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8 aprile 2023
di Manuela D'Alessandro

Quentin, lui sì che può!

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Quentin Tarantino: lui sì che può! Tenere sospesi migliaia di fan con lo schermo del telefono spianato ben oltre l’orario previsto del suo arrivo sotto un cielo ruvido e gelato appena addolcito dallo spettacolo delle guglie del Duomo. Far chinare più volte un signore con un panno verde per cancellare dal lembo d’argento le impronte di chi passa sul red carpet qualche minuto prima che i passi del divo lo accendano prima di infilarsi nella libreria Mondadori. Restare muto tutto il tempo, con una mascherina nera appiccicata al viso, mentre tutti spargono parole di devozione.

“Quentin, Quentin!”, Milano eccitata lo acclama sulla passerella allestita tra le immagini della copertina del libro ‘Cinema speculation’ declinata in più versioni con le scene di culto dei suoi nove film, pochi ma intessuti di polvere da sparo e diamanti. Eccolo in jeans scuri, t-shirt, camicia color fumo e mano destra che si apre e chiude per salutare i suoi spettatori e lettori. Nella libreria da poco rinnovata dentro agli spazi neorinascimentali del Palazzo dei Portici Meridionali, Quentin ascolta. Lo invocano dal soppalco, dal basso, dai lati, da tutte le parti, battendo le mani a ritmo. Si siede, mascherato e di buon umore da quel che si intravvede del suo viso e dai gesti.

Ascolta Elisabetta Sgarbi in abito nero con rose rosse, i fiori simbolo della rassegna.  L’inventrice della Milanesiana che lo pubblica con la sua ‘Nave di Teseo’ racconta di averlo corteggiato per 24 anni, cioé da quando organizza la festa degli scrittori in città, finché le ha concesso questo benedettissimo sì. Sente elencare da lei le motivazioni del premio ‘Omaggio al Maestro’ perché “i suoi film hanno saputo mescolare l’alto e il basso”, perché “i grandi artisti non copiano ma rubano per creare qualcosa che non si era mai visto prima”. Poi prende la parola il critico cinematografico Antonio Monda che poche ore prima ha dialogato fittamente con lui al teatro Grande di Brescia e da programma dovrebbero farlo anche qui. Tutti se lo aspettano. Il maestro ora ci porterà nel suo cinema di sangue, sesso, poesia, parodia e nel suo libro che documenta la smisurata passione per i maestri e la sua iniziazione alla magia dello schermo.

Cazzo se era eccitante essere l'unico bambino in un cinema pieno di adulti, vedere un film da adulti e sentire tutti che ridevano per una battuta che di solito sapevo essere sporca. E a volte, anche quando non la capivo, ci arrivavo lo stesso. 

Invece Monda si limita a rivelare una triste verità: “Tarantino mi ha appena confermato che il prossimo sarà il suo ultimo film”. Bum. Si sapeva già ma colpisce lo stesso alle costole. A questo punto si apre il firmacopie perché “Quentin non parlerà com’era previsto che facesse”. Perché? E chi lo sa, del resto Quentin tutto può. Ma il regista di ‘Pulp Fiction’, ‘Le iene’, ‘Kill bill’, ‘C’era una volta a Hollywood’, non è affatto accigliato. Anzi. Seduto al tavolino dove transitano col batticuore a farsi siglare il libro ha una battuta per tutti.

“Great!” esclama rivolto alla t-shirt di un ragazzo dedicata a ‘Il brutto, il buono, il cattivo’ che considera il “film più bello di sempre”. “Grazie mille”, “Thank you”, “Sembri Al Pacino”. “Mi ha detto una cosa in inglese ma non l’ho capita” si dispera una ragazza con le amiche. “Eddai, cerca di ricordarti!”. La gigantesca guardia del corpo prova bruscamente a impedire video e fotografie: “Quentin non vuole riprese”.

Fuori dalla libreria si avvicina un ragazzo con un viso d’angelo, i capelli biondi, un volto indubbiamente da cinema, alla Timothée Chalamet. E’ l’unico a sfoggiare una dedica in pennarello nero direttamente sul dorso del telefonino. Sembra in subbuglio. “Mi ha guardato intensamente, io lo so che sono nato per il cinema. Studio recitazione. Tarantino mi voleva dire qualcosa, sono sicuro, non dovevo scappare. Me lo dà il pass per rientrare?”. Glielo regaliamo. “Se lo scriva. Mi chiamo Pietro Zarri, un giorno mi vedrà in un film di Tarantino”. Corri ragazzo, Quentin può.

Durante il viaggio di ritorno, anche se non avevo domande da fare, i miei genitori parlavano del film che avevo appena visto. Sono alcuni dei miei ricordi più cari. Il rito di iniziazione di 'Un uomo chiamato cavallo, in cui Richard Harris viene appeso a corde legate a due lame che gli trafiggono il petto mi lasciò basito. Come la scena di 'La casa dei vampiri' in cui Barnabas Collins/Jonathan Frid viene infilzato da un paletto di legno con il sangue che schizza al ralenti. In entrambi i momenti ricordo di essere rimasto a fissare lo schermo a bocca aperta, incredulo che in un film si potessero fare cose del genere, Sono sicuro che, durante il viaggio di ritorno, fui soprattutto io a parlare.        

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