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20 ottobre 2025,
di Giancarlo Strocchia

Un Teatro, tanti Palcoscenici, Mille Sguardi

C'è un cuore antico che batte nel centro di Roma, e da secoli si nutre di parole, corpi, luci e silenzi: è il Teatro di Roma, istituzione culturale tra le più prestigiose del nostro Paese. Una casa della scena che affonda le radici nella grande tradizione del teatro d’autore – da Shakespeare a Eduardo, da Čechov a Pirandello – e che al tempo stesso ha saputo rigenerarsi, aprendosi ai linguaggi del presente: sperimentazione, drammaturgia contemporanea, performance, danza. Un teatro classico, ma mai conservatore. Un teatro di ricerca, ma mai autoreferenziale. Oggi, a guidare questo sistema teatrale complesso e vitale – che riunisce il maestoso Teatro Argentina, il poliedrico Teatro India e il più raccolto Teatro Torlonia – è Luca De Fusco, regista e direttore artistico con una lunga storia di innovazione nel rispetto della tradizione. La sua visione è chiara: riportare il Teatro di Roma al centro del dibattito culturale nazionale e internazionale, unendo nomi di assoluto prestigio, grandi maestri della scena europea, giovani talenti, e una programmazione che spazia dai classici alla danza contemporanea, dalla parola scritta all’urgenza del gesto. Lo incontriamo a pochi giorni dall’apertura della nuova stagione per farci raccontare cosa significa oggi dirigere “tutto il teatro” — e cosa possiamo aspettarci da un anno che si preannuncia ricco di grandi ritorni, prime assolute, scommesse audaci e collaborazioni internazionali.

Direttore De Fusco, il titolo scelto per questa stagione è “Tutto il Teatro”. Che cosa racchiude questa dichiarazione?

Racchiude un intento ambizioso, ma necessario: abbracciare tutte le forme, tutte le anime del teatro. La prosa classica e quella contemporanea, la danza, la drammaturgia emergente, il teatro visivo, la performance. Perché oggi, più che mai, il pubblico non cerca solo intrattenimento: cerca senso, visione, condivisione. E il nostro compito è offrire una proposta che sia ampia, articolata, ma sempre riconoscibile nella sua qualità. “Tutto il teatro” significa anche questo: pluralità nella coerenza.

Partiamo dal cuore pulsante del Teatro di Roma: il Teatro Argentina. Come si definisce la linea artistica di questa sala storica?

L’Argentina è la nostra sala madre. La casa dei grandi autori, delle grandi regie, della drammaturgia che scava nelle profondità dell’essere umano. È qui che la tradizione incontra la ricerca di senso. La stagione si apre con Re Chicchinella di Emma Dante, un’esplorazione visionaria delle nevrosi familiari, per poi proseguire con il mio nuovo allestimento di Sabato, domenica e lunedì di Eduardo De Filippo — un capolavoro che mancava da oltre vent’anni dalle scene italiane — che affronta, con apparente leggerezza, i drammi silenziosi della famiglia. Poi avremo Il Gabbiano di Čechov, riletto con intensità da Filippo Dini, Le false confidenze di Marivaux con l’ironia metateatrale di Arturo Cirillo, Riccardo III diretto da Andrea Chiodi e interpretato da una sorprendente Maria Paiato in un ruolo tradizionalmente maschile, che qui assume una potenza tragica inedita. E ancora: Circle Mirror Transformation di Valerio Binasco, che porta in scena le fragilità relazionali contemporanee attraverso la scrittura intima di Annie Baker; Prima del temporale diretto da Massimo Popolizio, con Umberto Orsini protagonista, un viaggio nel ritratto d’artista e nel tempo sospeso della memoria. E poi la ripresa di Furore, che è ormai un nostro evergreen.

Molti di questi spettacoli sono firmati da registi che sanno muoversi tra tradizione e innovazione.

