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3 febbraio 2023
di Guendalina Dainelli

Ennio: mio padre, la musica e il silenzio 

Ennio Morricone in posa per un'intervista il 3 luglio 2017 a Roma  
Ennio Morricone in posa per un'intervista il 3 luglio 2017 a Roma  
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Raccontare in cinque note la purezza, la maestà e la semplicità. Della natura. Dell’essere umano nel suo stato primitivo. Per chi crede, forse anche di Dio. La-sol-la-sol-la, è questo il “mordente” pronunciato con uno strumento a fiato, l’Oboe di Gabriel, tema del film “Mission”. “Il film si svolge nel 1750 – aveva detto Ennio Morricone -  ho tenuto conto degli abbellimenti stilistici dell’epoca, l’acciaccatura, il mordente, il gruppetto Ho scritto questa musica quasi senza controllarmi, quasi fosse una specie di strano miracolo.” Quasi fosse sussurrata, suggerita.

“Ennio, il Maestro”, film di Giuseppe Tornatore, presentato fuori concorso a Venezia 78 (Nastro d’Argento e  David di Donatello come miglior documentario) esce a febbraio in quindici città portoghesi con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona, che ha ospitato un dialogo con il pianista e compositore portoghese Filipe Melo e con Marco Morricone, figlio del Maestro. A lui e’e stato riservato il compito di raccontare la nascita di un documento forse impossibile senza “Peppuccio”, Giuseppe Tornatore, amico e collaboratore quasi trentennale, da Nuovo Cinema Paradiso (1988) a La corrispondenza (2016).

Ne emerge il racconto di una lotta titanica tra sacro e profano, tra “l’umiliazione di scrivere per il cinema e vincere questa colpa”, come aveva confessato il Maestro. Quasi soccombendo al potere di una musica “plastica”, che diventa immagini, mescolando alla metrica di Bach (“È il mattoncino con cui ho costruito tanti brani”) a spari, fischi, campane, roboanti cavalcate, fino ai jodel che riproducono il verso del coyote.

Difficile restituire meglio l’idea della durezza della vita nel Far West, come nei film di Sergio Leone. O lo struggimento della violenza umana espressa con uno straniante flauto di Pan in “C’era una volta in America”. Sentimenti universali dipanati anche grazie all’aiuto della moglie Maria, sempre al suo fianco nel leggere i copioni e a cui ha riservato il più “doloroso addio” nel necrologio scritto di suo pugno. Un’anarchia musicale che in settant’anni di carriera, si è tradotta in circa 500 grandi classici e centinaia di riconoscimenti, dagli Oscar ai David di Donatello.

È stato difficile convincerlo a fare un film su se stesso?

"Il film nasce da una idea di Gianni Russo e Gabriele Costa di Piano B produzioni, che un giorno andarono a trovare papà e gli chiesero se avesse voluto fare un film su sé stesso; papà ha riflettuto qualche minuto e si è alzato e se ne è andato in un'altra stanza. In realtà andò a telefonare a Peppuccio Tornatore chiedendogli se avesse voluto realizzare questo progetto. Lui ha accettato con entusiasmo, e papà è tornato nella stanza in cui aveva lasciato Gabriele e Gianni e ha dato loro questa comunicazione. Insomma lo avrebbe fatto solo se lo avesse girato Peppuccio. Il primo ciack è stato nel 2014 e ovviamente, quando avevano tempo entrambi, si incontravano per procedere con l'idea".

Suo padre è stato estremamente prolifico, tra i tanti brani ce n’è qualcuno preferito?

"No, non esisteva un brano a cui papà era più legato, o più particolarmente era legato a tutti; erano come dei figli e frutto di una gestazione più o meno complessa".

L’omaggio di Tornatore raccoglie tante testimonianze di registi e musicisti di primo piano, come Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Dario Argento, Quentin Tarantino, Wong Kar-wai, Bruce Springsteen, John Williams, Hans Zimmer e altri. Qualcuna l’ha colpita in modo particolare?

"Le testimonianze che mi hanno colpito sono molte, perchè evidenziano la sua trasversalità e la  conoscenza profonda del suo lavoro; però se debbo esprimere qualche preferenza dico Quincy Jones, Nicola Piovani, Antonio Poce Alessandro De Rosa  e il prof. Sergio Bassetti. E non vorrei che si dispiacesse qualcuno che non ho citato".

Come avveniva la gestazione di un brano, cosa ispirava suo padre nella composizione, oltre alle immagini?

"Se lei conosce papà, sa bene che diceva: "Non so se esiste l'ispirazione ma so che esiste la tenuta, la coerenza, la serietà e la durata". Papà aveva un fortissimo potere di concentrazione e questo gli consentiva di pensare un film vedendolo sotto un altro aspetto. Vedi “L'uomo dell'armonica”, oppure i silenzi e i rumori di “C'era una volta il west”. E usava gli strumenti con profonda sapienza riproducendo anche i rumori che ci accompagnano nel quotidiano. In realtà mia mamma, molto cinefila, leggeva il copione e sapeva ben raccontarlo e arrivare nell'animo di papà. E papà scriveva le sue tracce e le sue idee, che venivano poi da lui sviluppate".

Un suo ricordo personale, qualcosa che non tutti sanno del Maestro?

"Il rispetto e l'amore per il tempo, l'amore per il silenzio. Papà era molto silenzioso e riflessivo, probabilmente era in un'altra dimensione. La musica è fatta ormai di pause (cioè silenzi) e di tempo. Ecco era completamente  proiettato nel migliorarsi sempre un po' e trasferire in una musica magari meno colta, tutti i suoi studi. E tutti i suoi dolori e tormenti nella dicotomia tra musica colta e musica per il cinema  lo hanno accompagnato per la vita".

 

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