instagram
20 maggio 2022
di maria rita nocchi

Fucile e scalpello 

 La scultrice Pamela Diamante
 La scultrice Pamela Diamante
twitterfacebook

Missilista. Paracadutista. Cecchino. A questo punto dal pubblico partirebbe un “a Ramboo”. E invece no. Vi sto parlando di una graziosa, leggiadra ed elegante creatura di 37 anni che si chiama Pamela Diamante. Segni particolari, scultrice. A 17 anni si è arruolata nell’esercito per ribellarsi ai genitori che le vietavano gli studi artistici. E’ entrata nel corpo dei paracadutisti, è diventata missilista e perfino una sniper esercitandosi con una squadra speciale a Capo Teulada in Sardegna, ha partecipato alle missioni umanitarie organizzate in Bosnia Erzegovina e in Kosovo. Tutto questo mentre continuava a coltivare il suo sogno: la sera, quando rientrava a dormire nella camerata, leggeva i libri di arte. Quattordici anni fa ha abbandonato per sempre i fucili. Si è iscritta all’Accademia di Belle Arti di Bari, e nel 2016 ha conseguito il diploma in scultura.

Oggi Pamela Diamante, pugliese, classe 1985, è ritenuta dai curatori e dai critici una tra le artiste italiane emergenti più talentuose.

A Miart, la fiera milanese dedicata all’arte moderna e contemporanea, dove l’ho incontrata, Pamela, portata dalla galleria Gilda Lavia di Roma, ha vinto il premio istituito dal gruppo immobiliare Covivio. Le è stata commissionata un’opera site-specific, che verrà installata a settembre in un prestigioso edificio facente parte del progetto di riqualificazione urbana “Symbiosis”, nella zona sud di Porta Romana a Milano.  
 

Dal 18 marzo, inoltre, è in corso una sua mostra personale – Stato di flusso – presso la fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano. E la Banca europea per gli investimenti, la Bei, che ha sede a Lussemburgo, tre anni fa ha acquistato e inserito in collezione i primi cinque esemplari di ‘Fenomelogia del sublime”, gli originali lavori realizzati dalla Diamante, prendendo spunto dal ritrovamento di alcune pietre preistoriche presenti nei colli fiorentini, menzionate per la prima volta in documenti che risalgono alla famiglia dei Medici, grandi collezionisti di pietre rare. 

Una storia davvero singolare, quella che Pamela racconta a MAG. “I miei genitori volevano che studiassi per trovare un lavoro vero, non credevano che l’arte potesse darmi un sostentamento. Un amico, conoscendo il mio spirito di avventura, mi ha suggerito di arruolarmi. Ho seguito il suo consiglio. Sono entrata nell’esercito a 17 anni, e ci sono rimasta per cinque anni. Erano i primi corsi aperti alle donne, inutile dire che c’era ancora un forte spirito patriarcale. I miei colleghi cercavano di mettermi in difficoltà, ma non ci sono mai riusciti. Il fatto di avere uno stipendio mi consentiva di andare nei week end a visitare i musei e le mostre di arte. Ne ricordo alcune bellissime, tra cui Picasso e Dalì. Pian piano ho cominciato a costruire una mia formazione, mentre al mattino mi addestravo al poligono con i missili filoguidati e sparavo con i fucili di lunga gittata.

L’esperienza più formativa è stata andare in missione in Bosnia, pochi anni dopo la fine del conflitto. Lì ho capito che cosa è stata la guerra nei Balcani. E devo dire che quel senso di drammaticità è entrato nei miei lavori artistici”.

Quando Pamela ha lasciato l’esercito e si è iscritta all’Accademia di Belle Arti di Bari, era più anziana di dieci anni rispetto alle altre studentesse. “Questa cosa un pò mi pesava, però avevo una maturazione diversa e ho cominciato a lavorare come assistente curatoriale. Questo mi ha consentito di capire come i grandi artisti lavorano ‘sul campo’. Nel momento in cui mi sono sentita pronta, ho iniziato a creare le mie opere e ho fatto un percorso veloce a livello professionale. Mia madre adesso rimpiange di avermi negato la possibilità di studiare arte, ma chissà cosa è stato meglio…”.

Pamela usa attualmente tutti i linguaggi artistici, però non ama la pittura. “Mi sembra una forma espressiva limitata. Preferisco misurarmi con gli spazi e lavorare su installazioni di grandi dimensioni che mixano la scultura, il video, il suono. La mostra in corso alla Fondazione Pomodoro (fino al 24 giugno) è uno degli esempi di come abbia cominciato a lavorare ‘ibridando’ tutto. Ho creato un’opera che riflette sul tempo difficile che stiamo vivendo, sospesi tra la pandemia e la guerra, e ho inserito un’immagine della Menade danzante di Skopas, una tra le più belle sculture dell’antichità. Il risultato è stato di grande impatto emotivo. Mi sono accorta che alcune delle persone venute in visita avevano le lacrime agli occhi”.
 

Una delle sue convinzioni è che l’artista oggi debba riflettere seriamente sulla sostenibilità ambientale. Il progetto installativo che ha in mente per l’opera commissionata dal gruppo Covivio  prevede qualcosa che si integri nell’ambiente, una sorta di simbiosi tra l’uomo, la natura e l’architettura. “l’opera per ‘Symbiosis’ rifletterà concettualmente un dialogo in continua trasformazione tra natura/cultura, sarà un passaggio importante. Spero che arrivino altre commissioni, nel futuro”.   

Tra le produzioni di Pamela che hanno avuto più successo a Miart ci sono quelle con le pietre ‘paesine’. 

Queste pietre, formatesi nell’epoca del Miocene, si trovano solo sui colli fiorentini e hanno un particolarità:  all’interno contengono immagini che assomigliano a grotte, onde marine, rocce.  Qualcosa di molto raro, fonte di ispirazione per l’artista che ha pensato di riprodurle in quadri che sembrano fotografie, ma non lo sono. “Usando gli algoritmi, mi sono impegnata nella ricerca dell’immagine ‘gemella’. Non ho creato forme nuove, mi sono limitata a interpretare quello che già c’era nella natura. E’ stupefacente che dei sassi racchiudano immagini così poetiche. Qualcosa di simile alla pietra di sogno che esiste in Cina”. E pensare che tutto è nato da un incontro casuale. “Ero a Firenze per una visita all’Opificio delle pietre dure e ho conosciuto un professore di educazione tecnica in pensione, appassionato di geologia, che ha dedicato la sua vita alla ricerca di queste pietre”, ricorda Pamela. “I primi manoscritti in cui vengono menzionate risalgono all’epoca della famiglia Medici che ha governato Firenze dal 1500. E’ stato lui a farmele conoscere”. 

Se c’è una cosa di cui Pamela Diamante non può fare a meno sono i viaggi. Ha girato tantissimi paesi, per cercare nuovi stimoli e spunti. Ma ogni volta torna a casa, a Bari, e non ha pensato mai di lasciare la sua terra. “In molti mi chiedono se sia stato difficile affermarmi, venendo dal Sud. Certamente vivere a Roma o Milano consente di godere di un’offerta culturale più ampia che altrove. Ma io recupero viaggiando. Il mio restare al Sud è una forma di resistenza. E’ importante essere presenti, altrimenti le dinamiche di abbandono non cambieranno mai”.

 

 

estotesto

 

Seguici su

instagram