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17 novembre 2025
di Giancarlo Strocchia

Pino Strabioli, la gentilezza come forma d’arte

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Quando sento al telefono Pino Strabioli, autore, attore, ma soprattutto custode e divulgatore delle esistenze di grandi nomi della cultura e dello spettacolo italiano, riconosco subito la proverbiale pacatezza. La sua voce riesce a proteggere la nostra conversazione da un mondo esterno che, in sottofondo, continua a muoversi fragoroso. Non serve vedersi, basta il modo in cui prende una pausa, il sorriso che si intuisce dal respiro, l’attenzione con cui ascolta. Pino ha questa capacità: trasforma la distanza in vicinanza. "All’inizio detestavo essere intervistato" racconta quasi ridendo. "Mi annoiavo di me stesso, è una condizione proprio mia. Forse per questo racconto da tanti anni la vita degli altri, di quelli che mi interessano". Poi aggiunge, con quella gentilezza che non indulge mai: "Con gli anni però mi sono sciolto un po’. Qualcosa da dire, forse, ce l’ho anch’io".

La cultura come postura, non come nozione

La sua idea di cultura non ha nulla a che fare con l’accumulo di informazioni. "È un atteggiamento" spiega. "È come ti poni verso te stesso, verso la vita e verso l’altro. È curiosità, è disponibilità, ed è desiderio di approfondire la conoscenza di chi ci ha preceduti". Libertà e cultura, per lui, sono elementi inscindibili: "Per avere una cultura “alta”, chiamiamola così, bisogna liberare il pensiero. Devi essere una spugna, accogliere gli stimoli, non giudicare. E poi decidere, certo, ma senza muri. La coerenza è fondamentale: non tradire te stesso e non rompere i c… a chi vuole essere libero" dice con una risata che stempera la schiettezza.

La televisione che gli assomiglia

Quando parla di televisione, parla di identità. "Nei miei spazi cerco di difendere quello in cui credo. Faccio una televisione che mi somiglia". Mi racconta un episodio recente: "Con Barbara Alberti, registrando Caffè Italia, ci siamo detti che la nostra intervista sembrava più una chiacchierata in salotto dopo mezza bottiglia di vino. Quando accade questo, allora sì, la televisione diventa un luogo di emozioni sincere". Oggi Pino Strabioli ha trovato un equilibrio che lo protegge dalle forzature mediatiche: un po’ di TV, tanto teatro anche con la direzione artistica dei palcoscenici del Mancinelli di Orvieto e del Comunale di Atri (Teramo). "Non devo essere ovunque. Mi interessa essere autentico."

Gli incontri che segnano una vita

Quando rievoca i grandi artisti conosciuti – Franca Valeri, Dario Fo, Valentina Cortese, Paolo Poli, Gabriella Ferri – la voce cambia ritmo. Non li chiama “maestri”, pur riconoscendone l’eccezionalità: "Mi hanno insegnato a vivere. Alcuni erano diventati amici veri: pranzi, cene, piccole vacanze, chiacchiere nei camerini… Mi hanno offerto strumenti preziosi per imparare a guardare alla vita". E aggiunge una riflessione che attraversa tutta la sua attività di divulgatore: "Siamo un Paese che dimentica. Addirittura, a volte, riscrive la storia. Raccontarli è un modo per impedirci di perderli". Il 19 novembre debutta al Teatro Off Off di Roma con Ve ne dico quattro, dedicato proprio a Poli, Valeri, Fo, Cortese e Ferri. Parlando di Paolo Poli, con cui ha condiviso una parte importante della vita, il tono si addolcisce: "Era un uomo buono, libero, delicato. Fuori dal palco era solitario. Diceva: “La sera, se non recito, sto a casa con Dante”. E quando rideva… sembrava che si aprisse una finestra".

"Vorrei essere ricordato come uno stronzo. Uno stronzo buono"

Alla domanda sulla nostalgia, non esita: "La chiamerei malinconia. È più silenziosa e precisa".
Un sentimento che affiora pensando a sua madre, alle luci dell’infanzia, ai gesti minuscoli che resistono al tempo. "In scena, invece, la nostalgia diventa un’altra cosa: conosci già il destino, e per qualche ora vivi un’illusione di eternità". Quando gli chiedo come vorrebbe essere ricordato, arriva una risposta che spiazza e diverte: "Ho vissuto tutta la vita gentile, educato, garbato. Vorrei che qualcuno dicesse: sì, però era anche uno stronzo. Uno stronzo buono, s’intende". Lo dice ridendo, come chi alleggerisce la propria immagine pubblica senza rinnegarla.

Il terrazzo di Anna Marchesini

Quando torna alla sua formazione, la voce si fa più morbida. "La provincia mi ha protetto. Mi ha aiutato a non distrarmi da me stesso e a coltivare la fantasia". Roma, invece, era un richiamo naturale, quasi inscritto nel destino familiare. Poi un ricordo tenerissimo di Anna Marchesini. "Dalla finestra della mia cucina a Orvieto vedo il piccolo balcone che Anna cita nel suo libro “Il terrazzino dei gerani timidi”. Ogni volta che lo guardo mi si stringe il cuore". Il rapporto con lei era fatto di incontri brevi ma intensi: "Andavo a intervistarla quando recitava. Ricordo chiacchierate in camerino, una volta anche a casa sua. Parlava di Orvieto e io mi sentivo quasi un postino: le portavo notizie da lì". Si interrompe un secondo e aggiunge piano: "È andata via troppo presto".

Un presente in movimento

Oggi è tornato su Rai Tre con un nuovo programma pomeridiano insieme a Greta Mauro, continua la tournée dello spettacolo creato con Fabio Masi e si prepara a riportare in scena Carta straccia, un testo ambientato negli anni Sessanta che profuma di altri tempi ma continua a parlare al presente. Strabioli appare cos, come un narratore che non smette di ascoltare, un artista che ha scelto la gentilezza come stile e come atto politico. Un uomo che si racconta senza mai mettersi al centro, come se la sua vera forza fosse illuminare gli altri. La telefonata finisce, e resta la sensazione di aver attraversato un luogo riparato, uno di quelli in cui l’umanità può respirare.

 

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