C’è tanta Italia nelle vicissitudini della “Cattura di Cristo”, meravigliosa opera di Caravaggio conservata alla National Gallery of Ireland, a Dublino, ed ora in prestito, esposta a Roma nella mostra di Palazzo Barberini “Caravaggio 2025” fino al prossimo 6 luglio.
Italiana fu la commissione e, ovviamente, italiano era l’autore, maestro del barocco.
Tuttavia nei secoli successivi il dipinto viaggiò per il mondo e per molto tempo si ritenne che fosse andato perduto... fino al suo ritrovamento, nel 1990, grazie alla straordinaria scoperta di un altro italiano.
Ma andiamo per ordine...
«Quella mattina di agosto
del 1990, uscendo dalla Casa
dei Padri Gesuiti in Leeson Street, eccitato da ciò che pensavo
di aver appena visto, difficilmente avrei potuto immaginare
che solo tre anni dopo avrei
visto le mie convinzioni
realizzate con una mostra».
Nel 1602 Ciriaco Mattei, nobile romano collezionista d’arte, commissionò a Michelangelo Merisi da Caravaggio un’opera che ritraesse l’arresto di Gesù nell’orto di Getsemani. Nella composizione vediamo il Cristo baciato da Giuda, gesto con cui il traditore indica ai soldati il ricercato. La figura a sinistra rappresenta San Giovanni Evangelista in fuga, mentre l’ultimo personaggio a destra è un autoritratto dello stesso Caravaggio all’età di 31 anni.
Il dipinto rimase nella collezione della famiglia per i successivi duecento anni, fino al 1802 quando il duca Giuseppe Mattei lo vendette, insieme ad altri dipinti, a William Hamilton Nisbet, un ricco collezionista d’arte scozzese, in quel periodo residente a Roma. Ma molti quadri della collezione Mattei, negli anni precedenti, erano stati attribuiti erroneamente ad altri autori e la “Presa di Cristo” risultava opera di Gherardo della Notte, italianizzazione del nome di Gerrit van Honthorst, artista olandese seguace di Caravaggio. La famiglia Hamilton mantenne la proprietà del dipinto per 119 anni, quando fu venduto all’asta da Dowell’s, a Edimburgo, nel 1921 e di nuovo nel 1922. A questo punto, la “Presa di Cristo” era divenuta di proprietà dell’Onorevole Maggiore Charles Hubert Francis Noel, un ufficiale dell’impero britannico.
Nel 1924, il dipinto fu acquistato dalla dottoressa Marie Lea-Wilson che, negli anni Trenta, lo donò ai padri gesuiti di Leeson Street a Dublino. E qui entra in scena nuovamente l’Italia nella persona di Sergio Benedetti, storico dell’arte e restauratore in forza alla National Gallery: richiesto di un parere su alcuni dipinti dai padri gesuiti, attraversando la cucina lo studioso rimase folgorato. Aveva riconosciuto il soggetto e la composizione dell’opera, intuendo che poteva trattarsi del dipinto caraveggesco e restituendo al mondo questo capolavoro.
Originario di Firenze, Sergio Benedetti aveva studiato a Firenze e Roma e si era specializzato nella conservazione della pittura italiana del XVII secolo. Nel 1977 entrò a far parte della National Gallery of Ireland, uno dei primi restauratori professionisti ad essere assunti. A Dublino ha ricercato e restaurato numerose opere significative della collezione, tra cui “L’incontro di Giacobbe e Rachele” di Murillo.
A metà degli anni Novanta fu coinvolto nel ritorno in Irlanda dell’“Amorino” di Canova. Perduta per oltre un secolo, la scultura fu ritrovata nel Regno Unito e successivamente acquisita dalla Bank of Ireland che la affidò alla National Gallery come dono alla nazione nel 1998.
Tuttavia, la sua eredità più significativa risiede nella scoperta della “Cattura di Cristo”, nel 1990, capolavoro che si riteneva perduto. Dopo tre anni dedicati all’autenticazione e al restauro, il dipinto fu esposto al pubblico per la prima volta il 16 novembre 1993 nella mostra “Caravaggio: the Master Revealed” di cui Benedetti curò il catalogo.
A Firenze, sua città natale, Sergio Benedetti si è spento il 24 gennaio 2018.
29 aprile 2025
28 aprile 2025