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5 agosto 2022
di Mario Sechi

Cercare un'isola

Golfo di Oristano, 'memorie' del villaggio dei pescatori a Torregrande (Foto di Mario Sechi).
Golfo di Oristano, 'memorie' del villaggio dei pescatori a Torregrande (Foto di Mario Sechi).
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Cercare un'isola. È esplorare i confini, nascere in un luogo circondato dal mare ti ricorda che quando sei arrivato al filo dell'acqua hai tre opzioni: nuotare, stare a guardare, voltare le spalle e tornare indietro. Azione. Contemplazione. Accettazione. Da giovane è la prima, da adulto è la seconda, da uomo è la terza. Virginia Woolf andò a fare una gita al faro per regolare i conti con il ricordo della madre, qui il faro lo vedo tutte le sere brillare, quello di Capo San Marco, il conto da saldare all'osteria della vita è grande e salato come l'acqua del golfo e in ogni caso preferisco prender la faccenda del pagamento come la risolse John Fante per Arturo Bandini: accolse l'avviso dell'affitto (e dello sfratto) dormendoci sopra. In fondo il risveglio è un 'eterno ritorno', il problema del conto resta. Come cercare l'isola.

Andare a caccia di miti. In agosto. Chimerico. Una vecchia lezione: questo è il periodo più propizio per andare a pesca di notizie, possente distrazione per chi ha le dita sempre nella marmellata dell'inchiostro. Mentre tutti sono in vacanza, i fatti guizzano come banchi di pesce azzurro fin dal primo mattino, gli eventi ardono come seppie sulla graticola a mezzogiorno, pronte a essere inghiottite dalla rotativa, la nostra Balena Bianca. La sera, scatta la tregua, un bicchiere di mirto, il tramonto sul mare, bacche di ricordi. Che illusione, quasi un amore sfiammato, una fiocinata, dritta al cuore. Un graffiare di disco rotto mi arpiona mentre sto per colare a picco, ("italianiiiiii....") mi ricorda che siamo spiaggiati sulla campagna elettorale, il tentativo di evasione è già fallito. Cercare un'isola. 

Un graffiare di disco rotto mi arpiona mentre sto per colare a picco, ("italianiiiiii....") mi ricorda che siamo spiaggiati sulla campagna elettorale, il tentativo di evasione è già fallito. Cercare un'isola. 

Eccola qui, l'isola. Non questa, quella. Lontano, a Oriente, emerge Formosa, un braccio di mare lungo e pericoloso, la trappola dei pirati, una cosa più a nord delle piste battute da Yanez e Sandokan, ma presente nell'Emilio Salgari de 'Gli scorridori del mare'. Qui siamo in un altro tempo, non c'è più niente da scoprire, forse antiche civiltà sepolte, ma le nostre vicende rombano furiosamente come campane a reazione, cacciabombardieri sulla linea mediana dello Stretto di Taiwan, l'aereo di Nancy Pelosi su Flight Radar non c'è, no aspetta, eccolo qua, destinazione Taipei, atterrato, ira della Cina. Strani giorni, canterebbe Franco Battiato, balzana idea quella di scatenare una guerra con Pechino, così, per puntiglio democratico, in quello specchio che sarebbe pure Pacifico.

Ho rivisto 'Midway', per saggiare una sceneggiatura degli spazi, la guerra sul mare, la sorpresa che oggi è mission impossible, in un quadrante infinito, punteggiato d'isole (Marshall, Hawai, Guam, Midway, Ivo Jima), croci su un oceano rosso. Per dissociazione impolitica, spunta da un angolo della memoria una copertina di Vanity Fair, la First Lady che balla con il presidente Ronald Reagan. Un'altra Nancy. Soprattutto un altro presidente. D'accordo, era anche un'altra America, pre-destinata alla dissipazione, ma ancora prossima al sogno.

Cercare un'isola. Sembra facile, ci sto camminando. "Che ci faccio qui?", il libro di Bruce Chatwin mi catapulta su terre lontane, vecchi reportage dall'Oriente, frammenti di un discorso amoroso (ancora Roland Barthes, rappresentazione da insonnia, foresta di simboli), tentativi di capitoli, frammenti appesi, gemme impolverate, pepite incastonate, un mondo sopra-minerale: 'Il geomante cinese', 'cavalli celesti', 'il mondo di Rock', 'invasioni nomadi', che viaggio, Bruce. 

