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15 luglio 2022
di Laura Antonini

Missione Wanda. Lui, lei e l'impero di Ferragamo

Wanda Ferragamo 
Wanda Ferragamo 
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Figlia, moglie, madre vedova e poi donna d’impresa capace di far crescere un’azienda di calzature trasformandola in casa di moda internazionale e quindi in società per azioni quotata alla Borsa di Milano. Infine ma non per ultimo nonna di una vera e propria tribù di oltre 70, tra nipoti e pronipoti, sparsi per mezzo mondo con cui fino alla fine dei suoi giorni è rimasta in contatto inviando lettere affrancate con indicazioni, ritagli di giornali e qualsiasi suggerimento ritenesse utile alla loro crescita interiore e professionale. Quella di Wanda Ferragamo a 18 anni andata in sposa al calzolaio delle dive 24 anni più grande di lei, è una storia che ha dello straordinario. Una vita incredibile ed esemplare di una donna che durante tutta la sua lunghissima esistenza, (è scomparsa nel 2018 a 97 anni) è riuscita a dare concretezza al sogno del marito facendolo arrivare integro ai giorni nostri e, in punta di piedi, ha precorso con il suo stile di vita e le sue scelte personali i tempi.

Lui visionario e geniale di umili origini, ma dotato di carattere e volontà era partito da Bonito, piccolo paese dell’Irpinia per l’America. Sapeva fare le scarpe e voleva fare le più belle e comode al mondo. Ci riuscì in poco tempo rivoluzionando calzata e produzione di un accessorio così essenziale al guardaroba femminile seducendo attrici di Hollywood come Marilyn Monroe e Greta Garbo.

Poi era tornato in Italia, a Firenze, simbolo di quella bellezza già nota al viaggiatore europeo e culla di quelle maestranze che presto sarebbero state capaci di far guadagnare al prodotto il bollino virtuoso di “made in Italy”. Il suo sogno andava oltre e coincideva con la doppia ambizione di allargare il business per vestire la donna dalla testa ai piedi e di realizzare un’impresa dove tutta la sua famiglia avrebbe potuto lavorare. Una missione che solo grazie all’alleanza con Wanda Miletti avrebbe preso corpo diventando una realtà che si è rigenerata anche dopo la sua morte nel 1960.

Lei, Wanda Miletti, era nata nel 1921 a Bonito proprio come Salvatore. Nel minuscolo paese a meno di un’ora da Napoli aveva studiato in casa come si conveniva ai figli dei benestanti, il padre era medico condotto molto rigido e molto stimato, per poi continuare in un collegio di suore francesi. Era rimasta orfana di madre e aveva perso già due fratelli quando nel 1940 incontrò per la prima volta la sua anima gemella, Salvatore. Già stabilito a Firenze, Ferragamo era in visita nel paese natio come benefattore. “Mio padre diceva che non era bene sposare un uomo più grande di me, che mi sarei trovata vedova e con tanti bambini e così è stato. Ma io dopo il collegio sognavo il principe azzurro e mi deprimevo pensando che nel mio paesino nessuno mi sarebbe venuto a scovare…” si legge in una delle tante testimonianze che ha rilasciato.

Galeotta fu una scarpa che Salvatore le fece provare. Nel tempo record di tre mesi ci fu il matrimonio e quindi il trasferimento nella capitale del Rinascimento con una bella casa sulla collina di Fiesole, ospiti illustri come Doris Day, Audrey Hepburn, e Sophia Loren, e la famiglia che si allargava con la nascita di sei figli. Fiamma, Giovanna, Fulvia, Ferruccio, Leonardo e Massimo. Il più grande ha 19 anni e il più piccolo di 2 quando a soli 38 anni Wanda il 7 agosto del 1960 rimane vedova del suo adorato Salvatore. Un evento tragico che dopo le prime settimane di smarrimento imprimono nella vita di questa donna la volontà di non vanificare il progetto di vita condiviso con il marito.

