instagram
12 maggio 2025
di Ruggero Marino

Smeraldo Sardegna

 Sardegna
 Sardegna
twitterfacebook

La leggenda più bella circa la nascita della Sardegna fa riferimento addirittura al Padreterno. Era al sesto giorno, intento a contemplare la sua creazione, allorché si accorse che gli erano avanzate alcune briciole dell’universo. Manciate di sassi, granito e basalto. Li scagliò nelle acque del Tirreno e li premette poi con il piede. Guardò il risultato. Compiaciuto decise di chiamare l’isola Ichnusa (impronta). Soddisfatto la modellò ancora con montagne, bastioni di basalto, costiere di granito, arene immacolate. La arricchì con roverelle, lecci, mirti, corbezzoli, ginepri e tante altre specie vegetali. Decise infine di popolarla con varie specie animali, stabilendo inoltre che gli abitanti avrebbero svolto mestieri come gli allevatori, i minatori, gli agricoltori, i pescatori.
Era questa l’isola che conobbi ragazzo, dopo gli esami di stato, raggiungendola con un traghetto sul quale gli uomini, per ammazzare il tempo della traversata, rimandavano una musica dalle vibrazioni acute con le launeddas, mentre le donne, appartate, facevano circolo con le vesti nere. Era la Sardegna prima del boom, un mondo ancora ancestrale, verginale, un mondo di pastori con pantaloni di velluto, una natura aspra, ma incredibilmente affascinante. Stupenda anche all’interno.Con un artigianato e una gastronomia particolari.
Rocce accartocciate o tondeggianti dalle forme più impensabili, simili a sculture di Henry Moore, retaggio di un magma ancestrale. Rocce che al tramonto diventano rosse, sanguigne. Oltre ad una macchia mediterranea dalle tonalità rubate ad una tavolozza, il giallo delle ginestre, l’odore del mirto e del rosmarino ed un mare, un mare che ha pochi uguali nell’intero pianeta. 

 


Un viaggio con amici che terminò a Santa Teresa di Gallura. Ogni mattina si andava a piedi, lungo un sentiero di circa 10 chilometri. Un sole battente, animali al pascolo, mucche, qualche toro, ci si riforniva per bere da un filo d’acqua che scorreva lungo la parete di un macigno. Fino a quella che veniva chiamata l’isola di Municca. Un punto in cui il viottolo si restringeva a pochi metri: lo sciabordio dell’acqua da una parte e dall’altra, per aprirsi poi in una fantasmagoria di massi, che si accavallavano l’uno sull’altro. E sempre quel mare trasparente, che dal verde sfumava lentamente in azzurro e poi nel blu fino al violaceo verso il largo, quando la profondità aumentava. 
E inoltre fra magia e mistero il retaggio del passato. Con i nuraghi, antiche costruzioni uniche nel loro genere. Risalgono alla civiltà appunto nuragica. Alcuni complessi e articolati, veri e propri castelli con la torre che, in alcuni casi, raggiunge un'altezza tra i 25 e i 30 metri. Ma nella maggior parte si tratta di singole torri, a forma di cono, che vanno restringendosi verso l'alto, alte dai 10 ai 20 metri. Arcani che gli studiosi non riescono a decifrare circa la loro funzione originaria, per la datazione si pensa al II millennio a.C.
Per andare ancora più dietro nel tempo con le “domus de janas”. Immaginate delle fate tessere con le loro mani delicate fili d’oro alla luce della luna, vegliando sul sonno dei bambini. Sono le Case delle Fate suggestivo nome attribuito, da un’altra leggenda popolare, alle 2400 sepolture arcaiche scavate nella roccia. Risalgono a 5000 anni fa. Sono sparse all’interno, in tutto il territorio. Alcuni studiosi si spingono fino al numero esorbitante di 3.500: isolate o parte di vere e proprie necropoli, decorate o semplicissime. Un mondo, in qualche modo magico, che qualcuno interpreta addirittura come l’Atlantide perduta, la mitica civiltà avanzatissima, descritta da Platone nel “Timeo”. Scomparsa in una notte a causa di un devastante cataclisma. 

 


Questa rusticana, aspra, gelosa, isolata terra, con persone dal carattere ruvido e dai volti scolpiti o grinzosi come carte geografiche era la Sardegna di un tempo, una terra dai costumi ancorati al passato, che saliva alla ribalta soprattutto per episodi di cronaca nera, ribalzando sulle prime pagine dei giornali di quello che chiamano ancora il “continente”. A sottolineare una forma di separazione e di diversità imposta dal mare e dalla lontananza.
Poi d’improvviso il mutamento. Mai regione italiana ha conosciuto uno sviluppo così repentino e favorevole come la Sardegna nel giro di pochi decenni. Da perla grezza a perla splendente. Questa volta ad operare il prodigio non sono state le mani di fata, ma la lungimiranza e la scommessa vincente di uno straniero dalla religione diversa, il capo degli ismaeliti, Karim Aga Khan. Eppure il primo contatto non fu dei più felici. Una traversata problematica, un albergo disagevole vicino alla ferrovia, sveglia alle 4 del mattino per il movimento dei vagoni. Otto ore di jeep andata e ritorno per vedere il litorale acquistato.

