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14 febbraio 2023
di Ivana Pisciotta

Ogni scherzo vale

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Fa simpatia, il Carnevale. Riporta la memoria alle feste dei bambini in cui volano i coriandoli, agli scherzi da prete che si tirano gli amici, ai dolci tradizionali fritti o al forno magari preparati in famiglia, alle note di un’atmosfera allegra e burlona. Ma il Carnevale, la cui origine risale alla notte dei tempi, assume molti altri significati, da quello religioso o puramente storico a quello sociale ed artistico, passando anche per quello culinario.

Arriva insomma il periodo più festoso dell’anno in cui secondo la tradizione è lecito lasciarsi andare a ogni sregolatezza ed è quasi d’obbligo affrontare la vita con una risata. Senza prendersela, perché come recita il proverbio, a Carnevale “ogni scherzo vale”.

Si celebra in inverno, ma non c’è un lasso temporale prestabilito, in quanto le date sono collegate alla Pasqua e cambiano quindi ogni anno. C’è però una regola: si dà il via il giorno successivo alla domenica del Battesimo del Signore, che quest’anno è il 4 febbraio. Poi viene salutato per ben due volte: la prima, il giorno del giovedì grasso (previsto il 16 febbraio) e la seconda il martedì grasso (21 febbraio).

Arriva il periodo più festoso dell’anno in cui secondo la tradizione è lecito lasciarsi andare a ogni sregolatezza ed è quasi d’obbligo affrontare la vita con una risata

Grasso perché si consumano cibi ricchi di grassi, ma grasso anche perché indica l’opulenza del banchetto e anche come simbolo di pancia piena, e quindi di allegria. Quella del calendario è solo un’indicazione: a Colonia, ad esempio, lo fanno iniziare l’11 novembre alle ore 11.11, oppure a Putignano il 26 dicembre, giorno delle Propaggini. Caso a parte Basilea, che il lunedì dopo il mercoledì delle Ceneri lo celebra con un bizzarro battesimo: un blackout generale, alle 4 in punto.

È una festa così sentita e cara alle tradizioni locali e nazionali che a gennaio scorso nove Carnevali storici italiani – Putignano, Fano, Avola, Acireale, Cento, Foiano, San Giovanni in Persiceto, Sciacca e Tempio Pausania – hanno chiesto di essere candidati a patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. E a sostegno del loro progetto, nel maggio dello scorso anno hanno firmato un Memorandum of understanding: pur essendo diversissime fra loro, le celebrazioni di queste località sono famose per i carri di cartapesta ma anche per il coinvolgimento attivo di tutta la popolazione locale. Lì il Carnevale si sente dappertutto, finanche nell’aria.

Che sia una festa antichissima è indiscusso, come suggerisce anche il nome la cui origine risale alla notte dei tempi. Il termine deriva dal latino carnem levare ossia eliminare la carne e si riferisce alle grandi feste della carne che si tenevano nel Medioevo, in particolare il martedì grasso subito prima del periodo di astinenza e digiuno previsto dalla Quaresima.

Il più antico è il Carnevale per eccellenza, quello di Venezia, la cui prima testimonianza risale al 1296. Altrettanto celebre, e antico, quello che si celebra a Fano: i primi documenti che fanno riferimento ai festeggiamenti risalgono al 1347. Secondo alcuni storici, l’origine della festa risalirebbe ancora più indietro e cioè ai tempi dell’antica Roma: discenderebbe dai Saturnali, che erano una festa religiosa in onore del dio Saturno durante la quale si tenevano cerimonie religiose di carattere sfrenato. Era usanza in quell’occasione sospendere temporaneamente il rapporto servo-padrone, per cui era concesso agli schiavi di comportarsi da uomini liberi e viceversa, a patto però di nascondere la propria identità.

Il termine deriva dal latino carnem levare ossia eliminare la carne e si riferisce alle grandi feste della carne che si tenevano nel Medioevo, in particolare il martedì grasso subito prima del periodo di astinenza e digiuno previsto dalla Quaresima.

Da questa antica tradizione si ereditò l’uso di mascherarsi e poi col tempo vennero battezzate le nuove maschere, da Pulcinella ad Arlecchino, a Colombina che, guarda caso, erano tutti servi. In questa usanza gli storici intravedono anche una spiegazione più sociologica: sotto il manto della baldoria “scaccia pensieri”, il Carnevale rappresentava anche la presa in giro dell’ordine stabilito e il capovolgimento autorizzato dell’autorità precostituita, nonché la nobilitazione della figura del servo che diventava per una volta protagonista della vita di tutti i giorni.

Col tempo il Carnevale ha assunto anche uno scopo propiziatorio: nel Medioevo i festeggiamenti culminavano solitamente con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale di un fantoccio, simbolo appunto del potere ma anche dei mali passati. L’eliminazione del fantoccio assumeva così un significato allegorico per cui veniva salutato un nuovo inizio, una nuova vita. Esorcizzando la morte, si celebrava un nuovo ciclo vitale ed in effetti il periodo di Carnevale coincideva con quello dell’inizio dell’anno agricolo e quindi i festeggiamenti diventavano un modo allegro per propiziarsi il raccolto.

Oggigiorno, si è un po’ persa l’abitudine di celebrare il Carnevale: resta d’obbligo per i bambini la tradizionale festa mascherata, ma anche gli adulti spesso non disdegnano travestirsi. Basta però una busta di coriandoli per ricordarci che siamo in quel periodo un po’ pazzo dell’anno.

A proposito dei coriandoli, è ancora dibattuta la loro origine: sembra che risalgano al Rinascimento quando venivano realizzati ricoprendo di zucchero i semi del coriandolo, immersi nel gesso e poi essiccati, da gettare dalla cima dei carri in maschera o dalle carrozze sulla folla in festa come gesto benaugurante. Successivamente, grazie all’idea di due italiani, Enrico Mangili di Milano ed Ettore Fenderl di Trieste, diventarono cerchi di carta di scarto, di quella usata per l’allevamento dei bachi da seta. C’era però una spiegazione per questo cambiamento: non si aveva abbastanza denaro per comprare i confetti di gesso.

Non hanno invece rinnovato la ricetta i dolci dell’antichissima tradizione culinaria del Carnevale. In queste settimane, sulle tavole primeggiano quelle che si chiamano chiacchiere al Nord e frappe al Sud ma che ogni regione d’Italia battezza a suo piacimento. Ad esempio si chiamano bugie o gasse o risòle in Piemonte e Liguria, merveilles in Valle d’Aosta, maraviglias in Sardegna, sfrappe nelle Marche e sfrappole a Bologna. In Abruzzo le identificano come cioffe, in Trentino come crostoli, lattughe in provincia di Brescia e Mantova, fiocchi in Emilia Romagna, fazzoletti in Toscana, cunchielli in Molise, guanti in Calabria, frappe nel Lazio.

Sono loro le vere regine del Carnevale, la cui origine risalirebbe ai frictilia che erano dolci fritti nel grasso di maiale in occasione dei Saturnali, e che per la loro forma – come una lingua – richiamano l’abitudine di parlare e scherzare con gli amici durante le feste. C’è anche un’altra spiegazione etimologica: pare che la regina Savoia volesse “chiacchierare” con i suoi ospiti ma ad un certo punto essendole venuta fame, chiamasse il cuoco di corte, Raffaele Esposito, per farsi fare un dolce. C’era poco in dispensa, e con pochi ingredienti – strutto, acqua e farina – voilà: diventarono storia.

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