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15 febbraio 2023
di Lidia Lombardi

Servitore di due padroni

Arlecchino 
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Arlecchino è tra noi. Fa capriole, ammicca,

urla, bofonchia. Sguscia nel corpo smilzo.

S’industria a riempire la pancia, che sempre fibrilla

per atavica fame. Arlecchino è tutti noi.

“Il servitore di due padroni”, come lo ideò Goldoni,

è diventato persona, mica solo personaggio

della Commedia dell’Arte.

La sua immanenza la deve a Giorgio Strehler.

Prima rappresentazione nel 1947 in quel Piccolo Teatro

che il regista triestino fondò con Paolo Grassi,

e l’idea era portare in sala non solo

le “sciure” milanesi, ma la gente che il palcoscenico

non lo conosceva perché non se lo poteva permettere.

Teatro popolare e colto, dieci edizioni

fino a quando Strehler è mancato, era il 1997.

Poi le riproposte, dei suoi attori

(adesso Enrico Bonavera ha sostituito Ferruccio Soleri,

che ottantanovenne ha messo da parte il costume

a losanghe indossato la prima volta nel 1960,

e prima di lui c’era stato Marcello Moretti),

fino all’ultima, dicembre scorso, nel centenario

della nascita del regista.

75 anni di Arlecchino, lo spettacolo più rappresentato

al mondo, oltre tremila repliche, anche per i cinesi.

Arlecchino è fra noi perché incarna gli stratagemmi

di ciascuno per tirare a campare.

Entra ed esce dalla scena, va in mezzo al pubblico

togliendosi la maschera, ai lati del palco

suggerisce gli effetti scenici.

Metateatro che abbatte la quarta parete.

Ed è storia.  (Di Carlo Goldoni, disegni di Dario Fo)

Son stuffo d’aspettar, che no posso più. Co sto me patron se magna poco, e quel poco el me lo fa suspirar.

Mezzozorno della città l’è sonà che è mezz’ora, e el mezzozorno delle mie budelle l’è sonà che sarà do ore. Almanco savesse dove s’ha da andar a alozar. I alter subit che i arriva in qualche città, la prima cossa i va all’osteria. Lu, sior no, el lassa i bauli in barca del corrier. el va a far visite, e nol se recorda del povero servitor. Quand ch’i dis, bisogna servir i padroni con amor! Bisogna dir ai padroni, ch’i abbia un poco de carità per la servitù.

Qua gh’è una locanda; quasi quasi anderia a veder se ghe fuss da devertir el dente; ma se el padron me cerca? So danno, che l’abbia un poco de discrezion. Voi andar; ma adess che ghe penso, gh’è un’altra piccola difficoltà, che no me l’arrecordava; non ho gnanca un quattrin. Oh povero Truffaldin! Più tost che far el servitor, corpo del diavol, me voi metter a far... cossa mo? Per grazia del Cielo, mi no so far gnente.

Scena sesta. Strada colla locanda di brighella. Truffaldino solo.

Oh bella! Ghe n’è tanti che cerca un padron, e mi ghe n’ho trovà do. Come diavol oia da far? Tutti do no li posso servir. No? E perché no? No la saria una bella cossa servirli tutti do, e guadagnar do salari, e magnar el doppio? La saria bella, se no i se ne accorzesse. E se i se ne accorze, cossa pèrdio?

Gnente. Se uno me manda via, resto con quell’altro. Da galantomo, che me vai provar. Se la durasse anca un dì solo, me vòi provar. Alla fin averò sempre fatto una bella cossa. Animo; andemo alla Posta per tutti do (incamminandosi).

Scena decima. Truffaldino solo.

Ho gusto da galantomo, che no se vada via. Ho volontà de veder come me riesce sti do servizi. Vòi provar la me abilità. Sta lettera, che va a st’alter me padron, me despias de averghela da portar averta. M’inzegnerò de piegarla (fa varie piegature cattive).

Adess mo bisogneria bollarla. Se savess come far! Ho vist la me siora nonna, che delle volte la bollava le lettere col pan mastegà. Voio provar (tira fuori di tasca un pezzetto di pane). Me despiase consumar sto tantin de pan; ma ghe vol pazenzia (mastica un po’ di pane per sigillare la lettera, ma non volendo l’inghiotte). Oh diavolo! L’è andà zo. Bisogna mastegarghene un altro boccon (fa lo stesso e l’inghiotte).

No gh’è remedio, la natura repugna. Me proverò un’altra volta (mastica, come sopra. Vorrebbe inghiottir il pane, ma si trattiene, e con gran fatica se lo leva di bocca). Oh, l’è vegnù. Bollerò la lettera (la sigilla col pane). Me par che la staga ben. Gran mi per far le cosse pulito! Oh, no m’arrecordava più del facchin.

Camerada, vegnì avanti, tolì su el baul (verso la scena).

Scena quattordicesima. Truffaldino solo.

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