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17 giugno 2022
di Annalisa Cretella

Bellezza che ti manda al tappeto

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Tessuti intrecciati con l’antica lavorazione a ‘pibiones’ o a ‘litzos’ per creare arazzi, cuscini e tappeti artistici che sono quadri, realizzati da mani sapienti in settimane di lavorazione al telaio artigianale, che quasi non si ha il coraggio di camminarci sopra. Ma lei, Mariantonia Urru, imprenditrice tessile di Samugheo, in provincia di Oristano, che nel 1981 ha fondato l’azienda M/U che ha portato il suo nome nel mondo, sdrammatizza: “Si lavano tranquillamente, anche a mano, con acqua e sapone. Basta una pompa in cortile e un po’ di detersivo. E durano tanto”. “Certo non bisogna appenderli a un filo, altrimenti si allungano”, aggiunge, meglio precisare, non si sa mai chi hai fronte.

Incontrarla è stata un’immersione nella Sardegna della sua infanzia, nella genialità, perseveranza e apertura alla contaminazione che le ha permesso di trovare un posto d’onore negli arredi di prestigiose ville e alberghi dagli Stati Uniti all'Australia. La storia dell’impresa iniziata tra le mura di casa quando aveva 14 anni e sognava l’amore, la racconta lei stessa a Mag, nel suo affollato stand al Salone del Mobile, tra un sorriso e una battuta quando vede che la mia conoscenza del ricamo non va oltre il punto a croce.

La parola pibiones in sardo significa acino d'uva, per la forma ed è il nome dato ai piccoli anelli di filato (pippiolini) che sporgono dalla superficie del tessuto formando un disegno.

Figuriamoci la difficilissima tecnica a pibiones che le ha insegnato sua madre, questa tessitura a ‘grani’ tipica della sua terra. “La parola pibiones in sardo significa acino d'uva, per la forma” ed è il nome dato ai piccoli anelli di filato (pippiolini) che sporgono dalla superficie del tessuto formando un disegno.

E litzos? Mariantonia se la ride: “Litzos significa licci, cioè una parte di un telaio da tessitura dove si infilano i fili per il rimettaggio”. Tutto chiaro, diciamo. Ma prima di parlare dei suoi successi internazionali che la vedono collaborare con designer di fama come Patricia Urquiola, Mario Cucinella, Paulina Herrera, Antonio Marras, Angelika Rösner, Celestino Sanna, solo per citarne alcuni, che disegnano la modernità sulla preziosa lana sarda, torniamo alle radici. Mariantonia, classe ’44, una signora deliziosa con il carattere solido come i nuraghi, con il suo racconto ci fa sentire il calore della sua casa, dove c’era un telaio, “come in tutte le case del paese” che è per antonomasia centro di produzione di tappeti, arazzi e abiti tradizionali.

“L’azienda nasce per caso, ho imparato a tessere per farmi il corredo, quando avevo 14 anni. A insegnarmi è stata mia mamma. Mi sono fatta lenzuola, coperte, tovaglie. A Samugheo d’altra parte tessono tutti, ci sono tantissime donne della mia età che lavoravano nell’artigianato e facevano i tappeti, solo che poi i figli non le hanno seguite, mentre i miei hanno voluto continuare”.

“Prima mi sono sposata eh” precisa: a quasi 23 anni ha detto il fatidico sì. Poi ha avuto 4 figli, tutti maschi. Gian Bachisio, Antonello, Giuseppe e Graziano. “Ho aspettato che crescessero un po’. E quando il più piccolo aveva 6 anni, mi sono presa un telaio. Non volevo trascurare la famiglia, ma mia madre mi ha aiutato tantissimo. Ho visto che le cose andavano bene e piano piano ho preso altre ragazze a lavorare”. Alle fortunate ‘allieve’ di questo speciale ‘mastro tessitore’ viene fatto un vero e proprio corso per imparare a garantire la regolarità e solidità degli intrecci. Con il tempo aumenta l’attenzione e aumentano le dimensioni di quello che lei definisce il ”saloncino” dove lavorava. Era una ex stalla. “È un locale attiguo all’abitazione, dove prima tenevamo i vitelli, perché noi abbiamo anche un’azienda agricola”.

Una volta trasferiti gli animali altrove “è rimasto questo spazio, il saloncino, appunto. Ma quando i telai da uno sono diventati quattro, ci siamo allargati. Tre dei miei figli sono ingegneri e hanno progettato un locale di due piani, ognuno di 500 metri quadri, nello stesso cortile del laboratorio che avevo io. A quel punto ho assunto delle ragazze a cui ho fatto un corso di tessitura”.

Con Mariantonia Urru non si scherza. Va bene la passione ma serve la tecnica, quella tradizionale e quella più innovativa, perché ne è convinta, combinare manualità, meccanica e informatica arricchisce il risultato finale. “La nostra resta comunque una piccola azienda” ma di eccellenza, che non teme la modernizzazione: “ci lavorano 15 persone in estate e in tutto abbiamo 25 telai”, accanto a quelli manuali “dove prendiamo i punti uno per uno con le dita”, adesso sono comparsi quelli jacquard, con i pannelli touch screen. Serve per ridurre i tempi, ma non solo in realtà. “In questo modo possiamo avere la certificazione ignifuga, perché questi complementi li usiamo per arredare gli alberghi” ci spiega. Ma sia chiaro “la lana però è sempre lana sarda, solo che sono lavorati in modo più semplice”.  L’attenzione alla materia prima è irrinunciabile per Urru.

