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15 novembre 2023
di Lidia Lombardi

Necropoli in Vaticano

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L’imponente portone in bronzo si apre cigolando. All’esterno sfrecciano automobili, moto, camion diretti a Piazza Risorgimento, mentre sul marciapiede in fila indiana le torme dei turisti diretti ai Musei Vaticani. “BENEDICTUS XVI PONT. MAX ANNO DOMINI MMV PONT.I” è scolpito in cima all’andito. Entri in quello che finora è stato un ingresso misterioso, mai spalancato per turisti e cittadini. Dentro c’è un ordinato parcheggio, per le vetture del Vaticano. Sennonché, dopo un breve percorso si spalanca una porta tagliafuoco.

Ed ecco l’epifania. Urne cinerarie di candido marmo, cippi, mosaici, reperti svariati sistemati nelle bacheche, tempietti funerari, olle per le ceneri di defunti, mosaici pavimentali. Barbara Jatta, che dirige i Musei Vaticani, affiancata dagli archeologi dallo staff, spiega il disvelamento del mistero, che poi tanto mistero non è. Perché finora la visita della necropoli della Via Triumphalis si poteva effettuare dall’interno dei Musei Vaticani.

Adesso invece l’accesso esclusivo da parte di chi si prenota (on line, venti euro il costo della visita, con guida) può avvenire appunto da piazza Risorgimento, attraverso la cosiddetta Porta di Santa Rosa (“Non chiedetemi perché si chiama così, forse per la presenza di un tempietto nell’Ottocento, ma non abbiamo documenti”, riferisce all’Agi) snellendo le procedure di ingresso per visitatori anche singoli.

Ma non è solo questione di praticità. Piuttosto, la nuova modalità genera un appeal dell’antico sito che difficilmente ha potuto finora esercitare, offuscata com’è da tutto quello che al visitatore viene proposto nei Musei dei Papa. La Cappella Sistina, le Stanze di Raffaello, il Cortile Ottagono con il colosso in marmo del Laocoonte, i Musei Egizio, Etrusco, la Galleria delle Mappe Geografiche, i Giardini Vaticani e via stupendo…

Qui invece “il più piccolo Stato del mondo – sono ancora le parole di Jatta – mostra nelle sue viscere una sorta di Pompei di incredibile interesse, una città dei morti – un parco funerario, non sottoterra, si badi bene – che è una città dei vivi”.

Il più piccolo Stato del mondo mostra nelle sue viscere una sorta di Pompei di incredibile interesse, una città dei morti – un parco funerario, non sottoterra, si badi bene – che è una città dei vivi

E infatti il cimitero pagano scoperto negli anni Trenta - a partire dagli scavi successivi ai Patti Lateranensi, a quelli sotto l’Annona e l’area della Fontana della Galea a metà del Novecento, fino agli interventi per la costruzione dell’autoparco e, nel 2003, gli sterri per il parcheggio del Novecento di Santa Rosa, con la Porta realizzata dallo scultore Gino Giannetti inaugurata nel 2006 – collega senza soluzione di continuità sepolcri databili dalla fine del primo Secolo avanti Cristo alla fine del III secolo dopo Cristo, l’età di Costantino che proprio in Vaticano volle la piccola tomba dell’apostolo Pietro e la costruzione della basilica.

Un’area sulla sponda etrusca del Tevere (zona extraurbana perché le sepolture erano vietate nel cuore della Città) tra la via Triumphalis, verso Veio, che scendeva e scende dalle pendici di Monte Mario, e la via Cornelia-Aurelia, verso Caere (oggi Cerveteri). Il colle Vaticano non era solo famoso per le cave di argilla. Ospitava grandi parchi sia privati che imperiali: si pensi ai Giardini dove Caligola costruì il circo, in cui Nerone martirizzò i Cristiani accusandoli dell’incendio del 64, gli adiacenti Horti di Domizia, dove Adriano costruì il suo mausoleo maestoso, oggi Castel Sant’Angelo.

