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10 gennaio 2023
di Gabriele Fazio

Favola indie

Pinguini Tattici Nucleari 
Pinguini Tattici Nucleari 
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“Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”, questa massima in fondo riassume anche lo scheletro narrativo delle fiabe, di quelle grandi avventure che ci lucidano gli occhi, che ci fanno credere, a ben ragione o meno, che ogni cosa in fondo sia possibile, che Cenerentola, a proposito di fiabe, possa essere la prescelta del principe e alla fine vivere felice e contenta; o perlomeno, dato che essere sempre felici e contenti sospettiamo possa essere anche una gran noia, serena e sistemata, come vorrebbero tutte le mamme del mondo. Ma non divaghiamo.

Se volessimo, e vogliamo, appropriarci di questo semplice concetto drammaturgico per raccontare ciò che sta accadendo in queste settimane nel mondo della musica italiana, ogni pezzo del puzzle si sistemerebbe al posto giusto, perché c’è una favola che si sta materializzando davanti agli occhi e che qualcuno, forse addirittura i più, potrebbe considerare normale, ma normale non è affatto. Anche il nome scelto dai protagonisti, i Pinguini Tattici Nucleari, potrebbe effettivamente celare un qualcosa di fiabesco, magari con qualche accenno sci-fi che intriga sempre un po'; in realtà si tratta di una birra scozzese, la “Tactical Nuclear Penguin”, prodotta dal 2009 dal birrificio BrewDog (la cui produzione tra l’altro ci sentiamo di consigliare). La rete ci racconta che la prima mission musicale di Zanotti e compagni sia il metal demenziale, in realtà la storia della band, a nostro modestissimo parere, nasce su un bus londinese ormai diversi anni fa.

Interno notte, un ragazzo di Alzano Lombardo ha appena finito il turno al Costa Coffee di Tottenham Court Road, in quel di Londra; è stanco e particolarmente nostalgico, magari si sta chiedendo cosa stanno facendo in quel momento i suoi amici, la sua banda, intesa non solo come musicale, i suoi Pinguini Tattici Nucleari, che ha dovuto mettere in stand by per inseguire, come quasi tutti quelli della sua generazione, un punto interrogativo che sembra non voler mai alzare la schiena.

Magari sta ripensando all’Italia, a quanto, per quanto ci impegniamo, per quanto tentiamo di fuggire, casa resta sempre una e una soltanto; anzi, certamente sta pensando all’Italia perché in cuffia sta ascoltando una canzone italiana che si intitola “Gaetano”, l’ha scritta un ragazzo di Latina che compone e canta in maniera diretta e scoordinata, ipnotica e intensa, si chiama Edoardo D'Erme, ma quando suona diventa Calcutta. Un momento che certamente sarà stato comune a tanti studenti lavoratori, anche quelli che non hanno un interesse professionale per la musica come il protagonista di questa fetta di storia, che invece il giorno dopo deve svegliarsi per frequentare il corso di laurea in Commercial Music all'Università di Westminster.

Riccardo però, alto, occhi azzurri, curiosi e buoni, una di quelle persone che quando ti guarda ti guarda veramente, quella sera, ascoltando quella canzone, si rende conto, prima di molti, prima del largo pubblico italiano, prima delle major, prima di Sanremo, prima dei grandi network, prima dei talent, che proprio in Italia, il paese dal quale è fuggito, sta avvenendo una vera e propria rivoluzione e che, forse, quel posto, su quel bus, non è il suo. Riccardo Zanotti pensa che qualcosa sta finalmente accadendo dopo anni di musica italiana dominata da ragazzini senza cognome venuti fuori dall’industria esanime e anemica dei talent ed una discografia che non sa andare oltre Sanremo e che continua ad accartocciarsi furiosamente su se stessa, dando così vita al peggior pop italiano di sempre.

Qualcosa accade e lui ha forza, idee e cuore per poterne fare parte; e poi naturalmente ha loro, i suoi Pinguini, Nicola, Lorenzo, Simone, Elio e Matteo, gli amici perfetti, di lunga data, con i quali affrontare questa avventura, provarci, infilarsi in quella crepa della discografia italiana aperta dai vari Calcutta, ei furono Canova e Thegiornalisti, Niccolò Contessa, i ragazzi de Lo Stato Sociale, Gazzelle, etichette come Maciste Dischi, Bomba Dischi, Garrincha Dischi, 42 Records.

