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25 settembre 2022
di Gabriele Fazio

Zeromania, fenomenologia dei sorcini

Renato Zero 
Renato Zero 
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Renato Zero torna ad accendere Roma e Roma torna a riabbracciarlo, a coccolarsi uno dei suoi più illuminati figli, un artista nel senso più assoluto del termine, e allo stesso modo romano, indissolubilmente romano, indissolubilmente legato alle dinamiche della propria città, della propria culla; un’identità non è mai riuscita a sovrastare l’altra, artista altissimo, raffinato, provocatore, che non ha mai girato le spalle alla sofferenza, al disagio, agli ultimi, mescolato al romano verace, mai realmente distante dalla sua dimensione cittadina, locale, anche selvaggia, come selvaggia sa essere alle volte Roma.

Il traguardo dei 70 anni di età (a giorni 72), dei 55 anni di carriera, festeggiati con ben sei sold out a Roma, in casa propria, al Circo Massimo, ormai diventato uno dei luoghi della storia della musica in Italia, il posto dove i grandi del mondo a staffetta ogni anno vengono a suonare per gli italiani. 

Sei sold out che suonano anche come una sirena di avvertimento, la campanella per ritrovarsi, il suono del flauto che incanta e dirige l’attenzione dei topi, come nel “Pifferaio magico” dei fratelli Grimm, ma a guidare le emozioni di questo immenso popolo c’è Renato Zero e in questa situazione è meglio chiamarli sorcini.

È successo tutto negli anni ’80, quando dopo un concerto a Marina di Pietrasanta la sua macchina viene letteralmente accerchiata da una serie di motorini con fan in delirio che ai suoi occhi, affettuosamente, sono sembrati, appunto, “tanti sorci”. In certe versioni della storia lui è in motorino, in alcune sarebbero addirittura intervenute le autorità, alla quale Zero avrebbe intimato: “Lasciateli stare, sono carini, sembrano tanti sorcini”.

Dopo un concerto a Marina di Pietrasanta la sua macchina viene letteralmente accerchiata da una serie di motorini con fan in delirio che ai suoi occhi, affettuosamente, sono sembrati, appunto, “tanti sorci”

Poco cambia; il dato inciso nella pietra è che Renato Zero, come forse nessun’altro nella storia del nostro cantautorato, è riuscito a sviluppare un rapporto profondo e intimo con i propri fans, quasi la fondazione di una comunità vera e propria dove a vincere sono gli ideali e le provocazioni che Zero, vero nome Renato Fiacchini, dalla fine dei ’60 ad oggi ha portato avanti con forza e con l’intensità delle sue opere.

Opere che certamente si sono fatte armi di pace in mano a chi nelle provocazioni e in quella poetica delicata di Renato Zero si è specchiato, ha trovato coraggio, orgoglio, rifugio, oppure c’è proprio cresciuto, quelle storie come le storie di famiglia, le storie che parlano d’altro eppure in qualche modo parlano sempre di noi, perché quella visione ha cominciato a far parte di noi.

Questo perché i brani di Renato Zero sono sempre apparsi come luoghi sicuri, quei luoghi non distanti dalla realtà, luoghi nei quali si soffre anche, è chiaro, e pure tanto, ma senza che nessuno ti possa fare del male, stampelle per tenersi in piedi, un altro paio di occhi per osservarsi con spietata epicità.

I brani di Renato Zero sono sempre apparsi come luoghi sicuri, quei luoghi non distanti dalla realtà

Quella sera a Marina di Pietrasanta infatti non era mica la prima che Renato Zero veniva accerchiato, sono numerosi gli aneddoti che girano a Roma, su veri e propri appostamenti, solo per poterlo guardare da vicino, solo per potergli manifestare il proprio amore, il significato profondo delle sue opere nella propria vita, ma soprattutto perché le canzoni di Renato Zero rappresentano una sorta di calamita tra universi che desiderano un contatto.

Al Circo Massimo di Roma i prossimi 23, 24, 25, 28 e 30 settembre e il 1° ottobre i sorcini torneranno a disinteressarsi della propria città, della propria strada, di ciò che avviene nei pressi del proprio naso, oltre il quale spesso si fa fatica a guardare, per ricongiungersi al pifferaio, un pifferaio che ha ancora note da suonare, storie da raccontare, non manca di entusiasmo, di energie e di voglia di vedere ancora una volta materializzarsi davanti ai propri occhi quel pubblico adorante, quel miracolo, bisognoso di lui, delle sue parole, dei suoi pensieri.

Quel pubblico per il quale esiste anche quando torna ad essere un’entità sui dischi, una voce che risuona in salotto, un ottimo modo per far cantare i bambini delle elementari, per introdurli alla loro prima forma di poesia alle medie, un passaggio fondamentale della vita di ognuno di noi; per trovare la forza di andare avanti, uscire in strada e vivere la vita, anche solo osservando con attenzione un suo abito di scena e pensare “Ce la posso fare anch’io”.

55 anni di carriera vogliono dire l’aver accompagnato, mano nella mano, tre/quattro generazioni di pubblico per un lunghissimo tratto di strada, vuol dire che sono davvero tantissimi quelli che al suono dei brani di Renato Zero hanno costruito famiglie, sono diventati padri e nonni, e tutti quei figli sono cresciuti con lo stesso identico concetto di poesia in musica. Una tradizione.

Oggi Renato Zero torna ad aprirsi, con la solita intrinseca libertà che lo ha caratterizzato per tutta la vita, come artista e come uomo

Tutto ciò sarebbe dovuto accadere due anni fa, allo scoccare dei 70, ma le restrizioni dovute alla pandemia lo hanno impedito; oggi Renato Zero torna ad aprirsi, con la solita intrinseca libertà che lo ha caratterizzato per tutta la vita, come artista e come uomo.

Uomo che non si è mai stancato di combattere il mondo con la propria vulnerabilità tra i denti, in un mondo che ci vuole sempre più forti e belli e felici; a certe dinamiche perverse Renato Zero risponde con le parole, inarcando ancora le sue braccia come ali dinanzi ai suoi sorcini, come a dire “Sono questo, questo siamo, tutti noi; e il mondo dovrà amarci così”. Certo, per chi scrive capolavori così significativi come “Il cielo” o “I migliori anni della nostra vita”, tutti brani che in qualche modo sono addirittura entrati nel nostro linguaggio comune, è più facile.   

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