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2 ottobre 2023
di Lidia Lombardi

Credere nella parola

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«Mi piace mescolare,

dunque suonare

e scrivere,

e porgere la parola».

Nicola Bultrini è poeta e suona il sax. Ma insegna anche a scriverla, la poesia. E la divulga, con letture nelle forme più inconsuete ed emozionanti. Egli ama molto anche la Storia, quella delle due guerre del Novecento, soprattutto. Ne ha scritto dei saggi, e qui l’indagine si unisce alla vena narrativa.

Bultrini crede dunque nella parola (è anche tra i redattori di un periodico, Viva, una rivista in carne e ossa, alla Galleria La Nuova Pesa di Roma, che non è sulla carta ma appunto dal vivo). La parola, si diceva. Quella che viene dai precordi e che la mente sa disciplinare senza inaridirla. Ecco allora il suo impegno di maieuta, in una scuola di scrittura creativa che comincia, come per tutti i ragazzi, a ridosso dell’autunno. È il Writers Studio Italia, una costola dell’omonimo istituto privato fondato nel 1987 a New York dal Premio Pulitzer Philip Schultz. Capitò che egli incontrasse nel 2016 al Festivaletteratura di Mantova Stas’ Gavronski, giornalista culturale e già insegnante di scrittura creativa nel nostro Paese. Decisero di creare una filiale a Roma, coinvolgendo appunto per i corsi di poesia il comune amico Nicola Bultrini, che era stato allievo del Writers Studio statunitense.

Racconta Bultrini: “Abbiamo cominciato nel 2020, applicando il metodo praticato da Schultz. Cicli di otto lezioni, due ore settimanali, con cadenza stagionale: autunno, inverno, primavera. Il Covid ha obbligato a una frequenza on line. Ma anche da remoto le lezioni non hanno perso efficacia. La scorsa primavera, a fine ciclo, allievi e insegnanti si sono incontrati. Sono venuti da Milano, dalla Sicilia, da Lisbona. Una esperienza coinvolgente e densa di calore intellettuale e umano”.

Come insegna a scrivere? “È un’operazione molto pragmatica, nello spirito statunitense. Per ogni corso si forma una piccola comunità di partecipanti, dai sei ai dieci allievi. In ciascuna lezione l’insegnante propone il testo di un autore celebre, tratto dall’archivio di Writers Studio. Ungaretti, Omero, Shakespeare, Kavafis… Ecco, io leggo una poesia e un mio testo esplicativo che metta in evidenza le caratteristiche della voce poetica. Ed è subito interessante vedere come reagisce l’allievo. Il quale, poi, a casa, durante la settimana compie l’esercizio di imitarla, quella voce. Al successivo incontro ognuno legge ciò che ha prodotto, e tutti gli altri commentano, a vicenda”.

L’imitazione non è un’operazione sminuente? “No, è la base della formazione. Avviene lo stesso nell’arte, allorché un aspirante pittore o scultore va a bottega e copia il gesto del maestro. E avviene per esempio per i jazzisti, che imparano andando ai concerti, alle prove dei concerti e replicano la tecnica dei musicisti affermati. Al Writers Studio si scrive molto ma si legge anche molto e si confronta altrettanto. Poi ciascuno trova la propria voce, linguaggio, identità. Si è costretti a scavarsi dentro, a esprimersi e a relazionarsi rispetto alle cose e alla realtà. Prendendone anche le distanze. C’è una regola precisa per i discenti. Quando gli altri della tua classe commentano il tuo testo, tu non puoi rispondere, perché ti metteresti sulla difensiva”.

Quale attesa c’è per i risultati, alcuni arrivano a pubblicare? “Alla fine del corso rilasciamo un attestato. Negli anni abbiamo individuato alcune persone talentuose. Ma non è poi questo il punto. Il fine non è diventare famoso, piuttosto imparare a gestire il materiale del proprio vissuto. Gli allievi, e sono di tutte le età, nello stesso numero donne e uomini, anche principianti, hanno una consapevolezza diversa dalle schiere di dilettanti che scrivono senza aver letto niente, si autopubblicano e anzi ora si promuovono sui social alla caccia di like. Con questo non voglio liquidare snobisticamente chi compone versi. Perché nella odierna realtà, così frammentata, se ti diletti a scrivere poesie, che male c’è? A meno che non sia per una smania di apparire, prendi coscienza della tua interiorità. Nei lager gli internati si dedicavano alla poesia, o leggevano la Divina Commedia, come ho approfondito in un mio libro. Era un modo di reagire”.

Anche per questo lei è un instancabile divulgatore di poesia. Non reading “narcisistici”, ma creazione di situazioni che lascino un segno. È successo con le letture all’alba, nell’ottobre del 2021 e nell’ottobre successivo. La prima volta sullo sfondo del Museo Etrusco di Villa Giulia, la seconda nell’atrio della Basilica di San Pietro. “Sono state occasioni di forte valore simbolico, capaci di creare momenti di condivisione e di coralità. Un gesto gratuito e forte, come solo la poesia può essere. Eravamo in pieno Covid. A Villa Giulia si sono alternati venti autori. Alla prima luce del giorno, il leggio davanti, hanno letto un testo di quindici-venti versi, senza preambolo né commento, semplicemente chiamando al termine l’autore successivo. All’inizio e alla fine, l’Orchestra di Piazza Vittorio ha eseguito un brano musicale. Perché l’incontro deve avere un risvolto performativo, un’idea di spettacolo: servono microfono, luci, voci, suoni”.