Una rivoluzione contro un sistema corrotto dal mercato e che ha lasciato indietro tutti i valori che dovrebbero accompagnare la proposta musicale, contro lo strapotere televisivo del mercato musicale, contro una musica leggera divenuta ormai troppo leggera, praticamente inesistente, quella fantomatica “Musica leggerissima” che anni dopo canteranno in faccia al mainstream sanremese Colapesce e Dimartino, anche se verrà scambiato per un tormentone; il pubblico che in rete cerca e trova un’idea di cantautorato precisa negli intenti, che, anche metaforicamente, è intrisa di una nostalgia fulminante, quella nostalgia che mal si confà al flusso stroboscopico e veloce e commerciale della tv e delle radio di allora. Il pubblico che vuole tornare a sentirsi dire qualcosa di significativo, che non ci trova più niente da ridere, che rifiuta questa bizzarra idea che la musica debba essere solo ed esclusivamente intrattenimento, che pretende di essere raccontato con onestà, quasi schiettezza, in un periodo storico poi così complicato; ed è così, per questo, che decide di accucciarsi all’ombra del famigerato “indie”.

L’indie si abbatte sulla musica italiana come se fosse qualcosa di nuovo, qualcosa di alieno, alcuni lo considerano addirittura un genere musicale a sé, senza considerare la tradizione dell’underground italiano, caratterizzata da nomi come gli Afterhours, i Marlene Kuntz, i Verdena, Bugo, prima che Morgan si chiedesse “che succede?”, e lo stesso Morgan con i suoi Bluvertigo, e poi ancora i Timoria, i Prozac+…non, come noterete, per forza nomi sconosciuti, tutta gente alla quale, tra l’altro, il lavoro, un palco sotto i piedi, ad oggi una telecamera puntata contro, non è mai mancato davvero, tutta gente che poi in un modo o nell’altro è stata inglobata dal pop da classifica, come succede poi inevitabilmente e senza che sia peccato mortale, ma che ha sempre rappresentato qualcosa di alternativo: il pop commerciale da un lato, noi, schifati, armati di crocifisso e corone d’aglio dall’altro.

Gli indie di inizio anni ’10 invece no, non propongono qualcosa di alternativo, inutilmente complesso, un prodotto di nicchia, buono per far fare si con la testa ad un gruppo di nerd debosciati, ma si tratta comunque di pop, diretto ed accessibile, che però manifesta la propria opposizione allo status quo dei tempi spogliandosi di qualsiasi arrivismo in termini di popolarità; da considerare che stiamo parlando di un tempo in cui Instagram praticamente è nato da un quarto d’ora e conta ancora pochi milioni di iscritti, quindi non era ancora cominciata questa insensata ed affannosa rincorsa ai follower, questa nuova unità di misura che aiuta a stabilire quanto e in che modo sei dentro le cose del mondo.

È in questo frammento di cronologia della storia dell’italico pop che si affermano i Pinguini Tattici Nucleari, che in questa narrazione sincera e anche vagamente provinciale, che poi sarà uno dei meriti del movimento indie, si incastrano alla perfezione. Sono una band e anche numerosa, il suono risulta immediatamente orchestrale, nel 2014 l’esordio con “Il re è nudo”, l’anno dopo è il momento di “Diamo un calcio all’aldilà” e poi, concerti dopo concerti, prima in Lombardia, poi in tutta Italia, cavalcando una viralità fisica, il famoso “passaparola”, ancora oggi e forse per sempre il più credibile ed efficace dei media, si arriva a “Gioventù brucata”, il primo disco in cui i PTN si concretizzano e manifestano con il proprio carattere.

Certo, è anche il disco che fa allargare le maglie del loro successo, che fa capire qual è la direzione, qual è l’intento, i brani, come “Irene” o “Tetris”, cominciano ad includere senza scampo l’ascoltatore in quelle storie, a permettergli di specchiarcisi dentro e quindi, anche, di trovare delle risposte e un rapporto che sembra sempre diretto; che poi è anche uno dei segreti del successo dei Pinguini, il loro essere così dannatamente generazionali, perfino spesso crudi nel manifestare un disagio, ma senza mai mettere da parte la propria visione poetica della vita. “Gioventù brucata” è il checkpoint verso un passo in avanti, la chiusura di un contratto con una major, la Sony, siamo ormai nel 2018, che come tutte le major e, più in generale, tutto il meccanismo mainstream, sta cercando faticosamente di rimettersi al passo, mentre le radio perdono qualsiasi coordinata e vengono surclassate da Spotify, Baglioni, direttore artistico di Sanremo, fa fare un giro di prova sul palco dell’Ariston a Lo Stato Sociale (l’anno dopo toccherà a Ex-Otago, Motta e Zen Circus) e i talent provano, senza alcun successo, a fabbricarseli in casa.

