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24 novembre 2022
di Ilaria Conti

Il caffè della felicità

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In ognuna delle 8 milioni di tazzine di caffè Illy consumate ogni giorno, c'è un pizzico di amore, felicità, relazioni e attenzione alle popolazioni del Sud del mondo. Andrea Illy, presidente della società che porta il suo nome, trasmette tutta la sua passione e il suo impegno nel raccontare l’ambizione e il ”sogno di offrire il migliore caffè al mondo”.

“Abbiamo come slogan ‘live happilly’ - spiega - perché il caffè è la bevanda della felicità, fa bene allo spirito, fa bene al corpo, alle relazioni umane, è la bevanda del successo nel lavoro e nella società. E’ la bevanda dell’altruismo perché racchiude tutta la generosità del gesto di offrire e consumare assieme, della commensalità. Il benessere che il caffè dà a chi lo consuma e soprattutto lo sviluppo che crea per chi lo produce nel Sud del mondo. Per questo un barattolino di Illy potrebbe essere un regalo tra i più belli che si possano fare a Natale e sfido, ancorchè sia più caro degli altri caffè, a trovare un regalo più accessibile”.

Secondo Illy alla base della bevanda più consumata in Italia ci sono tre valori, insegnamenti che gli sono stati trasmessi dal papà, Ernesto Illy, da cui ha ereditato l’azienda : “Il concetto di etica, la nostra libertà finisce dove inizia quella degli altri – anche delle generazioni future – l’amore per la conoscenza e l’idea che nell’impresa il vero padrone è il consumatore, non siamo noi”. L’azionista, dice, “è al servizio dell’impresa. Con le 8 milioni di tazzine di Illy consumate al giorno, i flussi di cassa arrivano dalle tasche dei consumatori. Il profitto è un mezzo e non un fine. Il nostro ‘purpose’ è di contribuire al miglioramento della qualità della vita”. E il caffè è solo un mezzo, “ma ce ne sono tanti altri”.

Nell’impresa il vero padrone è il consumatore

Per ottenere il massimo l’azienda ricerca da decenni l’Arabica più pregiata nelle terre dove il caffè cresce e instaura un rapporto diretto, individuale e duraturo con i coltivatori, in una logica di cooperazione virtuosa. “Il nostro – racconta Illy – è un sistema di approvvigionamento diretto che è fatto dalla selezione dei migliori produttori al trasferimento di conoscenza e infine l’acquisto diretto pagando loro un significativo premio che mediamente è del 30%”.

Uno dei pilastri dell’azienda è infatti quello di riconoscere la qualità e garantire un prezzo profittevole: il solo modo per rendere realmente sostenibile una produzione è retribuire bene i coltivatori. Al prezzo basato sulla quotazione del mercato internazionale, viene aggiunto un margine equo, che tiene conto dei costi di produzione e va a ricompensare il coltivatore per il maggiore impegno dedicato a ottenere la qualità.

Dobbiamo lavorare assieme mano nella mano con i produttori nei nove Paesi da cui compriamo

Da questa filosofia nasce anche ‘L’Ernesto Illy Coffee International Award” che vanta ormai 7 anni di ‘anzianità’. Illy ne spiega il senso: “Per selezionare i migliori caffè che la natura possa dare è necessario lavorare assieme mano nella mano con i produttori nei nove Paesi da cui compriamo le origini del nostro blend. Il premio è il miglior modo per attrarli e selezionare quelli che vogliono veramente impegnarsi nella migliore qualità sostenibile possibile. Anzi il premio gratifica il loro lavoro. E’ uno strumento motivazionale e aspirazionale importantissimo per tutti”.

Le altre parole chiave sono sostenibilità e lotta al cambiamento climatico. Uno dei progetti più importanti dell’azienda è la rigenerazione del suolo che, sottolinea Illy, “nasce da due imperativi: assicurare la produzione nel continuo e decarbonizzare l’attività di impresa come tutti dobbiamo fare entro il 2050 come dettato dagli obiettivi dalla Cop16”. Quindi come fare?  “Ho pensato che non fosse opportuno perseguire la via dell’offsetting – afferma - ovvero compensare le emissioni con programmi di sequestro di carbonio tipo riforestazione, ma che bisognasse fare la compensazione all’interno della propria catena del valore”.

La sfida del climate change è questione di sopravvivenza

Da qui è nata l’idea dell’agricoltura rigenerativa che consiste “nell’arricchire il suolo con carbone organico che nutre la terra. Il microbiota del suolo poi è responsabile non solo della fertilità, ma anche della resilienza ai fattori avversi”. L’agricoltura rigenerativa si differenzia da quella tradizionale per la biodiversità e il passaggio dall’agrochimica alla microbiologia. “Una rivoluzione che speriamo possa assicurare la transizione agroecologica per tutti i raccolti, non solo per quello del caffè”, è il suo auspicio. Il co-beneficio è intuitivo: “Se abbiamo un’agricoltura più sostenibile che usa meno agrochimica avremo meno contaminanti nei prodotti e un corpo più sano o meno intossicato”. L’agricoltura insomma diventa virtuosa perché “rigenerativa per l’ambiente e benefica per la salute”.

Bisogna cambiare modello. La parola d'ordine è agricoltura rigenerativa

Infine la sfida del climate change che “è letteralmente una questione di sopravvivenza”. Il modello estrattivo “non va bene è sbagliato e ha causato un danno ambientale significativo. Bisogna cambiare modello e usare quello rigenerativo, ma anche a guarire i danni del passato perché i danni ambientali non sono ancora irreversibili”. “Le tre transizioni energetica, imprescindibile per azzerare le emissioni di carbonio, agroecologica e industriale, dall’economia lineare a quella circolare, sono state innescate. Ora sta a noi portarle avanti”.

 

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