instagram
10 gennaio 2024
di Marco Patricelli

Il genio di Bertoni, così le sculture sono diventate auto

Modello in legno di un'auto DS 21 del designer Flaminio Bertoni 
Modello in legno di un'auto DS 21 del designer Flaminio Bertoni 
twitterfacebook

Nel secolo della produzione seriale in catena di montaggio e prima dell’avvento del computer che avrebbe deciso forme e linee al posto dell’uomo, Flaminio Bertoni applicò l’arte all’industria automobilistica. Poteva farlo, forse, solo un artista di cui i francesi della Citroën intuirono subito la grandezza e il tocco del genio. Nessuno come lui, che trasformò le idee in scultura e la scultura in arte in  movimento: purezza e bellezza, fuori da ogni schema, inimitabile e irripetibile.

Nessuno come lui, che trasformò le idee in scultura e la scultura in arte in  movimento: purezza e bellezza, fuori da ogni schema, inimitabile e irripetibile

Il suo capolavoro è un’auto che ha il destino nel nome, la DS: Déesse, Dea. Non s’era mai visto niente che le assomigliasse neppure lontanamente, un’apparizione dal futuro, tutto pulito, niente da ritoccare a livello estetico perché compiuta e assoluta. «Non si può migliorare quello che è nato perfetto», dirà Sergio Pininfarina dopo la scomparsa del suo creatore, declinando l’offerta di firmare un aggiornamento stilistico.

Bertoni vide la luce il 10 gennaio 1903 a Masnago, in provincia di Varese, e dopo la licenza tecnica, orfani di padre, nel 1918 cominciò a lavorare per la Carrozzeria Macchi. La parola designer non  esisteva e neppure l’aura che oggi circonda i creativi  di oggetti, spesso tanto celebrati quanto non indimenticabili. E tanto per far capire di che pasta era fatto, non riuscendo a esprimersi in un francese accettabile, presentò ad André Citroën un brevetto per l’apertura dei finestrini senza manovella.

L’imprenditore che inseguiva l’innovazione e tutto quello che poteva épater les bourgeois non se lo lasciò sfuggire, l’Italia invece non ne comprese l’estro anticipatore: andò via nel 1931 e non tornò più, anche se non prenderà mai la cittadinanza francese. Con la plastilina creò le forme seducenti della mitica Traction Avant, il modello che dissanguò Citroën, il quale era innamorato di quel progetto innovativo, e lo condusse al fallimento, Uscita nel 1934, la Traction disegnata in una sola notte era la prima auto senza predellini, filante e armoniosa, dalla proverbiale tenuta di strada, tant’è che è diventata iconica dell’epoca della seconda guerra  mondiale, grazie anche ai film in cui non manca mai questa vettura negli inseguimenti della Gestapo che la preferiva di gran lunga alle Mercedes perché letteralmente incollata alla strada anche alle alte velocità. Sopravvivrà per un decennio al conflitto nella produzione in serie e per decenni ancora sulle strade polverose e improbabili delle colonie francesi, indistruttibile nonostante i peccati di gioventù.

Del periodo prebellico era anche un progetto occultato ai tedeschi, quello di una vettura economica (il progetto iniziale si chiama TPA, vettura piccolissima, una sorta di scatoletta sgraziata) che Bertoni avrebbe interpretato con estro a suo modo creando un’icona seconda solo alla Wolkswagen Maggiolino per longevità: la 2CV, in produzione dal 1948 al 1990, quasi 7 milioni di esemplari. Il designer era stato già arrestato una volta perché dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia (10 giugno 1940) si era rifiutato di giurare fedeltà alla patria d’adozione, e una seconda sarà sottoposto nel 1944 a un vergognoso processo per collaborazionismo concluso con tante scuse: era stato lui a far sparire i progetti della 2CV che i tedeschi cercavano dappertutto. Nel 1949 si laureò in architettura, perché non sopportava di essere l’unico non titolato per di più col ruolo di capo dei progettisti.

Per pensionare la Traction, invece di aggiornarla, si dedicò a un progetto nuovo elaborato secondo la filosofia della scultura, che continuava a coltivare con mostre di un certo successo. D’altronde definiva le auto da lui disegnate in 3D come sculture rovinate dalle ruote e dal motore, in un’epoca in cui il disegnatore non era considerato tanto importante da assegnargli una palese paternità creativa. Nel 1955 Flaminio Bertoni faceva emergere la Dea non dalla spuma del mare come Venere ma dalle scintille degli altiforni Citroën, trasferendola da una delle sue maquette e lasciando agli ingegneri tutte le innovazioni possibili e immaginabili. Fu uno choc culturale, stilistico e tecnologico vedere quel modello che improvvisamente faceva invecchiare tutti gli altri, con quelle forme aerodinamiche ispirate dalla goccia d’acqua e da un pesce che spazzava via le pinne esagerate delle auto americane e le grandi bocche cromate dei radiatori.

Una vettura che ti accoglieva in salotto sollevandosi con il gesto regale delle sospensioni olepneumatiche, che era la grazia e la classe della donna incarnando i le parole alate di Gabriele d’Annunzio il quale aveva deciso che «l’auto è femminile». Inutilmente i denigratori cercarono di affibbiarle il soprannome di “ferro da stiro”, che pareva richiamare per la purezza delle forme del muso, e più fortuna ebbe quello più affettuoso di “squalo”. Bertoni aveva creato la bellezza della Dea l’anno prima che Roger Vadim lanciasse l’icona Brigitte Bardot con «Et Dieu… créa la femme»: due forme di sensualità e seduzione diverse ma tipicamente francesi. Flaminio Bertoni se né andato per un ictus il 7 febbraio 1964, a 61 anni. La sua unica onorificenza gli venne attribuita nel 1961 con il cavalierato per le arti e per le lettere, a Parigi. Varese gli ha dedicato un museo nel 2007, in uno stabile in condominio con il liceo artistico e alcuni uffici provinciali, quindi nel 2016 in una struttura apposita nel Parco e Museo di Volondia a Somma Lombardo, dove accanto alle auto ci sono i bozzetti e le sculture di un artista prestato alla bellezza.

Seguici su

instagram