“Non avevo mai lavorato – dirà più volte con modestia – ma decisi di continuare nel sogno”. In seguito molti le hanno chiesto come ha potuto farcela. “Non lo so”, rispondeva “La donna è un po’ custode dei sentimenti che animano l’unione. Un poco alla volta mi è venuta fuori quell’energia necessaria per andare avanti. Io che mi ero sempre e soltanto occupata della mia famiglia, ho dovuto fronteggiare tutto. Management, rifornimenti, cose tecniche, controllo delle spese. Io credo che tutte, o quasi tutte, le donne saprebbero condurre bene un’azienda se sono in grado di amministrare saggiamente la loro famiglia. Conoscevo tutti i progetti perché Salvatore mi teneva sempre al corrente. Quanto mi sono divertita a lavorare”.

Le donne del boom

Donne che si dividono tra lavoro e famiglia. Madri, mogli e figlie impegnate e in eterno bilico sul filo della responsabilità. Un tema quanto mai attuale, spesso oggetto di dibattitto. Raccontato ora con una nuova poesia, quella dell’arte e del design, nella bellissima mostra “Donne in Equilibrio” a cura di Stefania Ricci e Elvira Valleri, in corso al Museo Salvatore Ferragamo di Firenze fino al 18 aprile 2023.

Una rassegna che nello stile della Maison che nel suo palazzo Spini Feroni affacciato su Via Tornabuoni nel cuore della città ha il suo museo, racconta l’evoluzione femminile nel periodo del boom economico a partire dalla figura iconica di Wanda Miletti Ferragamo.

Moglie di Salvatore il calzolaio delle dive, geniale fondatore dell’omonimo marchio, questa donna dal 1960 fino alla sua morte avvenuta il 19 ottobre 2018, ha guidato in modo intelligente e solido il brand che il marito aveva fatto esplodere come marchio simbolo del made in Italy nel mondo.

Wanda fu pioniera di una interessante e personale ricerca di equilibrio tra la nuova dimensione lavorativa e la famiglia

Una figura quella della Signora Wanda come tutti l'hanno sempre chiamata in azienda dove è andata al lavoro fino alla fine, quasi mitica che nell’agosto del 1960, quando morì l’amato Salvatore, con sei figli e un’azienda avviata si trovò a raccoglierne l’eredità imprenditoriale della maison trasformando un laboratorio artigianale di calzature da donna in una casa di moda internazionale dal 2011 società quotata alla Borsa di Milano. Decidendo di porsi alla guida dell’azienda fu così pioniera di una interessante e personale ricerca di equilibrio tra la nuova dimensione lavorativa e la famiglia.

“Non avevo mai lavorato prima in vita mia e quindi non sapevo da che parte cominciare, oltretutto non avevo nessun tipo di preparazione per farlo – si legge in uno scritto della signora Wanda - Fino ad allora mi ero presa cura della casa e dei bambini, che era ciò a cui si limitava l’educazione per le donne della mia epoca. Ora la famiglia e l’azienda avevano un solo capo, che ero io stessa. Era tutta una sfida per raggiungere l’equilibrio tra la responsabilità di educare i figli e allo stesso tempo imparare il mio nuovo ruolo in azienda. Era quasi un gioco di prestigio di cui divenni esperta. Cercavo di concentrarmi su una nuova linea di prodotto, mentre due secondi dopo dovevo rispondere a tutte le richieste dei miei sei figli. Come vorrei essere ricordata? Soprattutto come mamma, una mamma prestata all’imprenditoria”.

