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19 ottobre 2022
di Laura Antonini

Herno e quel ramo del Lago Maggiore

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Dalle rive del Lago di Maggiore da oltre settanta anni è sinonimo di genio italiano nel mondo. La Herno è oggi un’azienda piemontese ma internazionale che produce urban outerwear di grande eccellenza. Iconici i suoi capispalla che puntano tutto su un prodotto innovativo e su una manifattura di filiera attenta all’ambiente. Al timone di questo successo di famiglia c’è Claudio Marenzi, ceo del marchio e da sempre impegnato nel settore. Dal 2013 al 2018 è stato Presidente di Sistema Moda Italia e dal 2017 è Presidente di PITTI Immagine.

Nel contempo, da Marzo 2017 a Luglio 2020, è stato Presidente di Confindustria Moda, federazione confindustriale, creata nello stesso anno e fortemente voluta da Marenzi al fine di rafforzare, promuovere e tutelare sui mercati globali l’eccellenza del settore moda, tessile e accessorio italiano. Nel 2016 è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e nel 2018 ha ricevuto il Premio Leonardo” Qualità Italia”.

Quella di Herno è una storia legata a doppio filo con quella dell’acqua. Una costante quasi romantica della vostra storia. Ci racconta come questo binomio viene portato avanti oggi, in un’epoca che mette a dura prova sia dal punto di vista ambientale con la siccità che stiamo vivendo che commerciale con i ritardi nell’esportazione dovuti a pandemia e guerra?

"Sono nato sul Lago Maggiore e qui mio padre ha fondato l’azienda nel 1948. Il legame con il territorio circostante, e quindi con l’acqua, è radicato profondamente nel mio DNA,  è una costante appunto, variabile a volte, certo romantica, e da cui generare opportunità. Stiamo vivendo un momento di contrasti che sollecita a venire a compromessi, invita ad essere “local” ed anche a mantenere una prospettiva internazionale, a far tesoro di ciò che abbiamo e ciò che faremo nel rispetto di ciò che ci circonda. Il rispetto e la tutela del territorio, le energie e il supporto in termini fisici e di investimenti  è da più di un decennio una mission personale ed aziendale".

Da sempre illuminato da una visione aperta al futuro, ha continuato a portare avanti scelte all’avanguardia come già fece suo padre. Cosa si aspetta e come vede i prossimi anni?

"Perseguo un obiettivo ben chiaro da anni: lo sviluppo ed internazionalizzazione del marchio Herno. Le sfide sono legate appunto alla responsabilità ambientale e ai diretti risvolti etici e social, alle problematiche politico-economiche di questo particolare momento storico.

Affronteremo alcuni cambiamenti strutturali che nell'ultimo periodo hanno subìto una netta accelerazione come il riposizionamento delle catene di fornitura globali, i nuovi modelli di acquisto e consumo, la transizione digitale. Nell’insieme tutto ci spingerà a dare il meglio di noi".

Come sarà la moda del capospalla 2023?

"Volumi e lunghezze oversize, sia per cappotti che per i piumini. Continueremo ad apprezzare i tessuti nobili come il cashmere-seta e le lane corpose, e saranno protagonisti anche i molti tessuti tecnici come neoprene e nylon che spaziano da quello mat al super lucido. Nella donna continuerà molto bene anche le faux fur".

Chi disegna le creazioni di Herno così sofisticate e funzionali?

"Abbiamo un team di creativi interno che lavora in azienda che di stagione in stagione si arricchisce di nuovi giovani talenti. Siamo abituati al gioco di squadra, solo così si vincono le gare. Di singolo c’è solo il capo Herno che oscilla appeso all’iconico gancio, come da sempre nella nostra immagine pubblicitaria. È il solo protagonista, il focus di tutto il nostro lavoro".

Quali sono i materiali più innovativi delle nuove collezioni e come fate a produrre senza ‘sprecare’ risorse?

"Innovare è il verbo e l’attività che perseguiamo ogni giorno. Abbiamo storicità e knowhow manifatturiero, quindi si tratta di migliorare ogni collezione nel trattamento ed uso di tessuti oggi tecnologicamente avanzati, perché oltre a saperli scegliere è necessario essere capaci ed esperti nel lavorarli e adattarli al design di un capo. 

Ci siamo attrezzati più di 10 anni fa nel rendere l’azienda completamente autosufficiente a livello energetico e abbiamo inserimento macchinari a basso consumo. In termini di responsabilità ambientale, aver poi anche ricoperto la facciata dell’headquarter con verde verticale cha garantito un’ottima coibentazione oltre ad armonizzare la struttura nel panorama circostante. Inutile dire che siamo carbon neutral da decenni. Poi a livello di prodotto, dal 2019 abbiamo introdotto la nostra etichetta Herno Globe composta da progetti 100% sostenibili, con un lavoro di ricerca imponente sui tessuti che sono riciclati, riciclabili o che si avvalgono di un processo di degrado accelerato in discarica. Tanto che oggi, anche all’interno della nostra collezione main, ci sono capi realizzati con tessuti di fibre sostenibili".

Quanta manodopera italiana c’è in Herno?  

"Nella percentuale più alta. Nella realizzazione dei capi, tutta la parte di creazione, modellistica e di prototipia viene realizzata direttamente nella nostra sede di Lesa. La produzione di capi non imbottiti viene realizzata in Italia, nel nostro hub in Sicilia dove vengono eseguite e lavorazioni più delicate e pregiate che solo la manodopera italiana conosce e che tramandiamo da oltre 70 anni in azienda. Gli imbottiti invece vengono realizzati nella nostra sede in Romania, come dichiarano le nostre etichette. Il controllo qualità e tutti i passaggi finali vengono realizzati in Italia e garanzia della qualità dei nostri prodotti".

La sua azienda è una vera eccellenza del made in Italy. Non ci si stupirebbe che i grandi gruppi francesi le facciano la corte. Come vede il futuro di Herno e come conciliare la crescita, gli investimenti anche in ricerca con una dimensione aziendale non di gruppo?

"Abbiamo sempre lavorato per crescere e affermarci a livello internazionale aggiornando strategie di marketing, ripensando alle collezioni a monte la comunicazione a valle, con particolare attenzione all’equilibrio finanziario delle nostre risorse.

Se in futuro, per sostenere un ritmo maggiore di crescita, dovesse servire finanza esterna, la prenderemo in considerazione".

Oltre alla sua azienda ricopre e ha ricoperto ruoli importanti nel settore Moda a livello nazionale. Cosa serve alle aziende del nostro Paese come la sua che lavorano in un’industria da sempre così strategica per l’economia? Ci sono a suo parere degli strumenti che la politica potrebbe favorire per un maggiore sviluppo della nostra industria manifatturiera? 

"La moda rappresenta in Confindustria il secondo settore manifatturiero, secondi solo ai metalmeccanici, e noi italiani rappresentiamo il 44% di tutta la moda prodotta in Europa. La moda, ancora oggi, rappresenta una grande risorsa economica e negli anni è riuscita a fondere i modelli classici manifatturieri con quelli delle industrie creative, a tenere in equilibrio il valore funzionale, sociale e culturale che i prodotti moda rappresentano. Nonostante siano aumentati i supporti da parte della politica a favore del nostro settore, abbiamo ancora bisogno di valorizzare e far conoscere la nostra filiera nella sua interezza".

 

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