Dalle alture boliviane, dove è stato “scoperto” intorno al 1500 dai colonizzatori spagnoli, alla cornice equatoriale di Singapore. Dopo l’entrata in vigore dei dazi americani del 15% sui prodotti agroalimentari europei, il pomodoro, oggi indiscutibile simbolo e frutto (per la precisione) dell'eccellenza gastronomica italiana, è anche uno dei grandi protagonisti della resistenza nostrana allo scompiglio del commercio globale creato dal governo di Trump.
A pochi giorni dalla firma registrata a Bali degli accordi di libero scambio tra l’Europa e l'Indonesia, promettente paese di 280 milioni di abitanti, i produttori italiani guardano ai mercati orientali con rinnovato interesse. “Il mercato europeo è il primo per i pomodori italiani, al secondo posto però c'è il mercato americano. Per questo è giunto il momento di guardare altrove, con l'obiettivo di conquistare quote di mercato rispetto ai concorrenti extra-UE (USA, Cina, Turchia, Australia) anche in Asia” ha detto Guglielmo Vaccaro, presidente di OI pomodoro, Organizzazione Interprofessionale no-profit riconosciuta con Decreto del 2018 e vigilata dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari (MiPAAF), durante un evento organizzato con Agenzia ICE e aperto dal direttore di Singapore Giorgio Calveri.
“Il pomodoro offre lavoro a 10mila lavoratori a tempo indeterminato e circa 25 mila stagionali. Siamo qui per tutelare un giro d’affari di 5,5 miliardi di euro, di cui 3 miliardi di export, e 12 regioni produttrici, da Toscana, Sardegna a tutto il Centro-sud d’Italia. Proteggiamo eccellenze come il pomodoro San Marzano, prodotto esclusivamente in 41 comuni a terreno vulcanico attorno al Vesuvio. Il pomodoro pelato, di forma allungata, perfetto per la passata, è coltivato solo in Italia, non si trova in altri grandi paesi produttori come Spagna e California” ha aggiunto Vaccaro.
L’Italian sounding è in effetti un’arma a doppio taglio. Solletica le papille gustative ma non sempre si accompagna ad una solida conoscenza del prodotto e della qualità della filiera che lo precede. “La Cina produce soprattutto il concentrato di pomodoro, gli USA realizzano altri prodotti derivati, come le salse aromatiche e il ketchup. L’Italia è regina delle passate. Aumentare la conoscenza dei pomodori in scatola interi o a pezzi nell’area, soprattutto nella grande distribuzione internazionale e tra gli addetti ai lavori, è l'obiettivo incoraggiato da un chiaro andamento di crescita del prodotto, soprattutto in paesi come Thailandia: +15,30%, Malesia: +11,47%, Singapore: +5,67%” ha detto Vaccaro a nome dell’Associazione che riunisce i principali stakeholder della filiera del pomodoro, comprese associazioni di categoria del calibro di Confagricoltura e Anicav.
La corsa alla diversificazione però non è priva di ostacoli da un punto di vista politico, come dimostrano le difficoltà nel negoziato commerciale con l’India, con cui il capo negoziatore dell’UE Christophe Kiener sta tentando di concludere entro la fine dell’anno un laborioso accordo. Senza contare i paradossi nostrani, come aggiunge Michele Sabatino di Euroconsult, società specializzata nella consulenza all’internazionalizzazione coinvolta nell'iniziativa. “Esistono forme di mismatching, notiamo che in Italia c'è una domanda superiore all’offerta, poiché i coltivatori preferiscono il pagamento immediato sul mercato estero a quello ritardato fino a 3-6 mesi della grande distribuzione italiana.”
“Siamo però ottimisti - ha aggiunto Sabatino - Siamo in grande crescita in Medio Oriente e gli accordi di libero scambio esistenti, con il Giappone, Canada, Singapore ad esempio, rappresentano un importante facilitatore per le esportazioni. Bruxelles ha firmato un accordo con il Mercosur (Brasile, Paraguay, Argentina e Uruguay). All’America latina ci lega un lifestyle molto simile e la classe media crescente è ricettiva, in Brasile ad esempio siamo cresciuti del 30%. E’ una zona del mondo che ha caratteristiche omogenee ed è di facile accesso per i nostri produttori sia per ragioni storiche (pensiamo alla grande migrazione italiana), che culturali e linguistiche. L’Oriente invece è un mosaico di culture, è più frazionato, però in grande crescita. Il confronto anche con questa parte del mondo sarà inevitabile ed è cruciale attrezzarsi al più presto.”