Cercare un'isola. Sembra facile, ci sto camminando. "Che ci faccio qui?", il libro di Bruce Chatwin mi catapulta su terre lontane, vecchi reportage dall'Oriente.

Quasi dormo. Cerco un'isola. Mi risveglio, c'è un avviso sullo smartphone. Torna la prosa, un lampo: Ayman Al-Zawahiri è stato fulminato da un drone americano, pare coltivasse una passione per la boccata d'aria sul balcone, che per una sagoma con la sua biografia, in un luogo chiamato Kabul, è un'insana abitudine. Flash, la morte arriva dal cielo. Se avesse letto 'Drone Theory' di Gregoire Chamayou avrebbe evitato l'affaccio, un giorno ci inseguiranno sciami di droni guidati da intelligenze artificiali, la guerra senza l'uomo contro l'uomo, dicono. Per ora è la storia in poche righe della fine del medico egiziano di Al Qaeda. Arriva come provvidenziale polvere da sparo un anno dopo il ritiro dall'Afghanistan, quella foto del generale maggiore Chris Donahue, comandante dell'82esima divisione aviotrasportata, che lascia Kabul, l'ultimo soldato.

Una storia che dopo vent'anni è andata malissimo e non continua benissimo. Siamo al centro del 'Grande Gioco', qui abita Rudyard Kipling, 'Il libro della giungla' di quand'ero bambino, l'avventura di 'Kim' e la grandiosa lezione stoica di 'If', imparare a cadere e rialzarsi. Qui vivono le pagine di Peter Hopkirk tradotte da Adelphi, belle, dense, una saga di spie. Ma è ancora Chatwin a esercitare il potere del richiamo, il 'lamento per l'Afghanistan', un'altra ricerca interiore, 'sulle orme dello Yeti', in alto.

Ci sarebbe anche l'occasione per un'incursione nella Russia dimenticata, obnubilata dalla guerra, una corsa sulla slitta tra i dipinti del romanticismo di Viktor Vasnetsov e la prosa rivoluzionaria di Aleksandr Blok, un dispaccio da Mosca dove hanno appena detto che "l'America vuole destabilizzare il mondo", voilà, mentre sul taccuino del nostro viaggiatore s'affaccia il ritratto chatwiniano di 'George Costakis: la storia di un collezionista d'arte nell'Unione Sovietica', un tour tra i meravigliosi quadri di un'esposizione (che fu tutta una scoperta domestica) con l'immanenza delle note di Modest Petrovich Mussorgsky. Cercare un'isola. E bordeggiare lontanissimo. Dove nevica sempre.

Cercare un'isola. Siamo nell'estate all-inclusive della non-villeggiatura, tutti in volo, in fila all'imbarco, in cerca di priority, mai visti gli aeroporti così brulicanti, una scena da post-tutto con il presagio di un cattivo inverno senza check in. La 'bella stagione', ricordi. La memoria di Ricky Tognazzi qualche giorno fa sullo Specchio, ne ho letto un passaggio a 'Prima Pagina', sono piovute grandinate di chiamate e messaggi dagli ascoltatori, effetto nostalgia, certo, ma con qualcosa in più, la sensazione, il presagio, la voglia di evasione, la fuga, lo smarrimento di un filone d'oro perduto, gli anni del Boom, papà Ugo che era cinema e cucina, femmine e scolapasta d'oro, una villa a Torvaianica, il tennis come dritto e rovescio della vita (leggete il libro di John McPhee, 'Tennis', letteratura, tra un ace e una discesa sotto rete, la conferma di una battuta sotto rete di Adriano Panatta, giocatore d'irregolare bellezza: "Il tennis l'ha inventato il diavolo"), un paio di famiglie (de)costruite (ah, lo strutturalismo dell'amore), che pezzo flambé, che gambe, che sventola, e un'Italia da refrain di Fred Buscaglione ("eri piccola, piccola, piccola, così") che era paese senza ancora spaesamento. Buscaglione, che rivoluzione della canzone ("Teresa, ti prego,/ Non scherzare col fucile. / Per la rabbia, la tua bile / Può scoppiar").

