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16 febbraio 2024
di Guendalina Dainelli

"La Via della seta deludente per l'Italia" 

Francesco Mancini
Francesco Mancini
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 “Forse il senatore americano Cotton, quando ha interrogato sulla sua nazionalità il Ceo di TikTok Shou Zi Chew, singaporiano, ipotizzando che fosse affiliato al Partito comunista cinese, non ha tenuto a mente che l’esercito americano ha accesso alle basi aeree e navali di Singapore. La vicenda ha suscitato parecchio disappunto da queste parti.” L’ha detto Francesco Mancini, vice preside della Lee Kuan  School of Public Policy di Singapore, in merito alle domande rivolte nei giorni scorsi da un senatore repubblicano durante un’audizione sullo sfruttamento dei minori online. Il video ha fatto il giro del Web. “Oltre il 70% della popolazione di Singapore è di etnia cinese, frutto di un’immigrazione legata alla storia del paese e iniziata due secoli fa. Ma l’Asia non è la Cina. E neanche Singapore è la Cina. Sono paesi distinti, con culture molto diverse, la multirazzialità che c’è qui non è presente nella Cina continentale, principalmente Han. Qui inoltre ci sono capacità di relazione con il resto del mondo che non sono paragonabili”.

Dal suo osservatorio - l’Istituto intitolato al primo Prime Minister, colui che ha accompagnato il paese fuori dalla dominazione britannica, dal perimetro territoriale malese e dal terzo mondo alla modernità - Mancini accetta di raccontare a MAG  il suo percorso, i diversi temi sul tavolo dell’Asean e i rapporti dell’area con l’Italia. “Secondo il ranking 2023 di QS World University, la NUS (National University Singapore) è l’ottava al mondo e l'unica asiatica tra le prime dieci. Non ho un vero percorso accademico, sono arrivato dopo aver lavorato per 15 anni nel Peace Keeping a New York per il centro di ricerca International Peace Institute vicina alle Nazioni Unite. Ho lavorato con un inviato speciale in Libano e anche insegnato alla Columbia University. A Singapore, siamo parte di network globali con grande capacità di proiezione. Solo il 20% dei nostri studenti sono locali e abbiamo spesso studenti italiani, oltre a uno scambio con la Bocconi, e sono sempre molto preparati. Per tanti, un grande trampolino di lancio”.

Tutti i paesi del Sud-est asiatico fanno parte della BRI, la Via della seta, come è stata accolta la notizia del ritiro italiano? Il programma si sbilancia sempre più sui paesi emergenti?

“A dire il vero mi ha stupito l’ingresso dell’Italia quattro anni fa. La BRI, rispetto a cui l’Italia non ha rinnovato il Memorandum allo scadere del termine, è un grande progetto infrastrutturale. Coinvolge paesi, come quelli ASEAN, che hanno bisogno di grandi infrastrutture, strade, ponti, aeroporti. Questi paesi però fanno anche attenzione a diversificare gli interlocutori, come la Corea o il Giappone, che in Indonesia ha costruito la metropolitana della capitale. Nel complesso, la BRI e’ stata deludente per l’Italia che non ha visto investimenti significativi della Cina per le sue infrastrutture.”

Quali ripercussioni vede nei rapporti con Cina e ASEAN?

“Di certo, non ci sono ripercussioni sul piano economico. L'export italiano in Cina è passato, secondo Fmi, da 13 miliardi pre-covid a 16, quello cinese in Italia da 31 miliardi nel 2019 a 57 nello scorso anno. Quanto all’ASEAN, l’Europa è il terzo partner commerciale dopo China e Stati Uniti. Quanto all’Italia, là dove fatichiamo è sull’investimento diretto, nella capacità di creare lavoro, soprattutto per le nostre Pmi. Ma il Sudeast asiatico rimane un mercato molto interessante per noi, sia dal punto di vista industriale sia per beni di consumo. Singapore è il paese da cui partire, perchè ha un’infrastruttura eccellente, completa di connettività e hub logistici. La Cina rimane di difficile accesso, soprattutto per chi non si è preparato per tempo.”