Combinare manualità, meccanica e informatica arricchisce il risultato finale

“Un nostro tecnico fa una selezione già negli ovili. La lana la raccogliamo dai pastori e la mandiamo a Bergamo per la cardatura, la filatura, la tintura. Poi torna da noi a Samugheo dove realizziamo dei blend. Abbiamo anche la rivendita dei filati in diverse parti d’Italia, dove c’è ancora la tradizione della tessitura”. “Con gli anni che avanzano io quasi quasi volevo fermarmi ma i miei figli volevano continuare.. e hanno vinto loro. Hanno costituito una società tutti e quattro. Certo le cose sono diverse adesso, io mi occupavo della casa, dovevo acquistare il materiale, seguire le ragazze. Facevo tappeti, tende tutto quello che riguarda l’arredamento. L’ispirazione arrivava dai disegni tradizionali sardi ma cercavo sempre di variare qualcosa, di metterci qualcosa di mio”.

L'arte di Mariantonia

Adesso lo sguardo si è allargato ancora di più e la contaminazione di stili e creatività è benvenuta. Il merito va alla prole, va detto. “I miei figli hanno creato i contatti con vari designer. La prima, una quindicina di anni fa è stata Patricia Urquiola. Ci siamo incontrati, noi avevano portato i nostri disegni tradizionali dell’isola, e lei ha preso spunto da quelli, trasformandoli, unendo le due tecniche di lavorazione, pibiones e litzos, che prima si usavano separatamente, e anche diversi disegni, come la pavoncella sarda e un particolare di una bisaccia e ha creato immagini nuove”. Il contemporaneo a Mariantonia non spaventa affatto le “piacciono questi designer, le cose moderne, lavorare con loro. A volte sono curiosi, chiedono, si informano”.

La spinta all’apertura non solo simbolica ma concreta dal laboratorio di Samugheo agli artisti di tutto il mondo arriva dal figlio Giuseppe Demelas, che dal 2013 lo ha trasformato in azienda, sostenuto da madre e fratelli. “Ho studiato ingegneria ma ho sempre avuto la passione per il design e l’architettura. Quindi è stato un processo naturale: reinventare il passato, invitando creativi a venire da noi a studiare le tecniche di lavorazione artigianali per poi dare una loro interpretazione”.

Sintetizzando: l’innovazione tramite il design in un’azienda artigianale. Quest’anno è stata la volta della collezione dell’architetto Mario Cucinella, che dopo essere stato nel paese di tremila anime al centro dell’isola, ha disegnato 6 tappeti, nei quali c’è la Sardegna vista attraverso i suoi occhi. Da questo sodalizio sono nati Scivu, che è il nome di una bella spiaggia della Costa Verde, e Ortigu, cioe ‘sughero’ in sardo, due degli arazzi esposti nello stand in fiera, che con le loro dimensioni, 2x3, arredano una parete. Con la notorietà e le vendite all’estero - il primo mercato per Urru è l’Australia, poi Stati Uniti, Inghilterra e Germania - il “saloncino” di Mariantonia cresce ancora e presto sarà pronto un altro laboratorio di mille metri quadri.

Da che era una risorsa la lana è diventata una preoccupazione per molti allevatori

E cresce anche l’attenzione dell’azienda alla sostenibilità con l’entrata in scena di un nuovo filato nato “dalla collaborazione con la Giovanardi: è il Raytent, un acrilico certificato ReMade in Italy, realizzato con gli scarti delle tende da sole attraverso un processo che utilizza meno acqua, meno prodotti chimici e limita le emissioni di Co2. Lo usiamo nelle lavorazioni per l’outdoor” spiega Demelas. E tra l’altro già il fatto di lavorare la lana è cosa buona e giusta per l’ambiente, perché non tutti sanno che “dalla normativa europea viene considerata un rifiuto speciale. E se i pastori non riescono a venderla è un problema”.

Ma succede che abbiano un surplus di prodotto? “Succede sì, perché negli ultimi anni c’è stato un calo della richiesta della lana grezza da Cina e India”, con il mondo della moda che preferisce filati più raffinati che arrivano dall’estero. E, a parte il mancato guadagno, se ai pastori avanza della lana non possono neanche bruciarla, devono pagare per lo smaltimento”. Insomma da che era una risorsa è diventata una preoccupazione per molti allevatori. L’azienda M/U, nel suo ‘piccolo’, si fa per dire, aiuta a preservare questa materia prima completamente naturale, rinnovabile – la tosatura si fa ogni anno – , termoisolante, traspirante e idrorepellente: nel 2021 ha acquistato e lavorato 30 tonnellate di lana rigorosamente made in Sardegna.

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