Si poteva dire tutto, qui c'è rimasta Natalia Aspesi che marcia in gioiosa direzione contraria e la rilettura balsamica di un Alberto Arbasino dietro l'altro (ora, 'Ritratti e Immagini', Adelphi) dunque vai con Fred in sottofondo e un-due-tre, Truman Capote: 

"Trummy veniva spesso in Italia, fin dai suoi primi anni 'poverrimi' quando poi raccontava soprattutto le pensioni e le trattorie di Ischia o Venezia, con grande abbondanza di quei tratti folkloristici tanto apprezzati dai lettori americani e inglesi: scogli, pesci, crostacei, pomodori, vecchiette, stufette, color locale. Ma mentre la sua carriera letteraria e mondana progrediva, diventò sempre più instancabile e infallibile nelle ricerche e incontri con le celebrità della cafè society del "jet set cosmopolita", come si diceva allora. Non più "divine bruschette". 

Capote non (ri)trovò l'isola. Arrivò la fine, il tradimento par defaut dell'alta società, la curva della strada dove accade di non essere visto (Fernando Pessoa) e una lezione da mandare a memoria per chi scrive: lasciate perdere i salotti e se in mezzo c'è un affare strappacuore, una gran dama (o un gran signore) vedrete che vi lascerà. "È tutta una questione di soldi, il resto è conversazione", diceva Gordon Gekko. O una necessità da yachting. Dunque, fatevi "un'ombra de vin bianco" solitaria (la saggezza dei veneziani, grandi navigatori) a bordo di un gommone. 

Sbottigliato il messaggio (copy, Fred Buscaglione), resta il problema sulla mappa dell'anima: cercare un'isola. Dove? In fondo, questo era un (semi)finale già scritto, un "dedicato a tutti quelli che stanno scappando" con la sorpresa à la Salvatores dell'epifania di Diego Abatantuono ("minchia, signor tenente...") che affetta le melanzane nel finale di 'Mediterraneo', con quella frase che è un programma post-politico, un resoconto storico ("non ci hanno lasciato cambiare niente, allora... allora gli ho detto 'avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice'), una resa mai, senza lacrime, ridiamoci sopra va'. Un'isola (ri)trovata, dove niente finisce e tutto comincia, in Grecia. 

Sbottigliato il messaggio (copy, Fred Buscaglione), resta il problema sulla mappa dell'anima: cercare un'isola.

Cercare un'isola. E berci sopra. Alla notizia che il Negroni s'è tra(s)vestito in sorbetto, ho un ancestrale soprassalto a 42 gradi, siamo in zona totem e tabù. Il Conte (Negroni) non ne sarebbe entusiasta, quella dolce mescolanza fu soggetto dell'etilico carattere, dei viaggi, di una sulfurea nobiltà che in quel di Firenze balzava dietro il bancone del Caffè Casoni, vai con una parte di Gin, una di vermouth e una di bitter, tocco finale, una fetta d'arancia. Un guizzo di genio. S'apre un dibattito con il mio doppio (e anche triplo): Negroni o Gin Martini? James Bond non avrebbe dubbi (agitato, non mescolato), ma qui prima di tutto Vesper non c'è (è andata via - santo cielo come si fa da sobrio a evocare Nek in tandem con Fleming?) e il cocktail (quelli che la sanno lunga fanno planare la parola 'mixology', si svelano al secondo bicchiere, sono stesi sotto il tavolo) è una questione che divide il campo e le famiglie in età da sbronza, un eterno Roma-Lazio.

