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20 luglio 2022
di Edoardo Izzo

Roman graffiti

"Fuoco Fatuo" di Diamond + Solo 
"Fuoco Fatuo" di Diamond + Solo 
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Roma è una fila ai musei Vaticani, una passeggiata ai Fori Imperiali, uno shopping in via del Corso oppure una monetina lanciata a Fontana di Trevi. E’ la città del turismo che, dopo due anni di chiusure per colpa della pandemia, torna a rialzarsi, a respirare, ad abbracciare chiunque voglia essere accolto. Ma la Capitale è anche una eccezionale vetrina per la street art. Per rendersene conto basta farsi un giro in zona Ostiense, un quartiere in evoluzione che The Guardian ha inserito tra i dieci più cool d’Europa.

Il quartiere Ostiense è conosciuto in tutto il mondo per i suoi esempi di arte urbana che si è diffusa in maniera legale e in formato “super size”

Una camminata di due ore in quello che, negli ultimi anni, è diventato il primo quartiere della città, conosciuto in tutto il mondo per i suoi esempi di arte urbana che si è diffusa in maniera legale e in formato “super size”. Scendiamo dalla stazione Piramide della metropolitana e iniziamo a passeggiare. E’ una mattinata di inizio luglio e sono le 9, il caldo è torrido e la luce del sole batte sui palazzi: a guadagnarci sono i murales, tutti illuminati, bellissimi. Con il cellulare in mano, cerchiamo l’angolazione giusta per fotografarli.

Dopo pochi metri, su via Ostiense, all’incrocio con via delle Conce, incontriamo la prima opera: “Hunting Pollution” di Federico Massa, conosciuto come Iena Cruz, uno degli artisti italiani più sensibili al tema ambientale. Si tratta del più grande murale green d’Europa, rappresenta un airone tricolore, specie in via di estinzione, che ha appena catturato una preda in un mare inquinato: è quindi vittima dell’impatto ambientale. I colori sono vivaci, impossibile non ammirarlo. Passa una signora anziana e scatta una fotografia. Noi facciamo la stessa cosa. L’opera è stata definita ‘mangia-smog’, perché realizzata con Airlite, una speciale vernice ecologica che cattura le sostanze inquinanti e le distrugge, grazie ad una reazione simile alla fotosintesi clorofilliana delle piante.

Non siamo esperti, ma ad accompagnarci in questo viaggio sono Veronica De Angelis e Maura Crudeli, rispettivamente presidente e vicepresidente e project manager della no-profit Yourban2030 che nel 2018 ha sostenuto il progetto di Cruz.

"Ho iniziato a fare graffiti nel 1997 - racconta Iena Cruz -  sono sempre stato attratto fin da piccolo dalla cultura dello skateboard e dalle tag sui muri di Milano, la mia città natale. Dopo il mio primo viaggio a San Francisco nel 2006 il passaggio da graffiti in senso di lettering alla street art quindi più figurativa e grafica è stato spontaneo. Credo che per un artista la cosa più importante sia trovare il proprio linguaggio espressivo. Parlare di sostenibilità ambientale, di animali in via di estinzione e dell’impatto dell’uomo sull’ecosistema è stata per me una esigenza emotiva derivata da stupore e disapprovazione sulle nostre pratiche verso il pianeta che abitiamo".

Etica e sostenibilità -  nelle tecniche, nei materiali utilizzati, nella manodopera - sono del resto la vera cifra di tutta l’attività artistica di Iena Cruz che non si limita alla produzione di murales: "Essere cresciuto a Milano, aver studiato scenografia all’accademia di Belle Arti di Brera, lavorare come scenografo su set fotografici a New York sono le chiavi che hanno caratterizzato la mia passione per l’arte, il design, l’artigianato e la moda", dice.

Un percorso fatto di creatività e sperimentazione documentato da un contenitore - Zurcanei Collection Mindset By IENA CRUZ – che ha dentro un po’ di tutto: lampade, mosaici, tappeti, stoffe, carte da parati, abiti: "Mi piace utilizzare l’arte per esplorare nuovi campi nelle mie produzioni autofinanziate o realizzate in collaborazione - confessa Cruz -. Fare arte pubblica mi dà la possibilità di conoscere gente nuova, luoghi e culture differenti, ognuno di questi fattori genera una coesione, un confronto, una condivisione, rendendo queste esperienze uniche nel loro genere, indipendentemente da quale sia il luogo, la gente e la cultura. Per questo è stato per me un onore ed una bella sfida personale realizzare ‘Hunting Pollution’ ad Ostiense, lo rifarei domani e spero che si presenti in  futuro l’occasione per creare una nuova opera".