Si è appena svolto il 24esimo ASEAN-EU Ministerial Meeting. Il multilateralismo è alla prova dei fatti tra le diverse crisi internazionali e diversi posizionamenti? L’aumento di gruppi “mini laterali” nell’Indo-Pacifico, come il Quadrilateral Security Dialogue (QUAD), il partenariato trilaterale sulla sicurezza tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti (AUKUS) e altri trilaterali riflettono una tendenza globale?

“La geografia conta quando si parla di conflitti. Le crisi in Ucraina e Medioriente sono lontane ma osservate con attenzione. Non solo per l’inflazione nei beni di consumo, ma anche perché a livello geopolitico la violazione della sovranità territoriale è un grave campanello d’allarme, soprattutto per la “piccola citta’-stato” Singapore, che ha sottoscritto le sanzioni contro la Russia. Le alleanze di cui parla esistono da tempo. La Cina praticamente non ha alleanze militari, la Shanghai Cooperation non è riuscita ad affermarsi. Oggi, sempre di più i paesi giocano su diversi tavoli e non vogliono scegliere tra America e Cina. D'altra parte, il sistema globale centrato su USA e UE vede emergere nuovi poteri, anche a livello economiche con le diverse Banche di Sviluppo. I Brics hanno la loro, la Cina ha creato Asian Infrastrutture Investment Bank.”

Le recenti elezioni a Taiwan sono per alcuni paesi dell’Asean l’occasione per riaffermare il principio “one-China policy”. Per tutti il timore che le tensioni nello stretto possano colpire le economie locali. Cosa vede all’orizzonte?

“Alcuni colleghi americani credono che la Cina invaderà Taiwan. Nessuno lo sa, ma credo siano preoccupazioni esagerate. Certo, da anni la Cina esercita pressioni, anche militari e ha espresso obiettivi di riunificazione. Al di là della retorica, Xi Jinping è molto diverso da un leader come Putin, ad esempio. Anzi, credo che la follia di Putin in Ucraina, il suo insuccesso a ottenere gli obbiettivi militari che si era preposto, e la reazione compatta a sostegno dell’Ucraina di America, Europa e molte altre regioni, siano un ulteriore deterrente per Xi. Non mi aspetto a breve ulteriori sviluppi.”

Si è appena svolto in Laos l’ASEAN Foreign Ministers Retreat. Per la prima volta il Myanmar ha inviato un rappresentante (non politico) a una riunione ad alto livello dal colpo di stato del 2021 e dal rovesciamento da parte della giunta militare del governo democraticamente eletto.

“È un problema enorme qui nell'area e di difficile soluzione, non credo arriverà a breve. L’ASEAN cerca di fare pressione con modalità asiatiche, ma ha anche condannato le violenze in molto inequivocabile. Guardo a questa organizzazione con grande rispetto, insieme all’Europa è una delle più robuste. Ma qui vige la regola del consenso tra i 10 membri, non quella della sanzione, della blacklist o dell’espulsione, tipicamente occidentali.”Il Myanmar è stato sotto sanzioni per decenni e nulla è accaduto. Il fatto che sarà sostituito dalle Filippine alla guida ASEAN nel 2026 è una mossa forte, non un’affermazione dello status quo. Quanto alle Nazioni Unite, fino al dicembre 2022, il tema non era neppure nel Consiglio di sicurezza perché la Cina poneva il veto sull’agenda. Senza una posizione politica unitaria dei cinque membri permanenti, nessun Inviato speciale può fare nulla. La soluzione può arrivare piuttosto a livello ASEAN, anche se in questi tre anni il suo approccio “costruttivo” non ha prodotto alcun cambiamento. In Laos, ASEAN ha deciso di mandare aiuti umanitari per la prima volta. Vedremo se questo nuovo impegno porterà qualche cambiamento nei Generali in Myanmar.”

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