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16 maggio 2023
di Marco Patricelli

Il cuore della civiltà

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In un modo e nell’altro l’umanità ha un debito verso l’area mediterranea. Niente è paragonabile nel resto del mondo a quello che accadeva in questa zona in termini di evoluzione e di relazioni. Era un mare chiuso (così veniva ritenuto nell’antichità) che incarnava liquidamente l’ansia di scoprire il nuovo, migliaia di anni prima che Dante facesse di Ulisse il monito a “seguir virtute e canoscenza”. Traffici, spedizioni, rotte commerciali militari, approdi, centri urbani e colonie.

Tutto nel Mediterraneo ricorda o disegna l’inestricabile ragnatela della storia, filigranata dalla bava di spuma lasciata dalle imbarcazioni che cominciarono a solcarlo non appena l’uomo aveva scoperto e si era impadronito dei segreti della navigazione, sottocosta, seguendo il profilo della terra, e trovandone di altre emerse dall’acqua.

I fenici, dall’Oriente, con gli eleganti scafi di cedro, panciuti per contenere quante più merci possibile, diffondevano il vetro e il rosso di porpora ricavato dal murice che ancora oggi è per antonomasia il colore più nobile. Entrati in contatto con assiri, babilonesi ed egiziani, e poi con i persiani, i greci e i romani, la civiltà deve ai fenici l’invenzione dell’alfabeto, nel II millennio avanti Cristo. Le loro basi portuali diventavano città, arrivate sino a noi come Cadice, o destinate a fare la storia come Cartagine.

Sulle sponde salate si affacciarono quindi gli achei, la prima popolazione ellenica, termine con cui si definiranno poi tutti i greci, che inventeranno la democrazia ed esporteranno la filosofia, l’architettura, il culto del bello e il bello del sapere, anche imponendo il loro sistema con le armi, con le guerre tra le città stato che però si coalizzavano per respingere le invasioni come nell’epico scontro con i persiani, su terra e su mare, alle Termopili e a Salamina. Poi venne Roma e tutto, ma davvero tutto cambiò, anche nella Magna Grecia in Italia.

Tutto nel Mediterraneo ricorda o disegna l’inestricabile ragnatela della storia, filigranata dalla bava di spuma lasciata dalle imbarcazioni che cominciarono a solcarlo non appena l’uomo aveva scoperto e si era impadronito dei segreti della navigazione

Avvenne quando la potenza regionale sulle rive del Tevere scoprì che per essere davvero grande doveva misurarsi con il mare aperto munendosi di una flotta per correre lungo le rotte del Mediterraneo. Copiò, imparò, elaborò, perfezionò, inventò. Subì da Cartagine, sfiorò il tracollo con Annibale, reagì e impose la sua supremazia.

Su terra e su mare. Cartagine venne rasa al suolo e dove sorgeva la sua potenza venne sparso il sale per impedire che rinascesse un solo filo d’erba. Il Mediterraneo era nei fatti il mare nostrum dei romani, che con le legioni, con i patti (foedera aequa e foedera iniqua) e la diplomazia, portavano il diritto e un poderoso sistema statale plurinazionale ineguagliato per ambizione e per espansione.

Tutto quello che è attorno al Mediterraneo, fino allo Stretto di Gibilterra già raggiunto da fenici e greci, e fino all’interno del Mar Nero, è Roma: è la Repubblica con le sue leggi e la sua potenza. Nel 212 Antonino Caracalla concede la cittadinanza romana a tutti i sudditi e l’impero diventa universale con il cristianesimo nato nell’oriente del monoteismo ebraico, ma talmente grande da doversi sdoppiare in due regni nel segno dell’unità spirituale e non più politica.

Quando Roma cade nel 476, la seconda Roma che ne raccoglie l’eredità è sul Bosforo, Costantinopoli, poi Bisanzio, infine la coeva Istanbul. È qui che Giustiniano nel VI secolo codifica il sapere giuridico romano e ne fa le basi del diritto moderno, mentre a occidente le invasioni barbariche hanno frantumato l’esistente in un nuovo instabile assetto che ha spezzato il monopolio mediterraneo romano.