Ancora più suggestivo l’evento del 2022, a San Pietro. “Giuseppe Conte, Edoardo Siravo, Maria Letizia Gorga e Monica Nappo hanno dato vita alla lettura scenica integrale di The Waste Land di Thomas Stearn Eliot. Aprile è il mese più crudele, l’avvio del poema, un dramma cosmico sulla condizione dell’uomo dove tuttavia ci si può incamminare su una via di rinascenza. Nel silenzio totale tutto intorno, mentre il giorno via via si colorava di rosa, nell’atrio della Basilica, ho vissuto un momento di compartecipazione con tutti coloro che mi stavano intorno. Anche qui l’Orchestra di Piazza Vittorio ha suonato all’avvio e alla conclusione. A voler sottolineare che la poesia è sempre canto. E poi la musica ha un forte potere evocativo”.

E note in sottofondo, o introduttive anche per le letture nella hall del Policlinico Gemelli di Roma, un piccolo concerto e dei versi per i ricoverati dell’ospedale, sullo sfondo di un pianoforte a coda. “Un appuntamento mensile durato per sette anni, interrotto poi dalla pandemia. Hanno partecipato con entusiasmo grandi jazzisti, Danilo Rea, Stefano Di Battista, Fabrizio Bosso, e grandi attori, come Fabrizio Gifuni. I malati si avvicinavano timidamente, poi si sedevano, silenziosi e partecipi, mischiati ai camici bianchi”.

Poesia nel dolore e nello spaesamento. Durante il lockdown ha lanciato un appuntamento quotidiano via whatsapp. Ogni giorno un poeta, in video, a recitare un proprio componimento. “Come avere un poeta a casa, e gli autori, chiusi nelle proprie quattro mura, sono potuti uscire dall’isolamento con un contatto umanissimo, seppure virtuale. Il collegamento lo giravo a una lista di trecento persone. Quando il Covid è finito, in molti avrebbero voluto che il giornaliero appuntamento proseguisse: Mi ha fatto tanta compagnia, dicevano”.

Lei il suo sax, accompagnato dal pianoforte di Fabio Belardi, lo ha suonato anche per la Radio Vaticana, con una serie di dieci brevi podcast sotto il titolo di Jazz on the Bible. “Mi piace mescolare, dunque suonare e scrivere, e porgere la parola. Ho messo a fuoco alcuni personaggi e situazioni dell’Antico Testamento raccontandoli in versi e incastonandoli in brani di musica jazz. Al massimo due minuti la durata di ogni puntata. Una lettura leggera e al tempo stesso sostanziosa. Ciascun protagonista è stato fermato in un momento, quasi fosse fotografato. Ecco allora Lot che gira le spalle e costretto se ne va dalla sua terra, Caino nel momento in cui Dio gli fa la domanda che brucia Dov’è tuo fratello?, Giuseppe che piange quando i fratelli ingrati lo riconoscono, la risata di Sara allorché le viene detto, lei vecchia, che avrà un figlio e la promessa si avvera. Sulle note di Bacharach, Gershwin, Duke Ellington, Thelonius Monk… Anche Piazzolla, in omaggio a papa Francesco”.

Una graphic novel pubblicata nel 2018, La Grande Adunanza, suo testo e disegni di Mauro Cicarè, si figura un mondo alla Blade Runner nel quale – siamo nell’anno 2100 – è abolita la poesia, e ovviamente i libri. Sennonché un bel giorno un poeta e un suo amico rintracciano un “sopravvissuto” che è riuscito a salvare la biblioteca. Con lui elaborano un piano: sui muri cittadini, sui pali della luce, nella metro spargeranno graffiti e fogli e mattoni recanti versi (da Omero e Pascoli, a Claudio Damiani…). Una rivoluzione silenziosa, contro la quale nulla può il Potere. Ma che scuote l’animo della gente, mentre s’aggirano furtivi personaggi dal volto di Alda Merini, Valentino Zeichen, Silvia Bre, Davide Rondoni, fino a Sanguineti e Pasolini. Allora ridiventa possibile la grande adunanza dei poeti, che tornano alla luce del sole con il loro canto.

Un monito e un invito da ricordare, proprio ora che si riaprono le aule scolastiche. E allora, eccola, una poesia di Bultrini, tratta dal suo ultimo lavoro, Vetro (edito da Internopoesia):

Davvero contento non ti ho visto mai.

Me la ricordo la gita in terza, il treno

che faceva plausibile il rancore.

A me puoi confidarlo senza pudore,

ti ruba il fiato la malinconia.

Forse per questo dici, tanto

ti piace il temporale, il cielo

che tuonando impreca al posto tuo.

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