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23 dicembre 2022
di Annalisa Cretella

Il sogno di Zegna

Trivero, il lanificio Zegna 
Trivero, il lanificio Zegna 
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Una salita lunga, tutta tornanti fino a quando altissimi sbuffi di vapore ci fanno capire che siamo arrivati a destinazione. Eccoci a Trivero, il paesino nelle Alpi biellesi, dove Ermenegildo Zegna, appena 18 enne, fonda il suo lanificio. Lui, classe 1892, figlio di un orologiaio, fresco di scuola professionale a Biella, realizza il suo sogno. Qui, a 800 metri di altezza, si trova ancora oggi il cuore pulsante dell’azienda, poi ampliata negli anni ‘30, che i suoi successori - giunti alla quarta generazione - hanno portato nel mondo fino alla quotazione, un anno fa, alla Borsa di New York. MAG è entrata per voi in questo tempio sacro del tessile, una gigantesca e affascinante fabbrica di 4 piani con grandi vetrate, e i dipinti di Ettore Pistoletto Olivero (padre di Michelangelo) alle pareti.

Da lontano la si riconosce subito per l’antica ciminiera su cui campeggia il logo originario, messo in una posizione strana, di sbieco: è rivolto verso il cimitero in montagna dove si trovano le spoglie del fondatore. In azienda ancora oggi si può vedere il ciclo completo della lavorazione: dal fiocco di lana al tessuto finito.

E dopo aver girovagato per ore nelle diverse sezioni, un privilegio visto che è raramente visitabile, possiamo affermare che dietro ogni capo pronto per essere indossato, c’è un lavoro enorme. Al picco dell’attività, negli anni Settanta, qui lavoravano oltre mille persone, oggi ce ne sono 450, tutte con una seria formazione alle spalle. D’altra parte i ritmi sono serrati e le operazioni molto delicate.

Quando si entra nella sala del ‘controllo qualità’ si vedono mani sapienti che accarezzano il tessuto, su e giù, infinite volte, alla ricerca della più piccola imperfezione da correggere

Si comincia alle 6 del mattino, con il primo turno, e si va avanti anche tutta la notte in alcuni settori, con il terzo turno. Ogni reparto regala una sorpresa, svela la ‘via crucis’ di un bell’abito confezionato. Quando si entra nella sala del ‘controllo qualità’ si vedono mani sapienti che accarezzano il tessuto, su e giù, infinite volte, alla ricerca della più piccola imperfezione da correggere. Mentre eravamo lì, un’operaia specializzata, testa china sul bancone e occhi attenti, stava passando al setaccio uno dei tessuti più pregiati, il ‘vellus aureum selezione trofeo’, fatto di una lana merino più fine del cachemire, su misura per un cliente. Chi? Frenate la curiosità, il nome si leggeva ma ci hanno fatto promettere di non dirlo. Eh... la privacy. Ogni postazione è chiamata il ‘tribunale’.

E se i ‘giudici’ trovano il difetto, alt non si passa: si fa la riparazione con ago e filo, e poi si torna al finissaggio dove le stoffe vengono lavate e asciugate con il vapore, e di nuovo al controllo qualità. È quasi un’ossessione, sono tre gli step per la qualità. Ma questa è la fine del viaggio. L’inizio è tra i sacchi stracolmi di fiocchi di lana, dove abbiamo potuto affondare le mani e sentire le differenze tra la merino che arriva dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, il Kid mohair dal Sud Africa, il cachemire dalla Mongolia, fino alla fibra più pregiata al mondo, la vicuña (o vigogna) del Perù, che gli Inca usavano per tessere le vesti dei re. E già questa è stata un’esperienza.

Poi abbiamo visto le rocchette che girano, ognuna gonfia dei suoi 100 chilometri di filo. L’orditura, la tintura con gli effetti mélange, e la sala della tessitura, dove si trovano 100 telai, da quelli più antichi con la navetta in legno a quelli modernissimi “ad aria”, che riescono a realizzare 30 centimetri di stoffa al minuto. Qui il pavimento quasi trema per i ‘colpi’ frenetici delle macchine, mentre salvifici tappi per le orecchie coprono il fracasso. Al piano superiore c’è l’ufficio ’stile’ dove si decidono le tendenze e si sta lavorando già alla collezione primavera-estate 2024. 

Il nonno visionario

Aveva solo 14 anni, e il lunedì mattina “andava a piedi fino a Biella dove frequentava la scuola professionale, dormiva al Convitto e il sabato sera, tornava a casa, a Trivero, rifacendo i 30 chilometri a piedi”. Paolo Zegna non nasconde tutta la sua ammirazione per questo “bambino incredibile”: suo nonno, Ermenegildo Zegna, classe 1892, fondatore dell’azienda di abbigliamento maschile di lusso che porta il suo nome. È lui il prezioso insider che racconta a Mag i ‘segreti’ di famiglia. Lo abbiamo incontrato, avvolto in un caldo cappotto blu, in compagnia della fidanzata, Barbara Varese, a La Bursch, la storica dimora dei nonni che lei ha restaurato, creando una sorta di albergo diffuso nel borgo di Oretto, in valle Cervo.