E sul percorso che abbiamo deciso di intraprendere, oltre a ‘Hunting Pollution’ ci sono altri quattro lavori: tutti realizzati con il contributo di Yourban2030. Tra queste c’è anche “VentiduePortoFluviale Mela Mundi”. Il murale è tra i più recenti e si vede: i colori sono freschissimi, accesi. I muri - quelli del ristorante Porto Fluviale, lo stesso nome della via che lo ospita - per nulla rovinati. 

L’opera si compone di sei quadri: Il primo, che dà inizio al racconto di Mela Mundi, rappresenta la mela di Eva, originaria e pura. Il secondo rappresenta le differenze sociali. Nel terzo, lo stesso vassoio con gli avanzi dell’imperatore è preso d’assalto da servi e schiavi.

Con il quarto riquadro arriviamo nell’era delle Crociate, con un cavaliere che appicca il fuoco in nome di Dio. La rivoluzione industriale del quinto è l’inizio della contaminazione delle mele/natura. Mentre il sesto racconta l'era contemporanea: in un mondo inquinato, la natura è ormai trasformata dall'uomo che sfoggia una mela cubica, innaturale, lontana dalle origini e dalla natura stessa.

L’autore è Marco Burresi, conosciuto come “Zed1”.  "Ho iniziato nel 1993 a Viareggio,  dopo aver conosciuto dei ragazzi che facevano i writer e mi hanno fatto vedere delle foto di lavori americani e nord europei. Mi sono incuriosito poi questa è diventata la mia passione - racconta -. All’inizio dipingevo illegalmente. Poi sono arrivate le prime convention e oggi questo è diventato un lavoro: di solito dipingo muri ma nel tempo libero anche tele e sculture. I miei lavori sono per lo più autobiografici parlano di ciò che vivo, riflessioni esistenziali. Dipingere è una terapia, mi aiuta a buttare fuori le mie pene e le mie gioie – prosegue Zed1. Ogni muro e un po’un viaggio nella cultura del posto: si scoprono personaggi, usanze, tradizioni. Non conosco molto la scena romana ma quello della street art è un fenomeno che sta crescendo a livello mondiale: ormai è possibile trovare molte città con interi quartieri dipinti e quello di Ostiense è un esempio eloquente".

La riqualificazione passa anche per l’arte che diventa un’attrazione

"Abbiamo iniziato nel quartiere Ostiense, instaurando un bel rapporto con il Municipio, ma abbiamo abbiamo lavorato anche in Europa e negli Stati Uniti, sempre con lo sguardo rivolto all’Agenda per lo sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite 2030", spiega Veronica De Angelis. "La tecnologia, infatti, ha un impatto molto positivo sull’ambiente. Le due opere di Iena Cruz e Zed1, ad esempio,  insieme occupano  1.200 metri quadrati che assorbono l’inquinamento di 192 macchine al giorno".

"La riqualificazione passa anche per l’arte che diventa un’attrazione -  conclude la presidente di Yourban2030 - E tutti possono fare qualcosa: il ristorante Porto Fluviale, ad esempio,  ha restituito qualcosa al territorio finanziando un’opera pubblica di cui tutti possono godere e donando a una no-profit, questo è lodevole".

Esattamente dall’altra parte di via del Porto Fluviale, sulla facciata dell’ex caserma dell’Aeronautica, incontriamo “I mille volti”, opera di BLU, conosciuto come il “Banksy italiano”. E proprio come il writer inglese, considerato uno dei maggiori esponenti della street art, di BLU non si sa nulla: il suo account sui social non rivela l’identità. Ma a ‘parlare’ di lui sono le opere. “I mille volti” è un murale che ritrae una molteplicità di facce variopinte: un messaggio nella rappresentazione della lotta contro la speculazione edilizia. L’opera fa ancora effetto, anche se il tempo ne ha reso meno chiari dettagli.

