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L'Automobile
28 luglio 2022
di Massimo Tiberi

1950: l’Italia al volante

Fiat 1400 cabriolet 
Fiat 1400 cabriolet 
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Produzione di massa o artigianato di qualità? Nella seconda metà degli anni Quaranta, in piena fase di ricostruzione postbellica, è aperto il dibattito sul futuro della nostra industria automobilistica. Anche negli incontri, che in quel periodo animano la commissione per le politiche economiche della Costituente, si oscilla tra la cautela del commissario dell’Alfa Romeo Pasquale Gallo, alla guida di un’azienda pubblica in ambito Iri, che guarda ai modelli di nicchia in sintonia con la vocazione del marchio, e l’ottimismo di Vittorio Valletta, l’autoritario “professore” patron della Fiat, convinto delle potenzialità di un mercato destinato inevitabilmente a crescere.

D’altra parte, ancora nel 1947-48, in Italia circolano circa solo mezzo milione di auto, a fronte dei due milioni della Francia e i tre della Gran Bretagna, con l’Alfa che, per sopravvivere, si dedica anche a cucine economiche e mobili metallici, mentre la Lancia sconta le difficoltà della sua divisione veicoli industriali. Vanno meglio le cose per la Fiat, che si avvantaggia del forte apporto del Piano Marshall e dei legami politico-industriali con gli Stati Uniti. Denominatore comune per i costruttori è comunque una gamma di vetture che resta quella precedente la guerra, simboleggiata dalla 500 “Topolino”, dalle Aprilia e Ardea o dalla esclusiva (appena qualche centinaio all’anno) 6C 2500 del Biscione.

Nel 1947-48, in Italia circolano circa solo mezzo milione di auto, a fronte dei due milioni della Francia e i tre della Gran Bretagna

La svolta avviene nel 1950, quando si abbandona con determinazione ogni perplessità da parte di tutti, dando impulso a scelte che faranno del settore auto uno dei perni fondamentali dell’economia nazionale. Protagonisti tre modelli, che nascono tra marzo e ottobre, segnando le diverse vocazioni che a lungo identificheranno i rispettivi marchi: la Fiat 1400, la Lancia Aurelia e l’Alfa Romeo 1900. Non sono utilitarie (per la vera e propria motorizzazione di massa bisognerà attendere la 600 del 1955), ma scommettono sull’ascesa di un ceto medio e medio-alto nel Paese, rappresentando concretamente la volontà di aprire una nuova fase di sviluppo.

La Fiat 1400

È la rassegna di Ginevra il palcoscenico per il lancio della 1400, enfatizzata come “modello del cinquantenario” della Casa, berlina ispirata ad americane come la Kaiser Special e prima Fiat con carrozzeria a scocca portante, frutto dei rapporti con la Budd di Detroit. Parentele che per Valletta, ossessionato da una possibile vittoria comunista in Italia (siamo nel pieno del confronto dei blocchi), valgono anche come assicurazione per un eventuale trasferimento delle linee di montaggio oltreoceano. Sobria e moderna nei tratti estetici, a sei posti, con finiture di buon livello, dotazioni non scontate per quei tempi (impianto di ventilazione e riscaldamento di serie) e un prezzo equo (1.275.000 lire), la debuttante non eccelle ma non delude neppure in fatto di prestazioni (44 cavalli di potenza e 120 km/h).

Nessun acuto tecnico particolare, ma Dante Giacosa, responsabile del progetto, ha raggiunto gli obiettivi per un’auto di un certo tono, confortevole oltre che poco impegnativa nella guida. E nel 1952 è la volta della 1900 che, mantenendo in sostanza lo stesso corpo vettura, aggiunge, alla cilindrata maggiorata e alla potenza di 58 cavalli, allestimenti di pregio e cambio a cinque marce.

Ad affiancare le berline, inoltre, una versione Cabriolet della 1400 (qualche esemplare destinato addirittura alla Polizia) e l’elegante 1900 Coupé Granluce. L’evoluzione del modello porterà costanti aggiornamenti e l’arrivo, nel 1953, della variante diesel (prima italiana a gasolio) con motore 1900 da 40 cavalli derivato dal commerciale 615/N e dalla fuoristrada Campagnola. Più di 200.000 le unità prodotte complessivamente di entrambi i modelli e, dopo il 1958, la 1400 proseguirà ancora il suo corso in Spagna, costruita dalla Seat fino al 1964.

La Lancia Aurelia

Si rivolge invece ad un pubblico più esclusivo la Lancia, che sceglie il Salone di Torino per presentare l’Aurelia, concentrato di soluzioni d’avanguardia per l’epoca, nel solco di una tradizione di rivoluzionarie pietre miliari come la Lambda del 1923 o l’Aprilia del 1937. Pur dovendo far fronte ad una situazione aziendale tutt’altro che tranquilla, Gianni Lancia, avvalendosi di due collaboratori dalle straordinarie capacità tecniche, Vittorio Jano e Francesco De Virgilio, segue le orme del padre puntando su creatività ed innovazione.

Fra le prerogative, scocca portante e carrozzeria con parti in alluminio, sospensioni a quattro ruote indipendenti, cambio e freni in blocco con il differenziale posteriore per una ottimale ripartizione dei pesi. Ma a stupire è il motore, un inedito sei cilindri disposti a V (primizia mondiale assoluta) di 1.750 cc da 56 cavalli, che crescerà a due litri (fino a 90 cavalli e 160 km/h) e a 2,2 litri per l’ultima versione siglata B12.

Ad accompagnare tanta eccellenza dinamica, una linea elegante con le caratteristiche portiere dall’apertura ad “armadio” e un abitacolo a sei posti con finiture curate e raffinato panno di lana per i rivestimenti. Elitaria (costa 1.830.000 lire), l’Aurelia avrà vita breve, con uscita di scena nel 1955 e meno di 13.000 unità costruite.

Ma alla berlina sopravvivono per tre anni, le splendide derivate: la Coupé B20 disegnata da Mario Boano e la Spider-Convertibile B24 di Pinin Farina, resa mitica dal film Il sorpasso”.

L'Alfa Romeo 1900

All’aristocratica Aurelia, l’Alfa Romeo contrappone la grintosa 1900, suscitando tra i paladini dell’una e dell’altra una rivalità quasi da “Montecchi e Capuleti”. La nuova vettura milanese, parto di Orazio Satta Puliga e Giuseppe Busso, è d’importanza storica per il marchio, che con lei avvia una vera e propria produzione industriale proprio nel fatidico 1950 che vede Nino Farina vincere, con l’Alfetta 158, l’appena inaugurato Mondiale di Formula 1.

E la 1900 è cara (oltre due milioni di lire) ma non smentisce certo l’anima del Biscione, capostipite delle berline sportive, “auto di famiglia che vince le corse” e “Pantera” della Polizia, con il suo bialbero da 80 cavalli e prestazioni mai viste per una berlina sei posti, che aumenteranno ancora con le successive versioni T.I. e T.I. Super (al limite dei due litri, 100 cavalli e 180 km/h).

Non mancheranno neppure le varianti Coupé e Cabriolet, firmate Touring, Pinin Farina e Zagato, per circa 18.000 esemplari complessivi fino al 1958. Tre modelli, dunque, dalle anime diverse ma che, di fatto, creeranno le basi del mercato italiano dell’auto: dalle 49.000 unità vendute nel 1949, nel 1953 saranno già 112.000, per superare le 200.000 nel 1956, dopo l’arrivo di 1100, Appia, Giulietta e il boom della 600.

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