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23 febbraio 2023
di Ivana Pisciotta

Fatevi un ponte!

Castelluccio di Norcia 
Castelluccio di Norcia 
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Stavo festeggiando l’arrivo del nuovo anno assieme ad alcuni amici, quando uno di loro ha proposto un nuovo (l’ennesimo!) brindisi: “Viva il 2023 che ci porterà tante vacanze!”. Lì per lì non ci ho fatto molto caso ma poi ragionandoci, è proprio così. Se il 2022 è stato avaro in termini di occasioni per una gita, quest’anno invece è tutta un’altra musica.

Il ponte è una vacanza di durata superiore a due giorni consecutivi e si ottiene collegando una festa infrasettimanale con una domenica: così facendo, diventa possibile “staccare” per alcuni giorni tutti di seguito. E questa primavera i cosiddetti “ponti” ci sono e tutti fruibili: da una rapida occhiata al calendario, il 25 aprile prossimo cadrà di martedì, il 1 maggio di lunedì e, ancora, il 2 giugno di venerdì. A questo punto, occorre solo prendere lo spazzolino da denti e scegliere dove andare. E non serve percorrere grandi distanze: l’Italia è piena di gioielli più o meno nascosti, che per molti rappresentano una vera e autentica scoperta.

Andiamo in Umbria: ogni anno all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, va di scena la fioritura di Castelluccio di Norcia. Se amate i quadri degli impressionisti, avete l’hobby della fotografia, o semplicemente vi solletica l’idea di essere trasportati in un ambiente rarefatto e suggestivo, fa al caso vostro. L’appuntamento è in primavera ma le date sono incerte, perché tutto dipende da quando inizia la fioritura: normalmente avviene tra fine maggio e inizio luglio, ma gli agricoltori che conoscono la zona sostengono che negli ultimi anni questo meraviglioso evento si sta anticipando di alcune settimane, probabilmente a causa del cambiamento climatico. Castelluccio, con appena 120 abitanti, è famoso per i campi di lenticchie ma in realtà il caleidoscopio di colori in cui si viene tuffati è il risultato della presenza nei campi coltivati di piante selvatiche che crescono e fioriscono spontaneamente. Questo perché, per preservare i campi e non utilizzare i pesticidi quando si coltivano le lenticchie, si è preferito lasciare che anche le altre piante prosperassero nei terreni. E così ogni anno viene a crearsi una scacchiera di colori dalle mille sfumature: per prime fanno capolino le orchidee selvatiche (sui Monti Sibillini ce ne sono addirittura 37 tipi diversi!), seguite dal giallo della senape selvatica, dal rosso dei papaveri, dal bianco della camomilla, dal viola della legousia, dal blu dei fiordalisi. Ci sono vari sentieri nell’area del Pian Grande, e tantissimi punti panoramici dai quali ammirare questo spettacolo della natura. Potreste cogliere l’occasione per frequentare un workshop fotografico, e portare a casa dei ricordi incredibili.

Se invece preferite la Storia alla Natura, e non lo avete ancora fatto, dovreste assolutamente visitare la Villa Romana del Casale che si trova a Piazza Armerina, a circa 65 chilometri da Catania. Famosa per i suoi mosaici e iscritta dal 1997 nella lista Unesco dei patrimoni dell’Umanità, rappresenta la testimonianza archeologica più importante di tutto il Mediterraneo ed è una delle ville più ampie e lussuose della storia antica. Suddivisa in ben 48 ambienti per 3.500 metri quadrati di superficie, è ricca di mosaici policromi, risalenti al III-IV secolo dopo Cristo, eccezionali per qualità artistica e creatività nonché per estensione. Risalgono al periodo d’oro dell’arte del mosaico e con ogni probabilità sono opera di artisti Nord Africani. Ampia è la varietà di soggetti, molti di questi ripresi dalla mitologia e che raffigurano scene di caccia, flora e fauna, oppure episodi di vita domestica. Ci raccontano come vivevano i nobili romani, svelandoci dettagli inediti. Questi piccoli tasselli colorati sono rivelatori anche dei loro vestiti e delle loro acconciature e come un film ante litteram ci suggeriscono le loro abitudini, come quella di cacciare gli animali selvatici da spedire a Roma, dove venivano esibiti negli spettacoli circensi al Colosseo. In questo senso, la zona più suggestiva della Villa è senza dubbio il Corridoio della Grande Caccia, una lunghissima passerella di 66 metri di lunghezza e 5 metri di larghezza, che rappresenta storicamente e geograficamente tutto l’impero romano, che spaziava dal Marocco fino alla lontana India. Ma è nelle sale dell’Otium che si ritrovano raffigurate le scene più divertenti: uno dei più famosi mosaici, che sicuramente avrete ammirato già nei libri di storia, è quello delle ragazze in bikini, giovani fanciulle in vesti succinte, che svolgono vari giochi.

