Il cielo azzurro dell’Aquila si intreccia con il bianco dei palazzi barocchi appena risanati dalle crepe del terremoto. Chiacchiera con le corolle ai balconi, il verde degli arbusti nelle piazzette dove si aspetta il tramonto. Ma i colori dell’estate esplodono davvero dentro il settecentesco Palazzo Ardinghelli, la sede del MAXXI L’Aquila che tanta parte ha avuto nella rinascita del capoluogo abruzzese. Qui si è inaugurata nel segno del gioco e della riflessione una originale mostra, “True Colors” che resterà allestita fino a metà novembre. Espone tessuti, che sono opere d’arte. Ragione e sentimento, identità locale e globale, sofferenza e gioia, politica e storia, introspezione e denuncia. Tutto questo si può raccontante con stoffe, ricami, abiti, stendardi, arazzi, personaggi di stoffa a grandezza naturale, rivestimenti di sedie, velari, costumi…Telai al posto di pennelli. Fibre, vibrazioni. E trame, intrecci sapienti, nati dalla sofferenza e dalla sapienza artigiana. Un’esposizione in omaggio alle tradizioni delle tessitrici e ricamatrici abruzzesi. Di più, il dialogo con gli abitanti dell’Aquila ma anche con quelli dell’Africa, dell’Asia, delle Americhe.
Sono venti gli artisti invitati alla rassegna, a cura di Monia Trombetta. La quale, con Chiara Bertini, Fanny Borel, Donatella Saroli, ha pescato nelle collezioni del MAXXI ma ha anche accolto opere site-specific. Si comincia così proprio nella corte barocca di Palazzo Ardinghelli. Da un lato all’altro dello spazio a esedra sono appesi come un bucato a fili trasparenti abiti, tutine, magliette, pigiamini usati, tutti di bambini da zero a cinque anni: sono stati donati dalle persone del luogo a Kaarina Kaikkonen, artista finlandese, che ha creato questo “Towards Tomorrow”, “verso il domani”. L’infanzia – martoriata nel mondo - è futuro, si riflette alzando gli occhi verso l’opera e verso il cielo.
L’interazione con gli aquilani – il cortile, aperto per l’occasione su due lati “può essere attraversato in continuazione, giovandosi di una rivalutazione urbanistica”, ci dice Trombetta - ha animato anche un altro lavoro: sono gli stendardi che calano dal soffitto di una sala firmati da Marinella Senatore, che ha combinato la tradizione delle processioni alla suggestione dei poster tessili dei movimenti operai. Ha chiesto alla comunità locale una frase, un motto, una poesia, una canzone. Parole che in questo “Protest Forms: Memory and Celebration” sono riprodotte sui banner, realizzati in collaborazione con artigiani locali. Tra i motti, spicca anche un “Jemo ‘nnanzi”.
Si solleva lo sguardo anche per l’installazione a soffitto di Paola Pivi. Circa trecento cuscini cuciti con le stoffe gialle e rosso scuro dei monaci tibetani: intrecciati, creano un ricamo-ragnatela che modifica lo spazio della Sala della Voliera. “In share, but it’s not fair” genera forme e ombre per riflettere su individuo e collettività.
E poi c’è l’esotico, che non è mai frivolo, ma pensoso incontro con il mondo. Ecco, ad accogliere i visitatori nella prima sala, il dispiegarsi di “Turbante”, di Isabella Ducrot: una lunga mussola di cotone bianco e leggero acquistata a Dehli dal signor Bharani, poeta e grande studioso di arte indiana. Ducrot l’ha “incorniciata” con una carta dipinta in bianco e nero, frutto di frottage realizzato a terra nel suo studio. Il titolo dell’opera è un gioco semantico che racchiude le parole turbine, turbolento, turbina, turbamento, fino appunto a turbante.
Si ispira ai Tuareg il maliano Abdoulaye Konaté. Con “Ocean, Mother and life” rifà il mare in un arazzo dove tutti i tipi di pesci sono riprodotti in ricamo: vanno l’uno incontro all’altro, in due direzioni opposte, grandi e piccoli, sullo sfondo azzurro: che vibra nella sensazione di movimento, senza diventare caos. C’è posto per tutti, ognuno al suo posto.
Appesi a una parete, ma non sono arazzi. Quelli dello statunitense Sandford Biggers: usa trapunte antiche per il suo “patchworking concettuale” memore della cultura afroamericana. Il messaggio è “politico”: il lavoro oscuro delle donne passa dal piano orizzontale del letto, su cui si stende la coperta, a quello verticale del muro. Si rivaluta la silenziosa fatica muliebre, si espone, insomma, e la si guarda come manifestazione artistica.
Periferie del mondo anche per “Etna project” di Claudia Losi. Ha coinvolto nel 2001 sedici donne del Perù e del Marocco: a ciascuna sono stati recapitati – a Lima e a Casablanca - frammenti di tessuto e lane, da utilizzare per ricamare le sciare, residui delle colate laviche precedentemente disegnate e stilizzate dall’artista che alle sedici “complici” ha chiesto di esprimere cosa le rappresentasse di più.
Ma l’opera che ci ha più emozionato è quella minimale di Dana Awartani, nata in Araba Saudita. Ha creato nell’anno in corso otto piccole “tende” che velano altrettanti riquadri delle due finestre di una sala espositiva. Colorate con tinture naturali a base di erbe e spezie con proprietà medicinali, sono di seta tessuta a mano da maestri artigiani del Kerala. All’interno le movimentano esili silhouettes, apparentemente indecifrabili. Sono le fessure, le crepe che Awartani ha desunto dalle fotografie di Palazzo Ardinghelli subito dopo il terremoto del 2009. Lei le ha riprodotte sui teleri trasparenti e medicamentosi rammendandole come si fa con i vestiti strappati. Così “Let mi mend your broken bones” si pone come una cura amorevole, risanamento per non dimenticare.
Ma si può anche entrare nelle opere, se sono di tessuto. Allora si penetra nel loro significato, o si possono portare in giro, nei saloni della mostra, facendo di chi li indossa un’opera d’arte. E’ il gioco che propone il collettivo viennese Gelatin con “Vorm Fellows Attitude”. Divisi per taglia, una serie di costumi – salopettes, pantaloni e maglie abbinati, gonne e corpetti, e ogni completo possiede applicazioni ironiche nei punti degli attributi sessuali – possono essere sfilati dalle stampelle e indossati dal pubblico che scegliendosi una nuova pelle inventa anche come relazionarsi con persone e oggetti. Perfino sedendosi su “Diwans” e “Chairs” di Franz West e diventando così parte integrante del lavoro.
Del resto MAXXI l’Aquila fin dalla sua apertura, nel 2021, ha dato spazio alle arti performative. Che non mancano durante la mostra “True Colors”. Il giorno dell’inaugurazione è stato animato dalla perfomance “Five Geometric Songs”, ideata da Adelaide Cioni: cinque danzatori hanno sinuosamente mosso il loro corpo coperti dai costumi disegnati dalla Cioni. Il ritmo cadenzato su musiche di Dom Bouffard ha trasformato i motivi geometrici astratti che vestivano i personaggi in palpiti, aneliti, primordiali gesti di liberazione o di affetto. E se in questo caso l’esibizione si è svolta in una suggestiva sala di Palazzo Pica Alfieri, il 19 giugno sarà en plein air il progetto “InStich You” della britannica Harriet Riddell, artista ed educatrice tessile che utilizza il ricamo a mano libera: cucirà in luoghi insoliti della città abruzzese catturando l’ambiente e le persone che incontrerà.
13 giugno 2025