Nella girandola della moda, dei nomi che vanno e vengono, delle meteore che illuminano le passerelle il tempo di una collezione e degli eterni ritorni di direttori creativi fluttuanti da un marchio all'altro, ecco che sul piano editoriale succede qualcosa di inaspettato. Sullo scenario distratto, confuso e annoiato del fashion arriva la rivoluzione Anna Wintour. L'imperatrice della moda da 37 anni al timone delle pagine di Vogue le più amate, copiate, lette e ambite dal mondo di stilisti brand e da tutto il popolo che di immagine, tendenze e collezioni si nutre, ha comunicato durante una riunione con il suo staff di essere alla ricerca di un nuovo leader per l'edizione americana del magazine. Una notizia inaspettata, solo qualche anno fa, nel 2018 quando si ventilò l’idea di un suo abbandono dal ruolo di direttrice fu il gruppo editoriale Condé Nast a dire che Wintour sarebbe rimasta "a vita". Anche se la Papessa della moda continuerà a ricoprire i suoi incarichi di responsabile dei contenuti globali di Condé Nast e di direttore editoriale globale di Vogue il colpo è grande per chi segue il settore.
Anna Wintour ha resistito per quasi 40 anni, sempre esprimendo il massimo nel suo lavoro in un settore per sua natura volubile e cangiante come la moda. Dal 2013 è stata nominata direttore artistico dei mensili del gruppo, dal 2019 global content advisor. La sua carriera parte nel Vecchio Continente a Hampstead, elegante quartiere di Londra dove nasce nel 1949. Figlia di Charles Wintour, storico direttore dell’Evening Standard, con il giornalismo ha un rapporto vivo da subito. Scrive per la rivista Oz, quindi per l’attuale Harper’s Bazaar UK, prima di trasferirsi nella Grande Mela. A New York, l’impegno è a Harper’s Bazaar USA e quindi al magazine femminile Viva fino alla fine degli anni Settanta quando approda al New York Magazine.
Ma è solo nel 1983 che verrà assunta come direttrice creativa di “Vogue” e nel 1988 arriva la svolta, quando viene nominata direttrice di Vogue America iniziando il suo impero. Memorabile resta la prima copertina di Vogue da lei firmata dove per la prima volta una modella l'israeliana Michaela Bercu veniva immortalata con un look ibrido che avrebbe condizionato la moda nell'imminente futuro. Un paio di jeans del marchio Guess che ai tempi si stava affermando con sopra un top di Christian Lacroix. Il segreto del suo successo e dalla sua immagine, consacrata nel 2006 anche dalla pellicola "Il diavolo veste Prada", in cui era Meryl Streep a dare il volto a Miranda Priestly, temibile fashion editor newyorkese, sta nella coerenza e la disciplina nel lavoro, assieme alla capacità di filtrare la marea e i cambiamenti che le tendenze e le mode raccontano restando fedele a sé stessa. Caschetto con frangia sempre perfetti da quando aveva 14 anni, grandi occhiali da sole firmati Chanel, tolti eccezionalmente al cospetto della Regina Elisabetta nel 2027 quando venne nominata "dame" ma non quando le due furono vicine di sitting alla sfilata di Richard Quinn.
Ai piedi dal 1994 calza le creazioni color nude di Manolo Blahnik sostituite quando le temperature si fanno rigide da stivali alti sopra il ginocchio sotto cui indossa, si dice, calze di lana per non rovinare i piedi. Abiti mai succinti, con gonne sempre sotto il ginocchio. Un maglioncino sopra le spalle, i colori ben abbinati e le fantasie fiorate e alcuni no radicali: alle felpe con cappuccio, al total look nero “un colore funebre”, alle borse che si possono indossare solo nel tempo libero magari durante una partita del suo amato tennis. Una scelta originale degli accessori. Collane importanti per sdrammatizzare o enfatizzare una mise semplice. Ecco la Wintour non ha mai cambiato look. Impassibile a quel vortice della moda che il suo Vogue ha sempre raccontato.
Quella che è stata definita da molti la donna più potente dell’universo moda, la direttrice che ha attraversato l’epoca d’oro della moda che diventava industria, gli eccessi gli anni Novanta, le copertine con le top model e con le sconosciute vestire dai grandi marchi, l'era dei nomi del grande made in Italy che ancora non erano stati comprati dai gruppi e fagocitati dalla finanza dei fondi, ha rappresentato nel suo modo di essere l’esatto contrario. Le mode passano come le tendenze e lei con le sue scelte editoriali ha sempre dettato legge. Salvo il fatto di restare identica a sé. Non si è fatta sedurre nemmeno dai social che hanno mangiato quote di mercato per la stampa. Certo con lei Vogue è cresciuta di follower ma la direttrice non ha un suo profilo personale. Una non visibilità che la dice lunga sui meccanismi insani di una società narcisista che pur ben ha raccontato. Leggendaria anche la sua vita sociale. Presenza cronometrate agli eventi, mai più di venti minuti, con la sola eccezione alla partecipazione al suo Met Gala, l’evento di beneficenza che dal 1995 Wintour porta avanti il primo lunedì del mese di maggio per raccogliere fondi per il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York City, e orari precisi a scandire risveglio, le 5 di mattina, e riposo, entro le 22 di sera.
2 luglio 2025