Sì, sono tutti maestri capaci di attraversare i classici con uno sguardo vivo, mai museale. E accanto a loro, ospitiamo anche voci potenti del teatro internazionale. Penso a Thomas Ostermeier, regista tedesco di fama mondiale, che porterà in scena The Wild Duck di Ibsen: una lettura feroce e lucida della verità e delle ipocrisie borghesi. Ostermeier è un punto di riferimento della scena europea, e siamo molto fieri di averlo all’Argentina. E poi Carlo Sciaccaluga che rilegge Morte di un commesso viaggiatore come un dramma sul fallimento del sogno americano; Stefano Massini che affonda nelle radici dell’odio con Mein Kampf, e Gabriele Lavia in Lungo viaggio verso la notte, grande classico del teatro del Novecento.

Passiamo ora al Teatro India: uno spazio che da sempre ospita la sperimentazione. Quale sarà il suo ruolo quest'anno?

India è il nostro laboratorio permanente. Il luogo dove si possono tentare nuove strade, creare in vitro. Qui la sperimentazione non è un’etichetta, ma una necessità espressiva. Abbiamo la fortuna di poter ospitare compagnie che fanno della ricerca il loro codice: come Babilonia Teatri con Abracadabra, Muta Imago con Atomica, oppure l’ironia corrosiva di Davide Iodice che reinventa Pinocchio come metafora della diversità. Tra gli ospiti internazionali, voglio citare il duo Belova & Iacobelli con due opere straordinarie: Tchaïka, un viaggio tra le macerie dell’identità attraverso il teatro di figura, e Loco, liberamente ispirato a Gogol’, che esplora il confine sottile tra realtà e rappresentazione. Sono spettacoli poetici e commoventi, in cui la marionetta diventa specchio dell’anima umana. Importante anche la presenza di Claudio Tolcachir, regista argentino, con due lavori – Los de Ahi e Rabia – che portano sul palco i nodi irrisolti dell’amore, della famiglia, del potere.

E il Teatro Torlonia?

Torlonia è uno spazio raccolto, intimo, ideale per il teatro di parola. Quest’anno lo abbiamo voluto caratterizzare con una forte impronta femminile: molte delle opere sono scritte, dirette o interpretate da donne. Elena Arvigo, Luisa Merloni, Angela Dematté, Elena Bucci, Cinzia Spanò, Galatea Ranzi, Mersila Sokoli… tutte artiste che portano in scena voci differenti, ma legate da un’attenzione speciale alla memoria, alla libertà, al corpo, alla maternità, alla resistenza. È un teatro che parla sottovoce, ma che arriva profondamente.

Oltre alla qualità, sembra esserci anche una forte crescita del pubblico.

Sì, siamo in crescita continua: numero di spettacoli, spettatori, abbonamenti. Il Teatro di Roma è sempre più riconosciuto come una realtà nazionale e internazionale. La nostra forza è nell’aver costruito un’identità solida, senza rinunciare alla varietà. Questo equilibrio tra visione e articolazione, tra centro e periferia della scena, ci permette di parlare a pubblici diversi. E in un momento storico così difficile, il teatro torna ad avere un ruolo fondamentale.

In che senso?

Perché il teatro è l’unica forma d’arte che esiste solo nel momento in cui qualcuno la guarda. Un film resta, un libro si conserva, un quadro si può ammirare anche da soli. Ma il teatro vive solo se c'è uno spettatore. È un gesto collettivo, quasi politico: condividere uno spazio, un tempo, un’emozione. Forse è anche per questo che, dopo la pandemia e in un presente così incerto, la gente sente il bisogno di tornare a teatro. Non solo per evadere, ma per ritrovarsi.

Ultima domanda: il Teatro Valle è pronto a riaprire?

Sì, con grande emozione posso confermare quanto già ribadito dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ovvero che la meravigliosa sala del Teatro Valle tornerà ad illuminarsi il prossimo 16 settembre 2026. Il Valle tornerà a vivere, e sarà la casa della drammaturgia contemporanea: testi scritti oggi, o negli ultimi cinquant’anni, con particolare attenzione agli autori viventi.

 

 

 

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