla con l’etichetta della casa, anche a Gianni Agnelli. Il quale apprezzò e seguì subito un ordine.

«Il 1 dicembre prossimo celebreremo il cinquantenario del Monovitigno® Nonino con una grande festa. Il papà e la mamma se lo meritano, hanno osato sperimentare e hanno vinto» dice Antonella Nonino, che con le sorelle Cristina ed Elisabetta e la nipote Francesca lavora in azienda portando il marchio in giro per il mondo.

Ma l’exploit non è stato facile. «Fu una scommessa inizialmente pagata cara. Il 1 dicembre 1973, quando gli alambicchi di Percoto distillarono la grappa ottenuta soltanto dalla vinaccia dell’uva Picolit, a Benito e Giannola vennero le lacrime agli occhi. Quell’anno però il prodotto andò invenduto, costava troppo, non bastò a conquistare gli acquirenti il raffinato contenuto delle ampolle in vetro soffiato, con l’etichetta che ne raccontava la storia: provenienza della materia prima, specificazione del metodo 100% artigianale discontinuo a vapore, quello al quale mai abdichiamo, e per questo sarebbe giusto che una norma imponesse l’identikit della grappa su ogni bottiglia».

Ma insomma, perché il prezzo era così alto? «Perché i viticoltori non perdevano tempo a separare le vinacce. Mamma Giannola faceva il giro delle vigne, diceva: se me le vendi selezionate per tipo, te le pago anche quindici volte di più. Allora le mogli dei vignaioli, a quel tempo dipendenti economicamente dal marito pur lavorando nell’azienda agricola, per arrotondare e mettersi un po’ di soldi in tasca accettarono la richiesta di mia madre».

I viticoltori non perdevano tempo a separare le vinacce. Mamma Giannola faceva il giro delle vigne, diceva: se me le vendi selezionate per tipo, te le pago anche quindici volte di più. Allora le mogli dei vignaioli, a quel tempo dipendenti economicamente dal marito pur lavorando nell’azienda agricola, per arrotondare e mettersi un po’ di soldi in tasca accettarono la richiesta di mia madre

Un azzardo. «Fu possibile perché già allora Nonino in Friuli era un marchio apprezzato. Cominciò Orazio, a fine Ottocento: pagava con una parte della grappa prodotta le vinacce, allora considerate merce di scarto e lasciate dai proprietari della vigna ai contadini che la lavoravano. Stabilì la distilleria a Ronchi di Percoto, mentre prima distillava da un alambicco itinerante su ruote.

Continuarono Luigi, Antonio e Silvia, mia nonna, che rimasta vedova si rimboccò le maniche e mandò avanti la distilleria, prima donna italiana a fare questo lavoro. Poi toccò al figlio Benito, insieme con Giannola, che per affermare la sua personalità di fronte a una suocera grande lavoratrice ma un po’ troppo autoritaria seguì il marito in distilleria. L’azienda era commercialmente sana e questo permise ai nostri genitori di sperimentare per ottenere la massima qualità. Crearono così il primo Monovitigno®. Grande soddisfazione, alla quale sarebbe seguito il successo di mercato. Ma, insieme, la constatazione che tanta cultura agricola stava per andare perduta: lo Schioppettino, il Pignolo, il Tazzelenghe, la Ribolla gialla cominciavano a scomparire. Allora i miei genitori che volevano distillare la grappa da questi vitigni e non trovavano sufficienti quantità di vinaccia istituirono il premio per stimolare i vignaioli a coltivare quelli in via di estinzione e la mamma iniziò l’iter burocratico per chiederne il riconoscimento ufficiale alla Comunità Europea. Così nacque il Risit d’Aur».

C’è una scultura che la sera si illumina all’ingresso del Borgo Nonino. L’autore è Marco Lodola. Nel plexiglas colorato ha ritagliato le silhouette “dionisiache” di Antonella, Cristina ed Elisabetta che danzano e pigiano l’uva.

«Una rappresentazione della nostra vitalità e insieme la cristallizzazione del nostro legame con le vigne. Fin da bambine la mamma ci portava in macchina a fare un giro tra i filari. Allora la scuola cominciava ad ottobre, dunque potevamo assistere alla vendemmia. Ricordo che a noi piccole i contadini offrivano succo di frutta, alla mamma un bicchiere di vino. Ma capitava di fare queste visite anche ad agosto, in quanto mia madre andava a controllare la maturazione dell’uva. In uno scenario che mi incantava perché già la Natura cominciava ad assumere i colori dell’autunno. Adesso questi tour enologici sono di moda, si va per vigneti facendo trekking oppure in bici sulle ciclovie, oppure in motorino. A me e alle mie sorelle capitava anche il gusto di vendemmiare. In Friuli ancora oggi chi possiede una vigna di famiglia vendemmia il fine settimana per produrre il vino destinato all’uso personale e ci porta in distilleria le vinacce per averne in cambio la grappa. Stare in pesa il sabato e la domenica era uno dei compiti di noi ragazze. Una condivisione che rinsalda i rapporti con la nostra gente».

In Friuli ancora oggi chi possiede una vigna di famiglia vendemmia il fine settimana per produrre il vino destinato all’uso personale e ci porta in distilleria le vinacce per averne in cambio la grappa. Stare in pesa il sabato e la domenica era uno dei compiti di noi ragazze. Una condivisione che rinsalda i rapporti con la nostra gente

Una consuetudine che continua, in famiglia? «Ho portato le mie figlie nelle vigne perché vivessero la vendemmia con i profumi e i sapori delle uve appena colte e imparassero a riconoscere la freschezza delle vinacce. Ora la scuola comincia a settembre, dunque mi organizzavo nel fine settimana, in qualche occasione ho fatto saltar loro qualche giorno di scuola! Oppure si andava in novembre quando c’è da vendemmiare il Picolit, un’uva spargola che soffre di aborto floreale e arriva a maturazione con pochi chicchi ma ricchi di sapore e profumo, quelli che si ritrovano nella nostra Grappa».

Uva in lingua friulana si dice ue. «Per questo si chiama ÙE® il distillato che i miei genitori hanno ottenuto nel 1984 dall’uva intera e dedicato a noi tre sorelle. E la ÙE® Nonino Fragolino con i suoi profumi aromatici arricchisce l’Aperitivo Nonino Botanicaldrink a base di erbe, frutta, radici e fiori. È 100% vegetale, una rivisitazione della ricetta della nonna Silvia, prima distillatrice d’Italia».

Anche Mario Soldati si beava delle vendemmie. «È stato il primo ad insegnare agli italiani che è riduttivo distinguere il vino in bianco e rosso. Quando in trattoria l’oste gli chiedeva di scegliere semplicemente tra i due colori, sbottava: Orrore orrore. E infatti nel suo programma televisivo “Viaggio in Italia” spiegò bene le caratteristiche della viticoltura. Non poteva non far parte – insieme con padre Turoldo, tanto legato alle tradizioni del Friuli, a Veronelli, a Ermanno Olmi e a Gianni Brera – delle prime giurie che hanno assegnato i Premi Nonino».

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