“In realtà - ci svela - la storia è iniziata ancora prima del 1910 (quando il 18 enne Ermenegildo fondò l’azienda, ndr.), con i 4 telai del bisnonno Michelangelo, che faceva 3 mestieri: non solo riparava orologi, ma insegnava pure alla scuola elementare del paese. I telai li usava soprattutto per esigenze private, anche perché aveva 12 figli da vestire. Il nonno Ermenegildo era l’ultimo” della tribù, l’unico che ha studiato”.

Crescendo “si è avvicinato al tessile ma non, come si faceva a quel tempo, imitando il tessuto inglese. Lui aveva creatività, fantasia, la capacità di mettere assieme le persone e soprattutto la visione. Piano piano, con caparbietà, viaggiando, ha creato la sua struttura distributiva, aiutato in questo dai sarti italiani emigrati in America. Sono stati loro i nostri ambasciatori”. Diciamolo, quelli napoletani in particolare. “Già nel 1938 ha iniziato a vendere lì. E adesso il tessuto biellese è in tutto il mondo”.

Bisnonno e nonno ne sarebbero molto orgogliosi. “Credo proprio di sì. Se le cose sono andate in questo modo è anche perché abbiamo seguito un loro insegnamento è cioè che la nuova generazione doveva sempre riconquistare quello che la precedente aveva fatto, senza adagiarsi: seguirne le orme, aggiungendo qualcosa. Il nonno ha iniziato con il tessile, i nostri genitori sono passati al prodotto finito”, con il lancio delle prime collezioni di prêt-à-porter, segnando il passaggio alla ‘confezione’ e poi al ‘su misura’, e nel 1980 c’è stata l’apertura del primo negozio, che sorprendentemente non fu in Italia, ma a Parigi. Quello di Milano è arrivato 5 anni dopo.  “Io e mio fratello,  abbiamo spinto sull’internazionalizzazione in negozio, ognuno ha aggiunto un tassello.

Si è avvicinato al tessile ma non, come si faceva a quel tempo, imitando il tessuto inglese. Lui aveva creatività, fantasia, la capacità di mettere assieme le persone e soprattutto la visione

Oggi c’è il digitale e l’allargamento con l’acquisizione di altri marchi” grazie a figli, nipoti e cugini che sono già in azienda “in posizioni chiave”. Ma visto che per innovare bisogna avere orizzonti larghi, la regola per i giovani è fare 5 anni di esperienza in aziende internazionali prima di entrare in azienda. In tutto, oggi nel gruppo Zegna, la famiglia è presente “con 5 membri operativi e 2 nel Consiglio”. Si cresce e si va al passo con i tempi, con progetti di riciclo e materie sostenibili, ma certo l’ambiente e l’attenzione al sociale già facevano parte del DNA di Ermenegildo senior. Attorno alla fabbrica c’era un mondo: con la scuola, la biblioteca, il cinema, l’ospedale fino anche a una piscina con i mosaici originali, oggi ceduta al Comune.

E poi case col tetto a punta, impianti sportivi e piste da sci in montagna dove si trova l’Oasi Zegna, con le oltre 500 mila conifere che fece piantare realizzando una grandiosa opera di forestazione lungo una strada panoramica di 26 chilometri, con affaccio su Monviso e Monte Rosa, che – sempre lui - fece costruire con scalpello e dinamite. Oggi nelle abitazioni destinate un tempo ai suoi impiegati ci sono cascine agricole, maneggi, alberghi e ristoranti, un micro birrificio. “Il convincimento di mio nonno, era che la parte storica dovesse essere valorizzata” e fatta rivivere, “non la si doveva mai dimenticare ma custodire”.

A questo contribuisce il grande Archivio, che si trova tra la bella villa bianca a due piani dove un tempo abitavano, Angelo e Aldo (il papà di Paolo), figli del fondatore, e la villa di quest’ultimo. Quando si dice ‘casa e lavoro’. “Nell’Archivio c’è tutta la passione del nonno, i libricini sui quali prendeva appunti con la china rossa e nera, senza sbavature: annotava i costi della lana, gli stipendi dei dipendenti, le ricette dei colori”. Ci sono i fiocchi di lana morbida da vedere e da toccare, dal mohair alla preziosa vigogna, la cui tosa avviene solo una volta ogni 2-3 anni e ogni animale produce non più di 150 grammi di fibra.  E ci si rende conto del lungo processo per arrivare all’abito finito.

Robert De Niro, Javier Bardem e Adrien Brody. Celebrità di tutto il mondo per il lanificio di Trivero

“Dal momento in cui la pecora viene tosata in Australia abbiamo calcolato 500 mani per arrivare all’abito in negozio” si legge su un cartello. Da una sala all’altra ci si imbatte in articoli memorabili, come il sotto casco in lana e seta che si usava negli anni ‘70, e foto delle campagne pubblicitarie con testimonial come Robert De Niro, Javier Bardem e Adrien Brody. Celebrità di tutto il mondo per il lanificio di Trivero. Ma qual è il segreto di Zegna? Come ha fatto a difendersi diventando sempre più una bandiera del Made in Italy? “Con un misto di orgoglio, coraggio, senso di responsabilità per la tradizione di famiglia e determinazione”. Il fatturato rende giustizia a questa visione: il gruppo l’anno scorso ha registrato ricavi per 1,29 miliardi di euro.

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