Tutto il mondo della musica si trova disorientato dinanzi al successo di questa generazione di artisti che, tra l’altro, ha anche riacceso la luce ai live in Italia, creando un circuito che ricrea una nuova ma neanche troppo piccola industria, un’industria che si rivelerà essere essenziale per la sopravvivenza della stessa musica italiana, alle prese con il passaggio a quella che gli storici del settore ci raccontano come “musica fluida”.

“Fuori dall’Hype” è un disco praticamente perfetto, non un solo pezzo sbagliato, una composizione ancora più accurata, un sound che si fa più definitivo, sempre più colorato, largo, avvolgente, l’impressione è che ognuno possa scegliersi il pezzo preferito e nessun’altro possa in nessun modo dargli torto (il nostro, per dire, “Sashimi”, ma solo perché tutti abbiamo avuto storie che “Sembrava amore invece era una stronza. Amen”). Così i club che li vogliono si fanno più numerosi, il furgone che poi canteranno anni dopo in “Dentista Croazia”, che doveva servire per portare verso est anziani a fare operazioni odontoiatriche a prezzi ragionevoli, si ritrova carico di strumenti e sogni e negli anni ha macinato incalcolabili chilometri. La gavetta, dicono; la differenza che c’è tra chi vuole far musica, chi sente quella necessità artistica del cuore, fino al punto di spingersi oltre se stessi, e chi vuole utilizzare la musica per arrivare ad altro, rispondiamo noi. Così arriva anche l’invito al Concertone del Primo Maggio, che nel frattempo ha ripreso vita grazie a quel sognatore illuminato e romantico di Massimo Bonelli, uno di quelli che ha annusato l’aria che tirava ben prima degli altri, riportando con la sua ICompany l’evento di Piazza San Giovanni, anche questo moribondo a causa della pochezza della proposta del pop italiano, ai fasti di un tempo, ad essere l’evento controculturale dell’anno e offrendo un set musicale che da anni surclassa ampiamente anche quello del festivàl di Sanremo.

E si, arriviamo anche lì, a Sanremo, teatro Ariston, febbraio 2020, il momento in cui per molti nasce la parabola dei Pinguini Tattici Nucleari; se non sapete che la band bergamasca saliva su quel palco già forte di un sold out al Forum D’Assago di Milano, il salotto buono del live indoor italiano, non è colpa vostra, state sereni, è colpa di chi, in tanti ai tempi, e nemmeno oggi si sono estinti, ancora ignoravano, snobbavano, si, anche deridevano, questa nuova scena cantautorale, continuando imperterriti a guardare alla musica attraverso la lente televisiva, se manchi da quel panorama allora non esisti, totalmente inconsapevoli che mentre il pop italiano classico continuava a vestirsi di paillettes nei salotti in tv, quei cantanti dallo spessore inconsistente non staccavano un biglietto per i loro concerti, che venivano soppressi per mancanza di interesse.

La rivoluzione indie, che si incastra naturalmente con tempismo perfetto con la rivoluzione del sistema musica globale, rivela, finalmente, che il pubblico televisivo non coincide con quello musicale e certificarlo oggi, praticamente dieci anni dopo, è forse una delle più importanti e storiche conquiste di questo settore. Agli italiani, seduti sul divano, intontiti da questo clima di perenne reality televisivo, imbruttiti dalla carbonara, i bei faccini che mortificano la storia della musica italiana a colpi di cover possono pure andar bene; ma se si deve mettere mano al portafogli ed uscire di casa per andare a sentire un concerto, allora pretendono musicisti veri. Sembra niente e invece è tutto.

