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23 giugno 2022
di Ilaria Conti

Forma. Funzione. Ferrari

Flavio Manzoni, direttore del Centro Stile Ferrari - Foto Ferrari Spa
Flavio Manzoni, direttore del Centro Stile Ferrari - Foto Ferrari Spa
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Trasferire al mondo una passione tutta italiana: sfida, prestazioni, arte e anche un “tocco di poesia”. Tutto quello che è in una Ferrari. Un’auto da corsa, certo, ma anche un oggetto che racchiude ‘il bello’. Parola di Flavio Manzoni, Chief Design Officer della Ferrari, l'architetto gentile e franco come la sua terra natale, la Sardegna, che col talento e tanta scienza traccia le linee di vetture da sogno. A Maranello lavora da una decina di anni e ha costruito - da zero - il centro stile del Cavallino. La “forma” deve sposare la “funzione” e la sfida, dice, sta nel “rivisitare, rileggere e proiettare verso il futuro” gli stilemi delle vetture del passato. Il progetto dei nuovi bolidi parte sempre da un foglio bianco e da un’idea.

Flavio Manzoni, come nasce una Ferrari

Gli strumenti dell’era digitale? Contano, ma sono solo un aiuto. Nuorese, 57 anni, dalla sua matita è nata anche la prima ibrida del cavallino, LaFerrari. Manzoni è convinto che le ‘Rosse’ siano universali ma non proprio per tutti: chi le acquista non deve amare solo il brivido della velocità, ma deve anche essere un “esteta”.

Ferrari è un pezzo di Italia in movimento. Una bella responsabilità

Sicuramente sì. Ogni nuovo prodotto Ferrari rappresenta il concetto dell’eccellenza, della bellezza, non solo delle prestazioni. E’ sempre una responsabilità e si tratta di trasferire questa nostra passione italiana, questo approccio umanistico al progetto. E ogni volta che nasce un nuovo progetto c’è il senso della responsabilità ma anche della sfida. La magia di poter creare un qualcosa di nuovo che ancora non esiste e che aggiunge un ulteriore tassello a questa incredibile evoluzione del marchio e a questo patrimonio anche estetico di altissimo livello.

La Ferrari è un punto di riferimento. Pininfarina ha disegnato alcuni dei modelli più iconici. Interpretare – anticipare, realizzare – i sogni degli appassionati non deve essere un esercizio semplice

Non è mai semplice ed è sempre più complesso perché rispetto alle Ferrari di una volta, che erano meno soggette a tutti i vincoli di tipo tecnico, aerodinamico, omologativo, adesso io e il mio team abbiamo un compito ancora più difficile, quello di fondere insieme, in una visione molto organica e coerente, tutta una serie di elementi che entrano in gioco nel progetto. Si parte generalmente dalla performance, cioè dal raggiungimento di alcuni target e questo comporta la nascita di un cluster di soluzioni tecniche che dopo bisogna cercare di interpretare con la forma giusta. La forma deve sposare la funzione, ma in modo artistico: ci deve essere sempre quel tocco umanistico, quel tocco di poesia che rende la Ferrari unica.

Dal tecnigrafo al tablet, la tecnologia può andare a scapito della creatività?

Sono partito dal tecnigrafo di mio padre che era architetto: la mia esperienza nasce lì. Il tablet, i programmi che oggi ci sono per poter modellare ad esempio in 3 d tutte le parti che compongono una vettura sono degli strumenti importantissimi che ci aiutano. Però sono degli strumenti, niente di più. E’ un processo di sviluppo dello stile sicuramente molto più accurato di quello di una volta, dove si combina il digitale con il fisico, ma quello che conta è sempre l’idea che c’è alla base, il concetto. Si parte sempre dal foglio bianco, dal disegno a matita, dal disegno al tratto.

Ogni epoca ha il suo stile. Le linee di molte Ferrari del passato sono ancora attuali. Costituiscono una fonte di ispirazione?

