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4 agosto 2022
di Laura Antonini

Storie italiane tessute in Denim

La campagna pubblicitaria di Roy Roger's firmata da Bruce Weber
La campagna pubblicitaria di Roy Roger's firmata da Bruce Weber
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Da sempre è un po’ il simbolo dell’abbigliamento casual che dalle pellicole western ha sedotto i guardaroba di intere generazioni senza subire crisi. Eppure il jeans di qualità parla spesso la nostra lingua. Non solo per le sue origini avviate a Genova nel 15esimo secolo proprio quando Cristoforo Colombo issava le vele verso quelle che sarebbero state chiamate Americhe o per il primato del jeans più vecchio del mondo indossato nientemeno che dall’eroe dei due Mondi Garibaldi in occasione dello sbarco dei Mille a Marsala e oggi reliquia  tra le più viste nel museo del Risorgimento a Roma ma anche perché in Italia sono tanti i marchi che hanno deciso di investire e produrre jeans sfornando collezioni innovative che vuoi per lo stile vuoi per lo studio dei materiali sempre più improntati alla sostenibilità piacciono ai mercati internazionali e vengono indossati da celebrità

Tra i pionieri di questa storia italiana c’è Roy Roger’s, marchio partorito dalla mente di Francesco Bacci nel 1952, esattamente 70 anni fa, a Campi Bisenzio (Firenze). Assieme alla moglie Giuliana già qualche anno prima aveva dato vita alla “Manifattura 7 Bell” - oggi SEVENBELL dove un’Italia che si stava risollevando dal dopoguerra realizzava artigianalmente capi e pantaloni principalmente da lavoro in cotoni e gabardine. Ad affascinare Francesco fu proprio “il mondo americano tanto visto nei film”.

Qualità e made in Italy, infatti, sono i due punti cardine di Roy Roger’s.

Un viaggio in America, “senza sapere una parola d’inglese per andare alla ricerca dell’azienda Cone Mills Corporation, leader nella produzione di denim, il nuovo tessuto stelle e strisce unico per colore e resistenza- - racconta il nipote Niccolò Biondi attuale amministratore delegato della maison che porta avanti assieme alla mamma Patrizia, presidente del gruppo e al fratello Guido, direttore creativo-  A New York Francesco stipulò un accordo con la Cone Mills Corporation, partnership che continua ancora oggi e scelse il nome Roy Roger’s, in onore di quel sarto americano che alla fine dell’800 realizzava le salopette da lavoro dei contadini californiani”.

Da allora dai primi modelli in tessuto rigido, difficile da cucire, tanto da spingere i coniugi Bacci ad usare macchinari destinati alla lavorazione della pelle il marchio è esploso. “Roy Roger’s è il primo blue-jeans italiano. Ed è da sempre fatto in Italia. Qualità e made in Italy, infatti, sono 2 punti cardini di Roy Roger’s . Ed è proprio dall’importanza della manifattura italiana che ne deriva l’alta qualità del prodotto finito. In questo modo per anni sono state alimentate eccellenze artigianali italiane che si sarebbero perse nel tempo. Un patrimonio prezioso che oggi è sinonimo di “fatto bene”.

Negli anni Sessanta la nuova moda casual e la contestazione giovanile emancipa il capo a simbolo di riconoscimento per un’intera generazione  e nel 1956 la maison toscana sarà la prima a lanciare la prima collezione di blue-jeans dedicata alle donne: un’idea rivoluzionaria per quei tempi, che cambia la prospettiva del mercato: il blue-jeans non è più solo un pantalone da lavoro ma diventa un capo casual a tutti gli effetti. Fino al passaggio di testimone a cavallo degli anni Ottanta e Novanta a Fulvio Biondi, genero del fondatore che avvia una strategia innovativa sul prodotto e sul marketing dando valore alla storia dell’azienda.

 “Oggi – continua Niccolò Biondi – i Roy Roger’s sono il risultato di una costante ricerca di materiali di altissima qualità – il nostro denim arriva dall’America, dall’Europa e dal Giappone – e di una sperimentazione continua di lavaggi innovativi, lavorazioni artigianali e tecnologie all’avanguardia. Ma soprattutto della capacità di rielaborare i modelli storici per concepire nuovi modi di indossare e vivere i blue-jeans”.