 

I Pinguini si presentano a Sanremo senza alcuna paura cantando “Ringo Starr”, un brano che a primo ascolto potrebbe sembrare ammiccante, adatto alla situazione, a colpire lì dove si deve colpire quando ti presenti a Sanremo; invece in realtà è un brano che si interseca armoniosamente nella discografia della band, un biglietto da visita dove dentro c’è tutta la loro essenza, a partire proprio da quel mondo in cui tutti si sentono “John e Paul” e loro, quell’anno ancora unici esponenti della scena indie, che invece vogliono cantare Ringo Starr, perché quella dei Pinguini è una generazione di Ringo Starr, è una generazione di ragazzi che hanno l’aria di essere capitati lì per caso, che guardando il grande meccanismo sociale da lontano potrebbero, tristemente, sembrare un semplice bullone all’interno di un ingranaggio che non capiscono, che nessuno si è preso la briga di spiegargli e che subiscono in maniera atroce ed impietosa. Il brano, tra l’altro, è stato si composto negli anni, preso, scartato, ripreso, rimesso nel cassetto, aggiustato, modellato, come capita a molti più brani di quanti possiate pensare, ma quel giro di tromba iniziale che è entrato come un raggio di sole in notturna nelle case degli italiani svegliandogli dal torpore, è stato composto da Zanotti anni prima, a Londra e lui fin da subito ci ha creduto.

Tutto torna, se è giusto; e più giusto di così ci pare davvero impossibile. Ciò che succede alla fine di quel Festival della Canzone Italiana, che i Pinguini concludono incredibilmente al terzo posto (incredibilmente perché meritavano la vittoria, considerato che quella lagna melensa di “Fai rumore” di Diodato, una volta chiuso il sipario dell’Ariston, si è a ben ragione dispersa nel vento), lo sappiamo tutti: i meme su Bugo e Morgan, la pandemia, la chiusura, praticamente due anni di stop ai live che ancora dobbiamo del tutto smaltire; per i Pinguini un successo totale, strameritato, una pioggia di dischi di platino e le vendite di biglietti di concerti che chissà quando andranno effettivamente in scena che si moltiplicano a tal punto da far sembrare quel sold out al Forum D’Assago quasi una cosa normale. Loro non lo considerano affatto normale, anzi, si sentono imprigionati in questa continua sensazione di coitus interruptus, Sanremo non doveva rappresentare un punto di arrivo ma lo slancio verso traguardi ancora più importanti, specie in un momento in cui si rendono conto che ciò che fanno non è solo significativo ma anche altamente vendibile, il che è la combinazione perfetta, l’elemento che ha contribuito a fare la storia della musica italiana. Così non resta che aspettare, come tutti quelli di un settore penalizzato più di tutti gli altri, forse troppo più di tutti gli altri, ma questo è un altro discorso.

A dicembre dell’anno dopo, quando ancora la situazione non era affatto risolta, esce “Ahia!”, che forse avrebbe dovuto rappresentare un semplice EP, un modo per far sentire la presenza al mercato, un modo per chiedere ancora un po' di pazienza, di non essere dimenticati; e allora è forse in quel momento che la band capisce che quel che fanno ha un valore ancora più forte, praticamente inestimabile, un linguaggio che il pubblico ritiene necessario, che attende con ansia, non dal precedente febbraio, ma da anni, perché il disco resterà in classifica FIMI praticamente 24 mesi, e tra quelle canzoni ce n’è una, che si intitola “Pastello bianco”, che è una perla rara di cantautorato pulito, onesto, romantico, moderno, un brano che rimette in discussione l’idea di ballad e ci apre una finestra sul sentimentalismo di quella famosa generazione con la quale i Pinguini continuano a crescere senza mai staccare i piedi da terra.

In questo 2022 che si va a chiudere, lo sappiamo, tutto è tornato più o meno alla normalità, i Pinguini si sono ripresi tutto quello che la pandemia aveva provato a togliergli, il “Dove eravamo rimasti tour” è uno scatafascio di approvazione collettiva, un rito musicale gioioso e coinvolgente, i Pinguini Tattici Nucleari, essendosi formati su un palco e non davanti alla tv, live rendono tantissimo, rendono anche le parole di questa favola che stiamo provando a raccontarvi priva di senso; perché è tutto lì, il loro stupore, il loro divertimento, anche adesso che è diventato mestiere, dunque si, il loro mestiere, la serietà, il professionismo, sono i tuoi amici, anche se non li hai mai conosciuti in vita tua, che si godono un sogno che in qualche modo paralizza anche te con brividi che ti tagliano la schiena e commozione palpabile, sincera.