Come vorrei essere ricordata? Soprattutto come mamma, una mamma prestata all’imprenditoria”

Parte da lei e dell’esperienza di una delle prime “capitane” dell’industria italiana il fil rouge che tiene insieme le nove sale dalla mostra al Museo Ferragamo che mette al centro del percorso espositivo la complessità della realtà femminile in Italia tra gli anni cinquanta e sessanta, periodo in cui Wanda ha cambiato la propria vita. Sono gli anni del cosiddetto “miracolo economico”, un periodo contrassegnato da profondi mutamenti nella società italiana. Un momento nel quale una folla di donne si affaccia nei diversi settori della società italiana; è una realtà in movimento che testimonia il complicato e anche contraddittorio cammino, che non ha portato solo all’affermazione personale di molte, ma ad una maggiore libertà per tutte, contribuendo alla costruzione dell’Italia repubblicana.

Per raccontare questo viaggio nel cambiamento dell’universo femminile lo scenografo Maurizio Balò ha scelto di trasformare le sale museali in nove stanze di un appartamento tipico della famiglia borghese del periodo. E’ l’abitazione infatti, lo spazio privato, da arredare e personalizzare, il luogo identitario per eccellenza della donna. L’unico settore fuori contesto è la sala introduttiva che riproduce l’ufficio di Wanda Ferragamo, affacciato su Piazza S. Trinita.

Qui si possono ammirare le foto di famiglia, le lauree ad honorem ricevute negli anni, e i tanti scatti fotografici in cui Wanda è insieme a personaggi celebri, come Papa Giovanni Paolo II o la Regina Elisabetta, dalla quale era stata ricevuta il 15 marzo 2005 a Buckingham Palace, in occasione del ricevimento di stato organizzato per il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi.

I temi delle sezioni della mostra intendono quindi richiamare le stanze di questa casa ideale: il tinello, la biblioteca che racconta le nuovi professioni femminili come la hostess e la segretaria, la mansarda, la cucina che accoglie al suo interno le novità tecnologiche che aiuteranno da allora le donne ad avere meno pensiero per le attività domestiche, grazie agli elettrodomestici.

In mostra assieme ad oggetti d’epoca anche le pagine delle riviste, così come i filmati pubblicitari, trasmessi dalla popolare rubrica televisiva Carosello, nata nel 1957, presentano la nuova intimità familiare come un universo autoreferenziale nel quale sperimentare nuove abitudini, che servono a scandire i tempi del quotidiano e i livelli di status economico. E poi il salotto, la camera delle ragazze, il guardaroba una stanza scenografica dove la protagonista è quella moda italiana che nel 1955 ha conquistato l’estero con l’affermazione del nuovo settore industriale, il prêt-à-porter.

Una moda che risponde alla nuova identità di una donna che si muove a prende i mezzi  e necessita di un abbigliamento pratico. A disegnarlo ci sono i nomi femminili delle sartorie italiani da Antonelli a Germana Marucelli da Gigliola Curiel alle Sorelle Fontana,  e poi  Roberta di Camerino e Simonetta che in mostra sono presenti con alcune creazioni mentre le scarpe selezionate sono produzione di Salvatore e Fiamma Ferragamo. 

La storia della Ferragamo restituisce il senso di come il grande sentimento di Wanda Ferragamo unito ad un innato senso pratico della vita e ad un’incredibile capacità di relazione e comprensione abbiano trovato in questa figura il vero perno del successo arrivato fino ad oggi. “Non amava parlare di sé né tantomeno attribuirsi meriti – ricorda Stefania Ricci che dirige quel Museo Ferragamo dal 1995 tra i primi musei d’impresa d’Italia voluto fortemente proprio dalla signora Wanda e che in questi mesi ospita  la mostra “Donne in equilibrio” che rende omaggio proprio alla sua figura di donna capace di conciliare ante litteram privato e lavoro – ha sempre fatto parlare il sogno del marito che poi è diventato anche il suo contribuendo così all’evoluzione della maison”.