Ma perché questo sito è paragonato a Pompei? Perché una serie di frane dalle alture circostanti seppellirono le tombe, proteggendole

Ma perché questo sito è paragonato a Pompei? Perché una serie di frane dalle alture circostanti seppellirono le tombe, proteggendole. Sulla terra accumulata se ne costruirono altre. Quelle più antiche prevedevano l’incinerazione, quelle più tarde la inumazione. Così si alternano nei vari strati olle contenenti le ossa, anche piccole, raggruppate in un numero considerevole. Gli scheletri intatti offrono invece la possibilità di conoscere gli usi dei nostri antenati. “Agli archeologi si sono affiancati antropologi e storici – dice Jatta - capaci di studiare le abitudini dei secoli più lontani. Ed erano abitudini di persone della media e bassa classe: artigiani, liberti, cavalieri, carpentieri, resti che in genere non vengono conservati”.

Chi frequentava questi cimiteri, ornati di piante a cespuglio, con un terreno ora ascendente, ora digradante, non aveva input religiosi. Piuttosto, aggiunge Giandomenico Spinola, vice direttore artistico-scientifico dei Musei Vaticani -“le connessioni archeo-antropologiche restituiscono testimonianze di affetti familiari, di vita quotidiana, di speranze, di paure. Le iscrizioni svelano sentimenti, gioie, attorno ad esse chi era rimasto in vita banchettava, siglando vita e morte. Al punto che gli scavi della Necropoli Triumphalis costituiscono una sorta di Spoon River dell’Antica Roma”.

Tanto il climax degli affetti che in una unica tomba si riuniscono le ossa di bambini ricongiunti con i propri genitori, resti anche nel numero di cinquemila che si radunano insieme. “Non ci sono dei – dice all’Agi Spinola -  I morti parlano laicamente, la voce dei defunti rivela le loro speranze, le aspettative. La loro voce restituita da parenti ed amici allude alla vita”. E infatti i vivi in visita ai defunti portavano con loro cibi, offerte ai loro cari  e poi si fermavano a mangiare, in una sorta di picnic nella campagna attorno all’Urbs. “Vita e morte nella Roma dei Cesari” è appunto il nome di questo nuovo percorso di visita.

Fondi canadesi hanno permesso gli scavi. Tra  quelli più emozionanti, emerge lo schiavo lanternaio che accompagnava il padrone con la propria lucerna e nell’attesa si assopisce, l’urna cineraria in vetro dello scenografo Alcinoo, il sarcofago del Cavaliere, o la coppia di Venere e Priapo. Più tardi ogni ritaglio del terreno viene occupato da tombe, in seguito – IV secolo – sepolture sporadiche a inumazione si addossano a ruderi emergenti dai sepolcri più antichi.

L’ustrino era invece un’area dedicata alla incinerazione, con strati di argilla concotta, depositi di carboni, pigne e pinoli combusti. Le fasi di questo rito funebre si articolavano nell’elogio del defunto prima della cremazione, dopo il rogo le ossa venivano lavate e raccolte in un sacchetto di stoffa e in un contenitore di terracotta, infine sistemate in nicchie scavate nelle pareti o in alloggiamenti nel pavimento. Sepolture in disuso nel IV secolo, dove però il ritrovamento di ceramiche nell’Alto Medioevo fanno ipotizzare che fossero diventate ricoveri dei pellegrini oppure stalle.

In una sepoltura con colombario la statua di un amministratore di condominio: nell’urna riuniti moglie, marito e i figli. Un altro sarcofago presenta invece due donne, della prima metà del II secolo dopo Cristo. Poi metà delle sepolture sono a incinerazione, l’altra metà ad inumazione.

Il lavoro nella necropoli non è finito, chissà quanto durerà. Restauratori sono in loco, il georadar permette di individuare ulteriori sepolture negli strati più profondi

Il lavoro nella necropoli non è finito, chissà quanto durerà. Restauratori sono in loco, il georadar permette di individuare ulteriori sepolture negli strati più profondi, l’avanzamento delle tecniche di indagini conduce a intervenire nuovamente su ciò che si è già musealizzato. E che ci stupisce: dall’urna funeraria in vetro azzurrato dello scenografo Alcino al sarcofago del Cavaliere, a quello con due volti muliebri affiancati, la madre e la figlia. Al paffuto bambino di quattro anni, dice l’iscrizione, con l’espressione tristemente assorta

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