Perché? Perché senti di far parte di qualcosa, anche solo da ascoltatore, perché è una favola e ti ricorda che ogni cosa è possibile a patto che il sogno alberghi nel tuo cuore e non nel tuo portafogli o sulla tua pagina Instagram, a patto che tu abbia voglia di dare e non di ricevere. Ma questa non è la fine della favola, anche perché forse sarebbe troppo verosimile come favola, sarebbe stata una favola tra le tante, meravigliosa, dai localacci di periferia ai palchi più importanti d’Italia, conquistati concerto dopo concerto, senza risparmiarsi mai.

Lo sappiamo, non è finita qui; mentre in tanti infatti aspettano l’uscita del nuovo album, anticipato da singoli di grande successo come “Giovani Wannabe”, la già citata “Dentista Croazia” e “Ricordi”, forse la migliore ballad dell’anno, una canzone davvero meravigliosa, ed intitolato “Fake News”, ossimoro perfetto per raccontare un progetto che di “fake” non ha nemmeno una virgola, i Pinguini a sorpresa annunciano un passo in avanti: un concerto allo stadio San Siro di Milano. Ora, nell’ultimo anno è capitato più volte che un artista italiano, raggiunto un certo status appena appena superiore alla media, si sia regalato uno show a San Siro, una festa grande, unica, una specie di personalissimo Capodanno per il proprio pubblico; questa estate lo ha fatto Salmo, Mengoni ci ha aggiunto l’Olimpico di Roma, ma in linea di massima il concetto è sempre quello, così sulle prime l’impressione è che anche i Pinguini Tattici Nucleari volessero raccogliere la prossima estate la loro community per un evento unico ed irripetibile.

Non che il successo, se riavvolgete il nastro, non sia stato sempre crescente e straordinariamente regolare, ma riempire uno stadio rappresenta davvero un notevole e definitivo passo in avanti. Il 17 novembre, alle 10 del mattino, l’ufficio stampa della band spedisce il comunicato con l’annuncio dello show del prossimo 11 luglio e in 45 minuti vengono staccati oltre 15mila biglietti, che in due ore diventano 45mila, intorno alle 22, quindi dodici ore dopo, si dichiara sold out. Incredibile; da quel momento in poi gli annunci arrivano a cascata, Olimpico? Sold out in due giorni, allora si raddoppia San Siro, allora proviamo il tour in tutta Italia, ci mettiamo dentro Firenze, Torino, Bari, Messina ed Olbia, e raddoppiamo Roma, sarà complicato ma ci proviamo. Una cascata che possiamo seguire solo fino ad oggi naturalmente, alla vigilia di Natale, quando arriva l’annuncio dei sold out allo stadio Artemio Franchi di Firenze e all’Olimpico di Torino che, chi bazzica l’ambiente lo sa, non è cosa affatto facile. L’impressione è che da qui all’estate sarà piuttosto scontato che anche le ultime centinaia di biglietti disponibili saranno venduti in scioltezza.

 

Dicevamo: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”, la storia dei Pinguini Tattici Nucleari riguarda anche, come succede abbastanza spesso nella musica, anche chi segue un progetto, perché la musica ha questa straordinaria capacità di concedersi, di farti credere che sia anche un po' tua, come se fosse un’appropriazione debita. Così questi ragazzi della provincia bergamasca alla fine vincono e con loro vincono anche quei ragazzi che loro cantano, con loro vincono tutti i Ringo Starr là fuori, vince Cenerentola; vince quel ragazzo, ovviamente, su quel bus, stanco, mentre guarda fuori dal finestrino quella Londra bella ma non sua, ascoltando “Gaetano” di Calcutta e capendo che le favole fondamentalmente nascono quando qualcuno sente la necessità di scriverle; così vince chi crede nelle favole a tal punto da provare a deviare il percorso di una realtà che alle favole concede sempre meno respiro. Basta ascoltare i Pinguini Tattici Nucleari, scegliersi la propria storia, certamente ne troverete una ad hoc, che parlerà solo di voi o perlomeno vi darà questa impressione, ed entrerete immediatamente a far parte di una storia fantastica. Questa è la favola che i Pinguini scrivono e che i Pinguini

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