La Signora Wanda seguiva e accudiva l’azienda come si si fa con una famiglia e allo stesso tempo ha fatto crescere la famiglia cercando di tenerla sempre unita

Oggi la sua figura viene ricordata dalla nipote Ginevra Visconti che in occasione della mostra a lei dedicata al Museo Ferragamo ha scritto “Nel Libro Rosso di Tà” (Electa edizioni). Che Wanda Miletti sia stata centrale negli anni a venire dello sviluppo aziendale è indubbio. Dai molti documenti dello sconfinato archivio Ferragamo si trovano tracce di come sono state impostate le basi di quella che è diventata, prima della quotazione in borsa, una delle imprese familiari di successo che tuttora non ha ceduto alle lusinghe dei grandi gruppi francesi.

A testimoniare la sua grandezza non sono mancati i riconoscimenti ricevuti. Il premio Donna internazionale dell’anno nel 1982, la laurea honoris causa in Lettere dalla City University di New York nel 1986. La nomina a Cavaliere del lavoro della Repubblica italiana nel 1987. Ma anche il grado ufficiale dell’Impero Britannico nel 1991, onorificenza che le dette la Regina Elisabetta, il Fashion Group Award a New York e il premio Qualità Italia nel 1997 consegnatole dal presidente della Repubblica italiana.

“La Signora Wanda seguiva e accudiva l’azienda come si si fa con una famiglia e allo stesso tempo ha fatto crescere la famiglia cercando di tenerla sempre unita– continua Ricci – ha avuto sempre uno stile di vita coerente che dall’alimentazione alla cura di sé, al dosaggio della mondanità fino al rispetto degli orari per il riposo alla sera non le hanno mai fatto perdere di vista la lucidità e l’entusiasmo di centrare l'obiettivo che si era posto”.

E tutto senza una formazione da manager guidata piuttosto da un’intelligenza che oggi si direbbe in base alle nuove teorie aziendali, emotiva con cui ha anche saputo scegliere i giusti collaboratori e prendere decisioni. Con il suo intuito ha capito quali fossero i luoghi più adatti per aprire un negozio, ha analizzato la clientela locale e la concorrenza, ha studiato l’offerta produttiva, curato la formazione degli addetti alle vendite, il loro modo di presentarsi, e persino il posizionamento della merce sugli scaffali

Tra tant,e la scelta nel 2006 di un amministratore delegato (Michele Norsa) che fu capace di portare nel 2011 la quotazione in Borsa della maison ma anche la decisione di limitare l’accesso delle nuove generazioni in azienda grazie ad un accordo che ha disciplinato in modo pionieristico, tra le imprese familiari italiane, la spinosa questione del passaggio generazionale.

I giovani mi preoccupano. Li vedo spesso senza obiettivi, senza ideali, senza riferimenti sani, stanchi di esistere.

I giovani sono infatti stati sempre al centro delle sue attenzioni. Ai nipoti faceva recapitare lettere personali e ritagli di giornali magari con il discorso di Obama o con una pubblicazione scientifica che raccontava di una una nuova importante scoperta. Le sue lettere dovevano essere archiviate, conservate e per questo aveva spedito a tutti anche un un grande libro rosso di pelle con incise le iniziali dei rispettivi nomi. Ancora a tutti aveva donato una strana bambola in argento fatta fare da un artigiano fiorentino con il corpo basculante che non la faceva mai cadere, come a dire che "sì si può anche sbagliare ma l'importante è poter tornare sempre in equilibrio".

“I giovani mi preoccupano – dirà poi negli ultimi anni di vita-  Mi pare che siano un po’ dimenticati. Li vedo spesso senza obiettivi, senza ideali, senza riferimenti sani, stanchi di esistere. Bisogna fissare dei traguardi, piccoli o grandi, perché sono la grande forza che ci spinge ad alzarci tutte le mattine”. È proprio pensando a loro che ha voluto che prendessero vita prima il museo e quindi nel 2013 la Fondazione Ferragamo, un’eredità utile ad alimentare il vigile ricordo di una storia imprenditoriale costruita su valori morali, prima che economici, da tramandare alle generazioni future.

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