 


Ma ad un secondo incontro, sollecitato per non perdere l’investimento già fatto, l’incanto dei luoghi, degli scorci, di quelle spiagge bianche e perfino rosa, di quel mare trasparente ebbero il sopravvento. Cinquantacinque chilometri di costa che si stentava a credere non fossero stati scoperti prima. Nessuna costruzione, non un telefono, non una sorgente di acqua potabile. Nessuna strada, solo tratturi. Eppure, scontato a dirsi, sembrava proprio un paradiso. E la leggenda del Padreterno nemmeno tanto esagerata. La Costa Smeralda dal mare di smeraldo è nata così. Diventando il principale volano turistico dell’economia sarda.
All’inizio un’enclave esclusiva, nonostante le prime intenzioni meno elitarie. Poi lo sviluppo per contagio si è diffuso a macchia d’olio all’intero territorio. Difficile trovare un anfratto sul Tirreno che non valga la pena di essere valorizzato. Così da Porto Cervo, Cala di Volpe, Capriccioli, Romazzino, Porto rotondo gli Eden turistici si sono moltiplicati, facendo della Sardegna un “must” del jet-set internazionale: teste coronate, divi dello schermo, bellezze da schianto, sceicchi coperti d’oro, nero o meno, miliardari in gara per lo yacht più grande vi si danno appuntamento ogni anno in uno “struscio” dorato. Solo qualche nome: Margaret d’Inghilterra, Jacqueline Kennedy, Juan Carlos, Gianni Agnelli, Ringo Star, George Clooney e perfino la “divina” Greta Garbo sul viale del tramonto. 
Incontrai, con altri colleghi, il giovane Karim sulla piazzetta di Porto Cervo. L’avventura era appena cominciata, ma già eravamo in un ambiente, con le prime realizzazioni, che aveva cambiato completamente aspetto. “Ad essere sinceri il mio pensiero alla prima esperienza fu quello di non tornare più nell’isola. Ma quando capitò una seconda volta cercai di capire che cosa fosse esattamente la Sardegna. La Costa Smeralda mi sussurrava “non mi giudicare troppo severamente per come mi presentai in inverno, ora vesto il mio costume primaverile, allora sii disponibile a visitarmi in estate. Mi troverai ancora attraente.” Dal rifiuto “alla relazione passionale fatta di sentimenti, emozioni, difficoltà”. Non fu un’impresa facile: regole urbanistiche restrittive, severi controlli imposti  per ottenere il consenso da parte di tutti.

La Costa Smeralda mi sussurrava “non mi giudicare troppo severamente per come mi presentai in inverno, ora vesto il mio costume primaverile, allora sii disponibile a visitarmi in estate. Mi troverai ancora attraente”.


“Vogliamo essere – disse Karim - la destinazione di un turismo non solo di prima classe. Abbiamo studiato la storia dell’isola prima di cominciare. Mandando in giro un fotografo per documentare ed evitare di tradire lo stile locale. Utilizzando i materiali a disposizione: granito, cotto, ferro battuto, il legno del ginepro. Preoccupati prima di tutto per la qualità della vita. Mentre l’obiettivo costante deve essere quello di cambiare, eliminare, per quanto possibile, la miseria di persone che vivono in condizioni non accettabili.”
A distanza di pochi decenni missione compiuta. Con un’architettura “organica”, rispettosa della natura, diventata un “marchio”, in un gioco di volumi, con le ville quasi nascoste, affogate nel verde e nel granito. Seguendo spesso l’andamento del terreno. Hanno visto nel tempo al lavoro architetti e designer come Luigi Vietti, Jacques e Savin Couelle, Michele Busiri Vici. Per continuare ad evolversi in versioni più moderne e materiali “importati”, ma sempre all’insegna dell’eleganza e del buon gusto. Nel rispetto della “privacy”. E su ogni sfondo, da ogni finestra il mare. Un mare battezzato smeraldo. Come in effetti è. Si parla tanto di “mal d’Africa”. In Africa ci sono stato più volte. Io sono stato colpito dal “mal di Sardegna”. 

Llitanie di sardegna

Danzare con parole e sentimenti
nelle litanie di Sardegna.
Respirare il profumo
della macchia nana
del mirto, del ginepro,
del rosmarino in fiore,
sentire la roccia di granito
sgretolarsi in solchi arcani
 e vicino e lontano
l’afrore del mare
dell’acqua salata
inebriata dal sole
fra riverberi azzurri,
quando l’ugola del vento
sbatte le quinte dei seni
fra macigni di sangue
e arene immacolate.
Guardo una sfinge nera
e indago una creatura
icona del mistero
madre e figlia all’unisono
intessuta di panno
con occhi scuri di fiamma
e ciglia valve di conchiglia.
Io amo il suono di poesia
e sento che lei
è carne di poesia
poesia di donna in simbiosi
con le radici dell’essere
ormai dimenticate
con il senso della natura,
che si culla di magie
di sapienze svanite
incancellabili nel tempo.
Si ravviva nei versi
la sinfonia dell’isola
aspra d’incanti e di persone
scaturite da verità
frutto di mirti ancestrali
fra enigmatiche pietre
e pastori di velluto.
Donne che partoriscono
sotto il chiaro di luna,
grandi madri opulente
e streghe da sabba
con impudichi fianchi.
Vedo una femmina
fragile ed altera 
in equilibrio sulla lama
di un coltello assassino
in grado di scuoiare il cuore
parola dopo parola
in una comunione senza fine
di ostie consacrate
ed eresie assassine.
Forse l’aspetta un rogo o la follia
o il serto eterno della grande poesia. 

 

 

 

Tag

Seguici su

instagram