Se invece vi sentite stanchi, e preferite solo riposarvi, un’idea potrebbe essere quella di rifugiarvi alle Terme. In Italia ce ne sono tantissime, quindi c’è solo l’imbarazzo della scelta. Però se non ci siete mai andati, varrebbe la pena di visitare quelle di Saturnia, che sono antichissime e che si trovano in località Follonata, nel comune di Manciano, nel grossetano. Da 3000 anni qui l’acqua sgorga al ritmo di 500 litri al secondo, alla temperatura di 37 gradi. Sembra che risalgano addirittura al periodo etrusco, ma all’epoca erano conosciute come Aurinia. Il nome Saturnia deriva dalla leggenda secondo cui le terme si sarebbero formate nel punto esatto in cui cadde il fulmine che Giove, arrabbiato per le nefandezze degli uomini, scagliò sulla Terra contro Saturno. E così vennero ribattezzate dai romani, i quali adoravano questo posto al punto da costruire una strada ad hoc, la via Clodia, che collega la città con l’Aurelia, proprio per raggiungerlo nel più breve tempo possibile. L’intera area è suddivisa in un’ampia zona fruibile gratuitamente come le “Cascate del Mulino” (il consiglio è di andarci la mattina presto o al tramonto per incontrare meno gente) e quella in cui sorge un lussuoso stabilimento termale. Ma vi assicuro, e potete fidarvi (perché, confesso, io sono un’habitué), che la cosa più suggestiva da fare è di cercare nell’intera area piccole pozze nascoste tra le foglie. Portatevi una bottiglia di prosecco e un calice (o anche due…) e immergetevi nell’acqua bollente, preferibilmente al chiar di luna, mentre fuori la temperatura scende allo zero. Non avrete freddo…

Cambiamo tipologia di vacanza: in un paio di giorni, chi ama la letteratura italiana e in particolare Giacomo Leopardi, potrà sicuramente approfittare a pieno del borgo suggestivo di Recanati, il paese marchigiano nel quale il Poeta è vissuto e dove ha trascorso gran parte della sua vita. Qui si trova il Palazzo Leopardi nel quale dimorava, e qui ritroverete molti spunti della sua fertile produzione. Ad esempio affacciandosi dalle finestre della Biblioteca, il Poeta ammirava gi artigiani occupati nel lavoro quotidiano oppure i contadini che rientravano dalla campagna, vale a dire scene di vita semplice dalle quali trasse ispirazione per il suo “Il sabato del villaggio”. Oppure si può ritrovare l’abitazione dove viveva Teresa Fattorini, che il poeta ricorda nel canto “A Silvia”. O ancora, a pochi passi, si può passeggiare in uno dei luoghi più famosi d’Italia: il Colle dell’Infinito, l’“ermo colle” che ispirò le rime più suggestive. E, ancora, accanto al Palazzo Comunale, svetta l’imponente Torre del Borgo ricordata da Leopardi per il suono delle campane nella poesia “Le ricordanze”. Nella Chiesa di Sant’Agostino, invece, e nel suo chiostro, si può vedere la torre resa celebre da “Il passero solitario”. Insomma, tutta Recanati parla di Leopardi e il palazzo dove ha vissuto è tuttora visitabile, anche se non tutte le stanze sono accessibili. Pare che la camera da letto del Poeta, la quale però è off limits, sia stata lasciata esattamente com’era al momento della sua morte, nel lontano 1837, ossia senza corrente elettrica e con le stesse suppellettili.

Poi, oltre alle aree museali, non mancate di fare una capatina nelle cantine di casa Leopardi dove potrete acquistare il vino prodotto dalla famiglia (i suoi eredi da generazioni vivono tuttora lì). Ma è anche vero che Recanati non è solo Leopardi bensì un borgo attraente per i suoi scorci e le sue dimore storiche. Quindi, dopo una bella passeggiata alla scoperta dei luoghi del Poeta, potreste ad esempio fare una capatina a Palazzo Antichi, a Palazzo Venieri o a Palazzo dalla Casapiccola e di notte, quando le stradine si svuotano, lasciarsi immergere in un’atmosfera d’altri tempi. Il tempo di un bicchiere di vino, o un assaggio di pane col “ciauscolo” (un tipo di salame dalla consistenza morbida e quindi spalmabile, tipico marchigiano), e poi si ritorna alla vita di sempre. Ma con l’animo rinfrancato e la curiosità appagata. What else?

La donzelletta vien dalla campagna,

In sul calar del sole,

Col suo fascio dell’erba; e reca in mano

Un mazzolin di rose e di viole,

Onde, siccome suole,

Ornare ella si appresta

Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.

Siede con le vicine

Su la scala a filar la vecchierella,

Incontro là dove si perde il giorno;

E novellando vien del suo buon tempo,

Quando ai dì della festa ella si ornava,

Ed ancor sana e snella

Solea danzar la sera intra di quei

Ch’ebbe compagni dell’età più bella.

Già tutta l’aria imbruna,

Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre

Giù da’ colli e da’ tetti,

Al biancheggiar della recente luna.

Or la squilla dà segno

Della festa che viene;

Ed a quel suon diresti

Che il cor si riconforta.

I fanciulli gridando

Su la piazzuola in frotta,

E qua e là saltando,

Fanno un lieto romore:

E intanto riede alla sua parca mensa,

Fischiando, il zappatore,

E seco pensa al dì del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,

E tutto l’altro tace,

Odi il martel picchiare, odi la sega

Del legnaiuol, che veglia

Nella chiusa bottega alla lucerna,

E s’affretta, e s’adopra

Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,

Pien di speme e di gioia:

Diman tristezza e noia

Recheran l’ore, ed al travaglio usato

Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,

Cotesta età fiorita

È come un giorno d’allegrezza pieno,

Giorno chiaro, sereno,

Che precorre alla festa di tua vita.

Godi, fanciullo mio; stato soave,

Stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo’; ma la tua festa

Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.

Giacomo Leopardi,

Il sabato del villaggio, 1829.

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