Ci imbattiamo in altri volti – 26, come le lettere dell’alfabeto – proseguendo su via dei Mercati Generali. Riconosciamo l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama; il rapper Mobb; il regista Quentin Tarantino; il cantante e pianista Ray Charles, gigante della musica soul. E ancora: Dante Alighieri, fino ad arrivare a Zorro. Il murale, lungo oltre 60 metri, si intitola "Wall of Fame" e la firma è quella dello street artist romano JB Rock che ha mischiato ai volti famosi anche quelli di sei familiari e amici a lui cari, in una specie di monumento alla comunicazione come valore centrale della società contemporanea.

La passeggiata non è finita. Girando per via del Commercio sul muro perimetrale dell’ex Italgas,  ci imbattiamo in “Fuoco Fatuo” di Diamond e Solo, due artisti della scena romana: il primo conosciuto per la forte ispirazione Art Nouveau  ed il secondo per la produzione incentrata sui super eroi italiani. L’opera è nata all’interno del progetto Dominio Pubblico Millenials Art Work – Mart nel 2019.  

Accanto, a seguire, su via dei Magazzini generali, lo slogan gigante “Paint over the cracks”, creato in occasione di Outdoor Festival 2012 dall’artista malawiano Kid Acne. Un messaggio chiaro, colorato, lungo 65 metri  che esorta a “dipingere sopra le crepe”, ad utilizzare l’arte e la creatività per riempire le fratture - non solo fisiche - della società contemporanea. 

Subito dopo, in via del Gazometro, il “Davide Desaparecido” di Mauro Pallotta, in arte Maupal, conosciuto per le opere su Papa Francesco. Il murale, dipinto nel 2020, è dedicato al caso del marinaio Davide Cervia,  31enne esperto di guerre elettroniche, sequestrato nel 1990 all’epoca della prima Guerra del Golfo. Un giallo ancora irrisolto a trent’anni di distanza in relazione al quale Maupal fa – come di consueto - “cronaca dal basso”: il marinaio è sull’attenti, di fronte al mare, trafitto alle spalle da un arpione che reca in punta la bandiera italiana.

Il cuore si risolleva poco più avanti, su via Giuseppe Acerbi, con l’imponente murale sulla facciata della sede romana della Turner, che edita il canale Cartoon Network.  Creato in occasione del 25esimo anniversario della casa di produzione statunitense è un’opera collettiva realizzata da due street artist romani, omino71 e Mr.Klevra, nell’ambito di un progetto educativo che ha coinvolto un gruppo di ragazzi ospiti dei centri di pronto intervento per minori della Caritas. “Amicizia, incontro e diversità” il titolo del meta murale realizzato a più mani a due  passi dal gasometro.

Il messaggio migliore da portare a casa dopo una meravigliosa passeggiata tra avanguardia e modernità, in una parte di Roma quasi del tutto sconosciuta ai turisti e, purtroppo, anche agli stessi romani.

Un muro chiamato New York

Un muro chiamato New York. Metropolitana di New York. Linea 7. Linea 6, 1, 2, 4. Dal Queens a Brooklyn, dal Bronx a Forest Hills. Da tutto il mondo arrivano per lasciare la loro firma sulla “tela” metropolitana più ambita: sono gli artisti dei graffiti, vestiti di sneaker, felpe con cappuccio, jeans, armati di spray e spatole per definire i contorni dei loro disegni o scritte giganti con caratteri pop.

Come Friedrick Hagel e Peter Hansk, di Amburgo, che sono arrivati a New York da una settimana e girano lungo i binari in cerca del posto giusto dove disegnare. O i francesi Julien e Pierre, o lo svedese Orvar Gustavsson.“Arrivano da tutto il mondo - dice quest’ultimo, incontrato vicino al Roosevelt Bridge, che attraversa l’East River - ho visto anche un coreano. Facciamo amicizia presto, perché abbiamo lo stesso obiettivo”.

Sul cellulare mostra la foto di un murale a forma di treno della metropolitana, in cui campeggia l’immagine di un rapper con cappellino: “E' il gigante dei graffiti di New York, è morto di Covid”. Il suo nome era Dj Kay Slay. “Ma quando sono andato a vederlo dal vivo - ammette con un filo di delusione - il murale non c’era più”.