Certamente, ma soprattutto bisogna considerare che il corpus di vetture che costituisce l’heritage ricchissimo della Ferrari ha creato un vero e proprio linguaggio formale che è un qualcosa che io e i miei collaboratori siamo costantemente impegnati a rivisitare, a rileggere e a proiettare verso il futuro. Ma si parte da stilemi, anche da aspetti estetici che sono caratteristici di questo marchio e che vanno compresi, interpretati e trasformati continuamente.

Ferrari è un marchio internazionale e una meta ambita per ingegneri e progettisti di tutto il mondo. A Maranello si parla ancora italiano?

Certamente si parla italiano, ma si parla anche molto inglese. Al centro stile si parlano tante lingue, perché tanti dei miei collaboratori provengono da nazioni diverse, circa 14-15 sono rappresentate all’interno del centro. C’è un team multietnico che porta questi cortocircuiti di idee che sono molto proficui a livello creativo e di visione.

Mi parli del Centro stile all’interno dello stabilimento Ferrari di Maranello

Il Centro stile nasce nel 2010 con il mio arrivo in Ferrari. All’inizio ovviamente ero io con pochissimi ragazzi, oggi c’è un organico completo che è in grado di lavorare sull’intera filiera del design. Siamo in grado di fare qualunque attività all’interno, grazie anche al fatto che nel 2018 è stato inaugurato il centro stile che è un edificio che si trova al centro del Campus Ferrari di Maranello. Un edificio che ho avuto il piacere, e l’onore anche, di progettare insieme a un gruppo di miei più stretti collaboratori nel quale abbiamo voluto trasferire l’approccio progettuale che abbiamo nei confronti dell’automobile all’architettura. Quindi è un manufatto che risponde a tutta una serie di esigenze dal punto di vista operativo e di funzionamento del team, ma allo stesso tempo comunica all’esterno quella cifra stilistica dove c’è movimento, plasticità delle forme, c’è quell’aspetto scultoreo che caratterizza le nostre Ferrari.

La Ferrari è di tutti ma certamente non può essere “per tutti”, altrimenti non sarebbe un sogno. Qual è il cliente tipo secondo lei?

La Ferrari è universale, è fatta per le persone che amano non solo il brivido della guida, quel piacere e quell’adrenalina che si prova nel guidare una vettura. Faccio l’esempio dell’ultima nata la 296 Gtb, un vero e proprio go kart, con cui ci si diverte tantissimo, ma c’è anche l’aspetto della bellezza. Per me il cliente Ferrari deve essere anche un esteta.

Le vostre vetture sono personalizzabili. Accontentate qualsiasi richiesta dei vostri clienti, anche quelle più eccentriche?

Per fortuna i programmi di personalizzazione sono dedicati ai nostri clienti più appassionati, ai nostri collezionisti, quindi hanno già una certa sensibilità verso le caratteristiche estetiche del marchio. A volte arrivano anche delle richieste un po' eccentriche, ma è compito mio e del mio team quello di guidare il cliente verso le scelte migliori sia per lui, ma anche nel rispetto dei canoni estetici della Ferrari.

Una Ferrari è - anche - un’opera d’arte. Si dice che Michelangelo, impressionato dal risultato del suo lavoro chiese alla statua del Mosé “Perché non parli!?”. Lei ha mai parlato con una Ferrari? Con un progetto?

Fatte le dovute proporzioni, una certa analogia c’è perché Michelangelo cercava di trasferire a un pezzo di marmo la bellezza di un corpo vivo, è la stessa cosa anche per una Ferrari. Questa sensualità, questo potere evocativo della forma, è un qualcosa che va ricercato costantemente. Ovviamente molte volte le difficoltà legate all’incastro di tutti gli elementi, al mettere d’accordo forma e funzione possono portare anche a qualche imprecazione quando il risultato non sta arrivando. Ma è sempre questione di determinazione e di tenacia nel cercare di raggiungere l’eccellenza.

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