A distinguere il capo resta il triangolo nero sulla tasca posteriore. “Da sempre è la firma del brand. Così come la “pocket money” sul davanti, pensata per avere sempre a portata di mano gli spiccioli. Il primo cinque tasche Roy Roger’s – chiamato “normale” – aveva anche le cerniere sulle tasche posteriori, un’idea brevettata negli anni 50 per proteggere la paga settimanale durante il lavoro. La zip è presente ancora oggi nei modelli che si ispirano al  capo storico. I modelli uomo attualmente più venduti in Italia e all’estero sono il "new 529" e il “517".

Per i settanta anni in occasione dell’ultima edizione di Pitti Uomo a Firenze c’è stata una grande festa con tanto di cena nel salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Per raccontare il traguardo il marchio ha anche svelato un mini movie curato da fotografo fashion Bruce Weber.

Altra storia quella di Candiani Denim, azienda italiana a conduzione familiare fondata nel 1938, tra Milano e le Alpi in una riserva naturale, il Parco del Ticino. Una fabbrica di denim verticalmente integrata che fornisce alcuni dei marchi di moda più noti al mondo, crea i tessuti che hanno dato vita all’industria dell’alto di gamma nel settore denim e si è evoluta negli anni tenendo ben presente anche il tema della sostenibilità. 

Dopo aver impiegato le ultime innovazioni tessili per brevettare il tessuto biostretch COREVA, con cui è possibile confezionare il primo jeans al mondo 100%biodegradabile e compostabile ha da poco lanciato assieme a Lenzing innovativa azienda europea che produce tessuti in fibre special,  il progetto TENCEL™ Limited Edition x COREVA™  che abbina una nuova fibra cellulosica per la quale è stata usata una quantità significativa di polpa di canapa al primo denim stretch biodegradabile. “In un mondo dove le risorse stanno diminuendo e c’è un eccesso ingestibile di capi di abbigliamento da smaltire – spiega Alberto Candiani, Presidente Candiani Denim - é un dovere di tutti guardare ad un consumo e ad una produzione sostenibile, con una massima attenzione a risorse rinnovabili, materiali biodegradabili ecompostabili. Il mondo del Denim dev’essere in prima linea in questa rivoluzione, e siamo davvero entusiasti di poter collaborare con realtà internazionali come Lenzing e poter condividere la nostra innovazione e i nostri valori con il resto della fashion industry”.

Un altro marchio, Shaft, oggi è molto amato dai giovanissimi, lo hanno indossato anche i Maneskin. In realtà il brand nasce in Francia, nel 1968, da Monsieur Shafir, da qui il nome, che sposò una donna toscana e così già dagli anni '70 la produzione venne spostata in Italia. Sono i gemelli Lorenzo e Letizia Palchetti Tosi a rilevare il marchio nel 2006 sviluppando una produzione di jeans interamente made in Italy. 

“Il nostro brand – raccontano – è italiano nella creatività che si sviluppa nei tessuti e nei nuovi fit che a ogni stagione proponiamo. In concreto, lavoriamo con tessuti italiani, confezioni italiane, lavanderie e tintorie italiane e accessori italiani. Abbiamo una filiera cortissima che si sviluppa da Firenze alle Marche. Siamo italiani nella visione che ci lega alla nostra azienda: siamo così appassionati al prodotto che ogni singolo capo è studiato nei minimi dettagli e viene provato da fisicità diverse per assicurare fit perfetti”. 

Lavoriamo con i Maneskin da tanti anni, da quando sono usciti da X Factor. Noi abbiamo sempre creduto in loro e anche loro hanno sempre amato il nostro brand.

Tra i loro best seller ci sono così i jeans a zampa o flare fit. “Il modello Lola è un nostro icon bootcut, ad oggi usato anche dal pubblico maschile. Inoltre lavoriamo benissimo con tessuti denim leggerissimi come il silk denim di cui abbiamo l'esclusiva, sono morbidissimi e impalpabili, perfetti anche per l'estate”.

Ma come hanno fatto ad essere scelti dai Maneskin? Lavoriamo con i Maneskin da tanti anni, da quando sono usciti da X Factor. Noi abbiamo sempre creduto in loro e anche loro hanno sempre amato il nostro brand. Negli anni hanno sempre apprezzato i nostri jeans rock and roll e si è creato un rapporto di stima e complicità. Li abbiamo vestiti per tanti tour in questi anni, ma la soddisfazione più bella è vederli con i nostri jeans nella real life o quando hanno conosciuto Mick Jagger a Las Vegas, in un momento così cruciale per la loro carriera quasi tutti vestivano i nostri jeans”.

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