E’ un’arte a volte fatale, per loro e per i passeggeri

E’ il destino di molti graffiti, la cui fortuna artistica evapora in fretta. Il giro dei graffitari rispetto al passato è meno oscuro. Si ritrovano attraverso gli account su Instagram, vanno a vedere i murales dipinti e fotografati sui social e lì nascono amicizie, collaborazioni. Indossano, generalmente, tute acetate, scarpe da ginnastica, e stanno spesso con le mani in tasca, l’aria diffidente.

E’ un’arte a volte fatale, per loro e per i passeggeri: l’anno scorso ci sono stati 1260 casi di intrusioni sui binari, che hanno provocato duecento incidenti. Di questi, in sessantotto casi c’è stato un morto. Non sono sempre loro i responsabili. Spesso i writers scappano lungo i binari per fuggire alla polizia, a volte finiscono travolti dal treno. Come la storia raccontata da Ellis Gallagher: era in un tunnel vicino alla stazione di Bergen Street, a Brooklyn, assieme a Hector Ramirez, incontrato poco prima. Erano lungo un binario armati di spray, quando hanno sentito i treni arrivare. Gallagher è andato al centro del tunnel, Ramirez verso un lato. Poche ore dopo la polizia ha detto che Ramirez è stato probabilmente travolto da almeno tre treni. Vicino ai resti sono stati trovati una serie di disegni. Ramirez aveva 29 anni. Lo hanno portato via in due valigie.  

Nonostante il rischio mortale, i writers concordano: la metropolitana di New York è la Mecca della street art o il Vaticano per un cattolico

Nonostante il rischio mortale, o forse proprio per questo, tutti i writers concordano: la metropolitana di New York è la Mecca della street art o il Vaticano per un cattolico, come dice un graffitaro francese di nome d’arte Fenx. I treni hanno la superficie ideale e la rotondità delle sagome aumenta la profondità delle figure. I treni diretti al Queens piacciono molto, come quelli che scendono a Brooklyn. Ma anche i passaggi ferroviari che attraversano Harlem finiscono per essere ravvivati di murales. Spesso, il muro è un mezzo per dire esisto. Il New York Times, un paio di mesi fa, aveva raccontato la storia di un francese, Blanc qualcosa, che aveva postato su Instagram il video girato dal tetto del palazzo dove aveva preso una stanza in affitto. Aveva scritto il suo nome in rosso e nero. “Una piccola pittura - aveva commentato - in attesa dell’alba a Manhattan”.

Ma questa aveva un limite, anzi due: era in cima a un palazzo, accessibile a pochi. Ed era “ferma”. Perché ad attrarre i graffitari di tutto il mondo è la metropolitana, per la sua capacità di portare in giro per una città iconica i propri disegni. Un nome scritto su un parapetto è un conto, se verniciato sulla costa del vagone della linea 7 un altro. Quel nome vedrà quartieri simbolo della fatica di vivere, gente che va di fretta, gente che dorme sul marciapiede. E sarà visto dai newyorkesi, magari attraverso la luce del finestrino, quando due treni si affiancano per venti secondi, e appaiono i volti inespressivi di passeggeri dell’altro treno.

Magari una scritta, che sfreccia, o una lettera che rimanda a un ricordo, un colore che richiama un tramonto vissuto anni prima con una persona ormai scomparsa. L’età d’oro qui è stata quella degli anni ’70 quando tutti i treni erano dipinti. Poi intorno alla metà degli anni ’80 partì un piano di pulizia, per rimuovere le scritte da più di seimila vagoni. Messaggio per i graffitari: lavorerete per ore a qualcosa che verrà lavato via.

Il costo per cancellare i disegni, spiega l’azienda dei trasporti newyorkesi, si aggira sul milione di dollari all’anno

Nel giro di cinque anni tutti i treni erano stati “ripuliti”. Ma la moda non è mai passata del tutto. Negli ultimi cinque anni l’assalto al treno è ripreso. Dal 2018 sono 1500 i vagoni dipinti. Il costo per cancellare i disegni, spiega l’azienda dei trasporti newyorkesi, si aggira sul milione di dollari all’anno. Il messaggio rivolto ai writers, cinquant’anni dopo, è sempre lo stesso: è inutile lavorare per ore a un disegno, perché noi lo cancelleremo. Ma non è il tempo impiegato a fermarli. O quello che resta loro da vivere, mentre si aggirano lungo i binari di notte. Sono lì per disegnare. E per loro conta solo questo. 

 

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