Se fossimo a Santa Marinella, la discussione sui fondamentali s'involerebbe a centrocampo con un Dybala-Negroni e sulla fascia laterale con un Immobile-Gin Martini, ma qui, dove il mito (eccone uno, gigantesco) si chiama 'Rombo di Tuono', la faccenda tra giallorossi e biancocelesti finisce in palleggio tra cannoniere e cannonau, non s'impone come una trama orchestrata da Pep Guardiola (e poi qui strega di più il fùtbol - detto alla Elenio Herrera - sanguigno del 'Cholo', il Simeone dell'Atletico Madrid, siamo tutti 'colchoneros', decisamente arrivati ai materassi). E noi del Cagliari siamo in B. E abbiamo pur sempre vinto un irripetibile scudetto e Piero Marras ricorda che "Quando Gigi Riva tornerà / Non ci troveranno ancora qua / Con la vita in fallo laterale / E il sorriso fermo un po' a metà / Tornerà la voglia di sognare / Quando Gigi Riva tornerà". Gigi Riva, che in redazione, quando dirigevo l'Unione Sarda, il mio compagno di menabò e poker, Massimo Crivelli, evocava con il tono riservato a un re taumaturgo, 'il Cavaliere'. Quello di Gigi Proietti era nero e la morale la conoscete tutti, dunque todos caballeros, avvisati e salvati. Il campionato? Ossignore, sono argomenti da 'continentali' con lo spaghetto alle vongole che scola sul pendaglio d'oro che cala dal collo come una liana, buoni forse in Costa Smeralda, ma quella in agosto non è Sardegna, è un equivoco geo-turistico, un pit stop per polsi con l'orologio che non vedi l'ora (dell'addio).

Mentre la discussione surfa sulle figurine Panini (e la 'maggica' come ogni anno ha già vinto lo scudetto d'agosto) ecco la svolta della serata, una domanda con risposta full optional delle signore: "Avete visto che eleganza, le bermuda di Kate?". Io sono in versione su strada, molto basic, a quest'ora non ho neppure il servosterzo. Chi? "Come sei déraciné, pensi solo a scrivere, dai, Kate Middleton!". Sta bene, incasso lo sradicamento (che poi avrei preferito un 'delabrè', insomma un'istantanea da macchina Kodak, uno sviluppo vintage più vicino al mio non-essere) e a quanto pare lo stile Royal Navy impone una riflessione. Provvedo subito. Bermuda. Kate. Niente da dire, sono già naufrago, pronto a essere ripescato. È anche questa una vicenda da yachting.

"Avete visto che eleganza, le bermuda di Kate?". A quanto pare lo stile Royal Navy impone una riflessione. Provvedo subito.

Cercare un'isola. Non quelle barche con lo scafo che separa le vite degli altri. Un Titanic da Francesco De Gregori dove "la prima classe / costa mille lire, / la seconda cento, la terza dolore e spavento". Qui siamo a bordo di altre navicelle, arche che solcano mari antichi popolati di mostri degli abissi. Altri porti, fondali, praterie di posidonia e  fortificazioni di corallo rosso. Avanzano al galoppo i cavallucci marini (rara apparizione subacquea, come le stelle marine della mia infanzia, anni Settanta, spiaggia di Is Arutas per indicazioni sul Gps).

L'epica, certo, cos'altro? La terra sopra e sotto (marina) di Elsa Morante, vinse lo Strega nel 1957 con 'L'isola di Arturo', con l'eternità dello scoglio, lo sciabordìo dell'esistenza, lo stupore che non passa, senza il chiassoso tempo entro e fuoribordo del boat people: "Nel nostro porto non attraccano quasi mai quelle imbarcazioni eleganti, da sport o da crociera, che popolano sempre in gran numero gli altri porti dell’arcipelago; vi vedrai delle chiatte o dei barconi mercantili, oltre alle barche da pesca degli isolani". 

Cercare un'isola. L'immaginario, il ricordo, la mia infanzia, la trama del telaio tra terra e cielo, il profumo del legno e della vernice fresca passata sullo scafo, barche sospese sull'acqua. Era il villaggio dei pescatori, case povere, baracche, un sottosopra di mattoni di terra cruda e falasco, ricoveri di reti, ancore in attesa di sconosciuti approdi, verricelli della speranza, palamiti per il pane, pezzi di scoglio e conchiglie con l'onda dentro, "ascolta, il mare". Tiravo la cima dalla spiaggia, ero un marinaio così piccino da poter toccar le stelle tra le braccia di mia nonna. Cercare un'isola. E ritrovarla.

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