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6 luglio 2023
di Maria Rita Nocchi

I pigmenti del divin pittore

Perugino, Trittico Galitzin, 1482-1485, Washington, National Gallery of Art 
Perugino, Trittico Galitzin, 1482-1485, Washington, National Gallery of Art 
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L’occasione per ammirare i suoi maggiori capolavori, tutti antecedenti al 1504, nel momento in cui si trovava all’apice della carriera, la offre Perugia. Per il quinto centenario della morte del “divin pittore”, maestro di Raffaello, la Galleria Nazionale dell’Umbria gli ha dedicato una grande mostra, “Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo”, che restituisce all’artista il ruolo di assoluto protagonista del Rinascimento, quale fu per almeno due decenni.

"Possiamo definirlo uno dei maggiori coloristi della storia dell’arte, colui che ha trovato un nuovo modo di colorire", spiega a Mag Veruska Picchiarelli, curatrice dell’esposizione insieme a Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. "Tra degli elementi di novità c’è questa “dolcezza nei colori unita” come la definisce il Vasari, che si manifesta a un certo punto nella sua pittura e pone le premesse per gli sviluppi futuri della corrente classicista della pittura moderna. È un tono sfumato, se lo vogliamo chiamare così, un modo di dipingere che vede affievolirsi i contorni della composizione".

Questa conquista emerge alla fine degli anni Novanta del 1400, e in parte si lega a una contingenza della sua carriera: due lunghi soggiorni a Venezia (nel 1494-95 e nel 1497) durante i quali Perugino si confronta con la pittura di Giovanni Bellini, di Vittore Carpaccio e con le prove veneziane di Antonello da Messina. "Senza ombra di dubbio dev’essere rimasto impressionato dalle atmosfere stesse di Venezia, dai suoi vapori, dalle sue luci, dai riflessi della laguna", osserva la storica dell’arte. "Tutti questi stimoli fanno sì che ritorni dall’esperienza veneziana trasformato nel suo modo di usare il colore. Gli impasti cromatici diventano fusi e bagnati da una luce che prefigura la pittura tonale, un tono rosato delle ore del tramonto e dell’alba che si deposita quasi come un velo negli elementi della composizione e li unifica".

Un’altra grande novità che il Perugino introduce è la considerazione dell’atmosfera, frutto di una ricerca che va di pari passo con quella di Leonardo da Vinci. Le dolci colline, dai toni verdi del primo piano, tendono a diventare cerulee e azzurrine sullo sfondo, proprio perché il pittore "oltre all’uso del sistema prospettico lineare, che dà la sensazione della profondità, tiene in considerazione la presenza di questa massa di vapore che sbiadisce i contorni e schiarisce i colori degli oggetti a distanza".

Perugino è un innovatore, anche in questo campo, perché è il primo che passa dalla pittura a tempera a quella a olio.

La storia dell’arte, come è noto, è legata con un patto indissolubile alla tecnologia che occorre per produrre il colore. Perugino è un innovatore, anche in questo campo, perché è il primo che passa dalla pittura a tempera a quella a olio.

"Lui deve molto alla pittura fiamminga", sottolinea la curatrice. "Tra le cose di cui è debitore c’è la tecnica a olio, della quale si appropria, utilizzandola tra i primi in Italia. Va detto che l’uso del legante oleoso nello stemperare il pigmento ha origini antiche. Già in epoca classica si usavano gli oli vegetali per dipingere, ma sono i pittori delle Fiandre, nel corso del 1300, a perfezionare questa tecnica che si presta in maniera più spiccata, rispetto alla pittura a tempera, alla rappresentazione della luce, degli effetti illuministi, e rende più ricco il colore".

Come componeva i colori Pietro Perugino? "Perugino è, a tutti gli effetti, ancora un artigiano dal punto di vista della preparazione degli strumenti della pittura ed è estremamente attento alla parte più prettamente materiale della creazione artistica. Nel Rinascimento i colori si creano nelle botteghe.  Il colore all’epoca era di origine vegetale, minerale e addirittura animale: da alcuni molluschi, ad esempio, si ricavava un prezioso color porpora. La materia prima veniva ridotta allo stato di polvere attraverso la macinatura. Questa polvere di colore, che si definisce pigmento, veniva stemperata e legata con l’uso di una sostanza che nella pittura a tempera è il rosso d’uovo, nella pittura a olio è un olio vegetale, normalmente olio di lino o di canapa".

A lavori conclusi, l’artista recuperò dal contenitore utilizzato per sciacquare il pennello il pigmento residuale, restituendolo al committente: "Voi non vi siete fidato di me, e io ho voluto portare in giro la vostra scarsa fiducia".

Impossibile non citare un simpatico aneddoto legato all’uso dell’azzurro oltremarino, il colore più prezioso e costoso, in quanto si ricavava dai lapislazzuli. Giorgio Vasari racconta che, nel dipingere gli affreschi del convento di San Giusto alle Mura a Firenze (non più esistente), il Perugino si ritrovava sempre accanto il priore che vigilava sull’oculato utilizzo di questo colore. Per burlarsi di lui, era solito risciacquare il pennello intinto di colore, e così facendo consumava una quantità eccessiva di azzurro oltremarino, provocando la disperazione del priore che vedeva rapidamente sfumare i suoi denari.

A lavori conclusi, l’artista recuperò dal contenitore utilizzato per sciacquare il pennello il pigmento residuale, restituendolo al committente: "Voi non vi siete fidato di me, e io ho voluto portare in giro la vostra scarsa fiducia".

Nella propaggine finale dell’attività, Perugino vede sfumare il suo primato artistico. Le opere prodotte in questa fase, grazie all’aiuto della sua industriosa bottega, conoscono l’insuccesso, e la tradizione critica ci consegna l’immagine di un Perugino monotono e ripetitivo. "Questo è un grande falso storico", commenta Veruska Picchiarelli. "Il pittore ha avuto la fortuna e anche la “sfortuna” di vivere a lungo e di lavorare fino all’ultimo dei suoi giorni. Ma per i primi 35 anni di attività è stato un grandissimo innovatore, un camaleonte in continua trasformazione, e lo vediamo nei dipinti esposti in mostra. Tra le opere degli anni settanta del 1400, come le “Tavolette di San Bernardino” (1473) e le opere più tarde, come la “Lotta tra Amore e Castità” e lo “Sposalizio della Vergine” (1504-505) è passato un mondo. Il Perugino ha saputo intercettare e captare tanti fermenti del panorama artistico dell’epoca".

La sua morte avviene a Fontignano, nel 1523,  tre anni dopo la scomparsa di Raffaello Sanzio, l’allievo che ha superato il maestro.  La mostra alla Galleria Nazionale di Perugia sta avendo grande successo, ed è possibile visitarla fino all’11 giugno.

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