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29 aprile 2025
di Lidia Lombardi

L’azzardo, la meraviglia, la sorpresa nelle feste barocche

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Il rosso e l’azzurro, nelle piume sugli elmi e sul capo dei destrieri, disciplinati nell’incedere per file; altri cavalieri sovrastati da enormi ventagli; la divinità che avanza lentamente, cinta di vesti dorate come l’aureola; e tutt’intorno, nei tre lati della piazza, i palchi gremiti di spettatori, affacciati su quello spettacolo ridondante, troppo, per gli occhi e per le orecchie. Così la “Giostra dei caroselli” a Roma, in un grande olio su tela del 1656, conservato a Palazzo Braschi.

Il museo che raccoglie le memorie della Città Eterna ne squaderna molti altri di dipinti sgargianti e affollati, e di incisioni circostanziate, zeppe di stendardi, personaggi paludati e mascherati, cavalli, fuochi d’artificio, carri allegorici, baldacchini. Sono le testimonianze dell’aspetto più esteriore, ed esemplificativo, del Barocco. Ovvero il periodo – tra fine Cinquecento e metà del Settecento – nel quale l’arte doveva stupire, stordire, illudere. Anzi, “insegnare, dilettare e commuovere”, secondo il dettato dei Gesuiti, veri maestri di cerimonie di uno stile che più di ogni altro connota Roma.

Dunque, furono le Feste Barocche l’acme della “meraviglia”, l’azzardo della sorpresa per il popolo e cassa di risonanza del potere, patrizio ed ecclesiastico. E c’era sempre un motivo per allestire i cosiddetti “apparati effimeri”, costruzioni in legno, stucco, cartapesta, realizzati appositamente per l’evento e destinati poi ad essere distrutti. Un’operazione, questa, che amplificava il significato della festa: perché tanto sfoggio di decorazione, tanta spesa per l’allestimento che poi andava gettato via era ulteriore dimostrazione di ricchezza e potenza.

Tanto più che i registi delle feste, gli ideatori degli apparati effimeri, rispondevano ai nomi di spicco del Barocco: Gianlorenzo Bernini, Pietro da Cortona, Carlo Rainaldi, Giuseppe Ghezzi. I quali non solo si ingegnavano a inventare le “macchine” più sensazionali per il divertimento dei sudditi; ma si allenavano con gli apparati effimeri ad affrontare progetti destinati a essere eterni. Pensate soltanto al baldacchino che sovrasta l’altare maggiore della basilica di San Pietro. Bernini – in collaborazione con l’altro “dioscuro” del Barocco, Francesco Borromini – doveva in realtà disegnare il ciborio per il punto più sacro della basilica, proprio sopra il sepolcro di Pietro e poi degli altri pontefici. Ma lo immaginò come appunto una macchina da processione, un catafalco a grandezza monumentale.

Del resto, anche un funerale era motivo di “festa” barocca. Per le esequie di papa Paolo V (il nobile Camillo Borghese, morto nel 1621) Bernini costruì una grande macchina all’interno di un’altra basilica, Santa Maria Maggiore: una sorta di tempietto, alto fino ai cassettoni del soffitto, a pianta circolare, con cupola e colonne tutt’intorno e una piccola scalinata di accesso: un monumento a tutti gli effetti, fatto però non di mattoni e calce, ma di cartapesta e stucco.

E poi c’erano i cortei per l’elezione dei pontefici, per l’arrivo di re e nobili, per i riti della Resurrezione, delle Quarantore (tanto durava l’adorazione del Santissimo Sacramento), per il Carnevale (celeberrima la Corsa di Berberi, cavalli purosangue lanciati in via del Corso, da piazza del Popolo, punto di ingresso in Roma da quanti venivano dal Nord percorrendo la via Flaminia, e con arrivo a piazza Venezia).

Strumento dunque di propaganda, le Feste, a proseguire il demagogico “panem et circenses” degli imperatori romani. Le finanziava il Papa Re, per cementare plauso e fede dei sudditi, importanti a partire dalla Controriforma, la riscossa della Chiesa cattolica contro Lutero, Calvino e il protestantesimo. Strumento diplomatico, anche. Come nell’anno di grazia 1662, quando si volle in pompa magna onorare la nascita del Delfino di Francia, figlio di Luigi XIV e di Maria Teresa di Spagna.

Quale luogo migliore se non lo scenario di Trinità dei Monti e di piazza di Spagna, che separava e insieme collegava le due nazioni cattoliche ora gemellate dal lieto evento? La collina con la chiesa dei francesi sovrastava la piazza: dallo sterrato in basso, ornato dalla “Barcaccia” del Bernini, si accedeva a Trinità dei Monti attraverso due ripide rampe a gradini (la scenografica scalinata del De Sanctis sarebbe stata costruita nel 1723).

Il solito “regista” tuttofare Bernini fu incaricato dell’apparato effimero. I lavori durarono tre mesi, alla fine il risultato fu sensazionale. La facciata di Trinità dei Monti fu interamente ricoperta: sui campanili vennero sistemate le iniziali del Re e della Regina, sotto di loro un delfino sovrastato da gigantesca corona. Più in basso, a scendere fino a piazza di Spagna una mastodontica nuvola alludeva al rapporto tra gli elementi naturali, l’Acqua, l’Aria e la Terra. Nel mezzo, una statua della Discordia precipitava tra le fiamme.

La scenografia è riprodotta in un’incisione dell’artista marsigliese Dominique Barriere. Ed erano queste testimonianze – oltre alle incisioni, i libri – a circolare per l’Europa, ponendo Roma al centro delle nazioni, città sacra e profana, gran teatro del mondo, che irradiava arte e magnificenza, mentre si allargavano le sfere di influenza del Papato.

E infatti un altro allestimento effimero aveva celebrato, all’avvio del Barocco, il ritorno del pontefice Clemente VIII dopo che era stato concluso l’ingresso di Ferrara nel dominio della Chiesa. Stavolta si scelse Santa Maria in Aracoeli. Che fu trasformata così: l’altare circondato da drappi sontuosi d’oro e d’argento e innalzato di dieci gradini ornati da enormi candele di cera bianca e da vasi d’argento; al centro, una piramide di sette gradini, anche qui con profusione di candelieri e ceri accesi. Il tutto sormontato da un baldacchino.

Roma barocca non finiva di lasciare attoniti, in una sequenza di scorci da quinta teatrale, dove strade e piazze sembrano finte e invece sono verissime, frutto di progettazione urbanistica. Gli apparati effimeri sono serviti agli architetti per sperimentare: dagli obelischi al centro degli slarghi ai colonnati che abbracciano i visitatori (esemplare piazza San Pietro) alle fontane che fanno sgorgare l’acqua da “rocce” di travertino. Le feste duravano un giorno o una settimana, la sorpresa che suscitavano resta nei secoli

 

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