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22 febbraio 2024
di Lidia Lombardi

Paradigma “modern”

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Quello sgabello con la seduta tonda e le gambe a L, ma l’angolo è smussato, fa parte del nostro vissuto negli interni di famiglia. Si replica in un tavolinetto, nelle sedie per la cucina. E quella poltrona tutta di legno, senza uno spigolo, quasi un nastro sul quale adattare il nostro corpo, quante volte l’abbiamo vista nelle vetrine non solo dei negozi d’arredamento più altolocati – le insegne inglobano spesso la parola-feticcio “design” – ma anche nei grandi magazzini dei mobili targati penisola scandinava.

 

Beh, hanno quasi un secolo e ce li ritroviamo esposti al MAXXI di Roma nella appassionante mostra dedicata ad Alvar Aalto e alle sue due mogli-collaboratrici (Aino ed Elissa, sposata nel 1952, tre anni dopo la prematura scomparsa della prima compagna) che si sono quasi succedute accanto all’architetto finlandese, esponente del “Modern”, lo stile seguito alla moda dell’Art Nouveau. Si intitola “La dimensione umana del progetto”, a cura di Space Caviar, la rassegna (fino al 24 maggio). E allude tour court al nocciolo dell’ispirazione e del lavoro di Aalto: tener conto dell’utilizzatore inteso come persona, essere completo, complesso e dinamico. Un’integrazione di organi vitali e di sentimento, di ragione e di inclinazione, dove la sinergia è sovrana.

 

Per questo le invenzioni di Aalto piegano il razionalismo (imperativo indefettibile per il contemporaneo Mies van der Rohe) alle linee sinuose, accoglienti, materne. Avviene in grande e in piccola scala: negli edifici pubblici, nelle residenze unifamiliari (esemplare la villa Mairea, del 1939, situata a ovest di Tampere, che con la piscina a forma di rene, doppia curvatura insomma, fissò uno standard); e nell’arredamento, un sistema integrato esteso dai tavoli alle sedie, alle lampade, alle tende, ai vasi decorativi, perfino alle maniglie e ai lavandini.

 

 

Un paradigma è quanto creato quasi dieci anni prima, tra il 1929 e il 1933 (ma lo Studio Aalto fu fondato nel 1923), per il sanatorio di Paimio, nel sud della Finlandia. Niente plafoniere al soffitto, che feriscono con la luce sfrontata dall’alto gli occhi di chi è sdraiato sul letto.

 

Al loro posto le appliques, luminosità diffusa alle pareti. Ancora, lavandini “silenziosi” nelle camere di degenza: profondi invece che larghi, a inghiottire il fiotto dell’acqua dal rubinetto, attutendo schizzi e scroscio. E sulla terrazza e sui balconi stondati, tutti esposti a mezzogiorno, le sdraio per i malati anelanti all’aria ossigenata dagli alberi e al sole: poltrone rigorosamente in legno chiaro, basse, ondulate come uno scialle o un plaid gettato sulla struttura, “morbide” insomma.

 

Diventeranno un prototipo, si chiameranno appunto Poltrone Paimio quando verranno prodotte e commercializzate in larga scala. Perché nell’ottobre 1935 a Helsinki Alvar e Aino Aalto, la mecenate appassionata d’arte Maire Gullichsen e lo storico d’arte e critico Nils-Gustav Hahl decisero di fondare Artek, dando vita a uno dei progetti più insoliti e ambiziosi della storia dell’arredamento. L’intento – Artek unisce le parole arte e tecnologia – è “promuovere la produzione di massa dei singoli elementi di arredo, in modo da lasciare libertà compositiva agli utilizzatori dei prodotti”. Era una missione culturale che andava al di là degli aspetti puramente commerciali. Era già l’idea di una ottimizzazione degli spazi negli edifici moderni, di più ridotte dimensioni se si trattava di appartamenti per famiglie, o più funzionali se si trattava di biblioteche, collegi per studenti, fabbriche, case del popolo, chiese.

 

Ecco allora soluzioni – tutte esposte al MAXXI e che ancora adesso, pur abituati a vederne di simili, stupiscono – capaci di piegarsi a diverse esigenze. La poltrona Paimio, appunto, comoda ma di dimensioni ridotte; i tavoli per i bambini, praticabili anche all’interno, disgiungendo le figure geometriche che li compongono. Domina il legno, gradevole al tatto, capace di regalare un senso di calore. Sgabelli e tavolini sono impilabili, e circolari, facili dunque da sistemare anche in spazi angusti. Le lampade diventano “amiche”, complici di un’atmosfera intima: colori ambrati, paralumi in tela, listelli sovrapposti nelle forme tondeggianti, montati orizzontalmente affinché la luce fuoriesca dalle fessure e non risulti aggressiva.

 

 

Il dialogo con la quotidianità porta i designer finlandesi a estendere le loro invenzioni. Così nasce l’iconico vaso di vetro, pensato nel 1932 da Aino e premiato al termine di un concorso bandito da Karhula-littala, l’azienda che lancia nel mondo il design scandinavo: è sinuoso, quasi una corolla, ma senza fronzoli. Al MAXXI è esposto anche il modello in legno che venne utilizzato per dargli forma. E le sue varianti impilabili, in ceramica, da sistemare sulla tavola come recipienti da portata. Prenderà il nome di “Savoy”, dal ristorante di Helsinki che lo rivisiterà e proporrà ai propri ospiti.

Nell’ultima sezione della rassegna calano dal soffitto grandi pannelli di stoffa, i tessuti ancora a firma Aalto: quelli a disegni floreali furono pensati inizialmente come tende per la sala di lettura dedicata ai bambini nella biblioteca di Viipuri (città oggi russa), quasi a portare l’allegria e la varietà della Natura nel chiuso di un’aula e poi di un appartamento. Altri replicano in file ordinate geometrie rettangolari e i diversi colori scandiscono e vivacizzano la sequenza.

 

 

Sono passati dunque cent’anni dall’ideazione di questi oggetti. Ma se fin dall’inizio Artek è stato un veicolo per avviare un dialogo a vari livelli con l’avanguardia internazionale e per intensificare lo scambio culturale con il resto del mondo e nei decenni ha plasmato la cultura abitativa in Finlandia, oggi tali mobili appaiono più che mai attuali. Sono divenuti anzi dei classici. Ad essi si sono affiancati progetti di importanti maestri del design nordico quali Ilmari Tapiovaara, Tapio Wirkkala, Eero Aarnio e Yrjö Kukkapuro. Nel recente passato si è intensificata la collaborazione con architetti, designer e artisti internazionali che, con la loro idea di impostazione degli spazi, il loro linguaggio formale e l’uso intelligente della tecnologia, sono vicini alla filosofia Artek – come per esempio Shigeru Ban, Enzo Mari, Tobias Rehberger, Konstantin Grcic, Hella Jongerius o recentemente Ronan ed Erwan Bouroullec. Novant’anni dopo la fondazione dell’azienda e nello spirito della generazione radicale dei fondatori, Artek prosegue il suo cammino di sviluppo di nuove vie che incontrano e incrociano design e arte.

Intanto, vive l’insegnamento di Alvar Aalto, scomparso nel 1976, a settantotto anni: “La vera architettura esiste solo quando pone al centro l’essere umano”.

 

 

 

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