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9 dicembre 2025
di Lidia Lombardi

Napoli infinita

Napoli, Castel dell'Ovo
Napoli, Castel dell'Ovo
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Si dice che il cronista deve consumare le suole delle scarpe. Davide Vargas chissà quante ne avrà buttate per un pellegrinaggio instancabile nella sua Napoli, dal 2017 al 2024, itinerari e memorie riversati in una rubrica settimanale su “la Repubblica”, intitolata “Narrazioni_ I luoghi”. Trecentocinquanta articoli corredati da disegni in bianco e nero. Lui li chiama narrazioni appunto perché ciascun pezzo – o brano? – non è solo la descrizione di un posto, di un monumento, ma un rimpallo di emozioni e di scavo nel proprio e nell’altrui vissuto. Insomma, una storia.

Tanta mole di conoscenza è approdata in due volumi editi da La Nave di Teseo, prima “Napoli scontrosa” e adesso “Napoli infinita”. Titoli non antitetici ma speculari poiché la città tanto più è ruvida, restia a mostrarsi se non si guarda da vicino e con animo sgombro da stereotipi, tanto più non smette mai di rivelarsi, una nessuna centomila, continuamente in trasformazione, passato stratificato, seppellito eppure resistente, presente incomprensibile, respingente, malandato, e sotto sotto fulgido, traboccante di tanto cuore, tanto sentimento.

La cronaca irrompe nella Grande Bellezza della città di Paolo Sorrentino, fattacci che porterebbero ciascuno a disunirsi, come rischia di fare il giovane protagonista di “E’ stata la mano di Dio” del medesimo cineasta. Eppure le due facce, miseria e nobiltà,  si sostengono, l’eterno dualismo è linfa vitale. Prendiamo la pagina intitolata “Due città”. Sul mare davanti a piazza del Plebiscito “le gigantesche navi da crociera incombono fuori scala, simbolo delle contraddizioni di Napoli”, che è insieme “colta, desiderosa di emancipazione, educata” e al contempo “violenta, grezza, sanguinaria”. Ma in verità è una: “Fatta di monumenti sublimi, crepe, piazze meravigliose, asfalto, rivoli di fogne, vasi di fiori, generosità, protervia”. 

Così nel medesimo pezzo Vargas – architetto-letterato, come lo hanno definito, nato ad Aversa e ora residenza a Napoli, conosciuto internazionalmente  per i progetti presentati a Biennale Venezia, Londra, Tokyo – assembla lo sconforto per la morte, all’alba, di un musicista diciassettenne, Giovanbattista Cutolo, intervenuto a sedare una lite in piazza Municipio, e il conforto per il disvelamento della facciata della chiesa di Girolamini dopo il restauro durato sei anni. Incanta nel bianco del marmo scelto da Ferdinando Fuga, nei due bassi campanili laterali, nelle sculture di Giuseppe Sammartino. “Rendiamo onore ai caduti offrendo la bellezza ritrovata” è la preghiera laica dell’Autore.

Altrove lo sguardo si posa sulla Cappella Palatina, il clou di Napoli, dentro Palazzo Reale, in piazza del Plebiscito, tra il Teatro San Carlo e il mare. E la “teofania” dell’altare di Dioniso Lazzari – un’architettura tempestata di lapislazzuli, ametiste, onici entro la quale, al centro, si solleva Santa Teresa  - aiuta a definire il carattere del barocco partenopeo. Anch’esso sensazionale perché “ti avvolge e sorprende con i suoi picchi oltre misura, materiali policromi, forme turgide, intessuto di tutte le arti”. Ma anche qui il gioco dei contrasti fa meditare sul vissuto, sulle ere attraversate da cose e persone. Il Barocco a Napoli è eccessivo eppure attento a lasciare in filigrana una traccia di preesistenza su cui si sovrappone. Insomma, è la città a essere smisurata, nel dolore e nella gioia, nello sfarzo e nella povertà, nella passione e nel disinganno.

Vargas sa allungare il passo verso le periferie, tutte, e il territorio. Ora la meta è l’Ospedale a Mare di Ponticelli e sull’asfalto trova sporcizia e ciuffi di carote selvatiche. “La giornata è luminosa e con questi paesaggi non è bene, le ombre sono aspre, gli spiazzi assolati e ogni angolo mostra il degrado nitido come sotto una lente d’ingrandimento”.Ma, in diversa localizzazione, le “malfamate” Vele hanno un valore architettonico da non disprezzare -  eppure le buttano giù - al contrario di altri grandi manufatti,  come l’Università a Scampia di Gregotti, che non caratterizzano il paesaggio urbano. Però, spostandosi sulla costa, l’architetto letterato s’illumina d’immenso davanti al Mediterraneo di Giò Ponti esemplificato insieme con le ceramiche artistiche di Fausto Melotti nel Parco dei Principi di Sorrento.

Negli scorci urbani s’inseriscono facce famose, parole e incontri di cinema, musica, letteratura, leggende, testimonianze di quanti hanno cambiato il volto della città: Eduardo, Raffaele La Capria, Matilde Serao, Nino Migliori, Fabrizio Carola, Patrizia Cavalli, Riccardo Dalisi. E anche quel “libraro” vicino alla facoltà di Architettura, che accompagnava nella conoscenza: uno del quale, la percezione degli studenti, “ci si può fidare”. Peccato che la Libreria Fiorentino abbia abbassato per sempre la saracinesca.

Così il viaggio di Vargas si dipana tra città e territorio ed è sempre “un esercizio di appartenenza”. Scrive nelle pagine conclusive: “In questa giornata umida i campi di terra si distendono come tappeti ricoperti da una nebbiolina leggera e bassa, un vecchio albero isolato e coriaceo ha visto passare milioni di uomini da queste parti, piegarsi a raccogliere zucchine, gettare semi nei solchi, rivoltare le zolle. Di tante storie conserva la memoria che si fa sempre più flebile. Chi scrive di viaggi ha l’attitudine dell’archeologo che scava per portare alla luce brani di realtà dimenticati”.

 

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