Nel VII-VIII secolo, ecco gli arabi, che definivano il mare delle loro scorrerie e conquiste “mare di Rumelia”, ovvero romano-bizantino. L’espansione dell’Islam e la reazione dell’Europa cristiana per riappropriarsi del Mediterraneo videro il singolare ruolo delle Repubbliche marinare Amalfi, Pisa, Genova e Venezia, impegnate in straordinari commerci e traffici in oriente e spedizioni militari che reclamavano basi, scali portuali efficienti e soprattutto la sicurezza della navigazione.

Rivali tra di loro e non di rado in guerra, spregiudicate diplomaticamente, abilissime nell’arte di trattare con altri popoli anche lontanissimi, evolute nell’arte di costruire e condurre le navi, sapranno imporre le leggi del mare e il loro dominio fino a due eventi epocali inaffrontabili: la caduta di Bisanzio in mano ai turchi nel 1453 e, soprattutto, la scoperta delle Americhe nel 1492. Quest’ultimo evento, spalancando la prospettiva sul Nuovo Mondo e sulle sue immense ricchezze, spostò il baricentro dei traffici oltre quelle Colonne d’Ercole che gli antichi ammonivano a non oltrepassare.

Sia Venezia sia soprattutto la Spagna, nonostante l’impero, nel XVII secolo decaddero dal ruolo di potenze navali, per il prepotente affacciarsi sulla scena dell’Inghilterra, la nazione-isola che ha fatto della navigazione la sua ragione di vita, e che da apprendista è diventata maestra ineguagliata: il Regno non ha più bisogno di affittare la bandiera della Repubblica di Genova per essere temuto e rispettato sui mari perché ha fatto della croce rossa in campo bianco la sua bandiera. Il Mediterraneo sembra lontano ma è invece il centro dei suoi interessi, anche a costo di rivaleggiare con la Francia, nemica secolare, che invece ci si affaccia.

Ma gli inglesi col Trattato di Utrecht nel 1713 si sono impadroniti di Gibilterra facendosela cedere dalla Spagna e di qui controllano quel che esce e quel che entra e decidono quello che accade nel mare caldo dall’unico punto che lo proietta verso l’oceano. Neppure Napoleone sarà in grado di scacciare gli inglesi che prima di batterlo definitivamente a Waterloo gli avevano inflitto la dura sconfitta navale di Trafalgar nel 1805. Persino la nascita dell’Italia avviene sì sulla spinta del Risorgimento ma soprattutto con il favore (e l’appoggio) britannico che vedeva nello stato nazionale dei Savoia un utile contrappeso alle ambizioni della solita Francia.

L’apertura del Canale di Suez (1869) spalancava la via dell’Oceano indiano senza dover circumnavigare l’Africa, peraltro sottoposta alla colonizzazione europea. I traffici, intanto, avevano assunto dimensioni inaudite, grazie anche all’evoluzione dell’ingegneria navale che aveva accantonato le vele per il vapore e poi per i carburanti.

Mediterraneo sempre centrale in ogni epoca storica per ogni forma di equilibrio: commerciale e militare, di rango e di ambizioni, di potenza muscolare e di influenza politica. Fino agli scontri sanguinosi della prima e soprattutto della seconda guerra mondiale, fino ai conflitti locali e all’irrisolta questione mediorientale della contemporaneità. È nella sua vocazione, stare in mezzo alle terre e travasarne tensioni e problemi, speranze e rancori, odi e amori, col soffio delle culture che si intersecano e il vento delle passioni, anche acri, anche eccessive, persino dolorose. È il suo destino, scritto nel nome.

Salvatore Quasimodo, Mediterraneo

Già da più notti s’ode ancora il mare,

lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce.

Eco d’una voce chiusa nella mente

che risale dal tempo; ed anche questo

lamento assiduo di gabbiani: forse

d’uccelli delle torri, che l’aprile

sospinge verso la pianura. Già

m’eri vicina tu con quella voce;

ed io vorrei che pure a te venisse,

ora di me un’eco di memoria,

come quel buio murmure di mare.

 

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