
Danza e musica. Musica e danza. Si Potrebbero sfogliare i petali della margherita, come nel classico “m’ama non m’ama”, per cercare di capire quale delle due discipline è nata prima. Probabile che siano nate all’unisono. Perché la danza ci piace definirla “musica incarnata” e la musica “una danza delle note”. La danza è una scintilla, una febbre che invade il corpo e lo seduce alle movenze. In un modo di porsi figlio dell’istinto dall’alba del mondo. Saranno bastati due sassi, due bacchette di legno, qualche osso, una pelle di animale o il semplice battito delle mani o dei piedi sulla terra, attorno ad un fuoco, per una moviola nel tempo. Che, al momento attuale, si fa risalire a 30.000 anni fa. Nel paleolitico superiore. Tribù primitive in Africa, in Oceania e America del Sud praticano tuttora danze rituali simile a quelle della preistoria.
Rimangono tracce su caverne o massi, con incisioni e pitture rupestri sparse per il mondo. O minuscole statuette (Willendorf). A dimostrazione che, nonostante le differenze di razze, religioni e costumi l’essere umano ha comunque una radice comune. Parlano le rocce graffite, memoria di misteri primitivi, legati forse alle stelle, alla volta celeste, alla fertilità, alla prosperità, alla sessualità, ai cicli stagionali, alla caccia, alle piogge, a cerimonie funebri o di iniziazione … In riti che vanno dal sacro al profano. Spesso con movimenti ripetitivi o in cerchio a rappresentare l’unità e la continuità della vita.
Se si volesse fare una storia della danza non basterebbe un libro. Ci limiteremo ad esempi e citazioni, saltabeccando fra i secoli, a cominciare dalla madre di tutti i libri: la Bibbia. Dal “Cantico dei cantici” fino a un testo apocrifico di Salomone: “Che ammirate nella Sulammita durante la danza a due schiere? Come sono belli i tuoi piedi nei sandali, figlia del principe”. “Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline. Somiglia il mio diletto a un capriolo o un cerbiatto”. I verbi al gerundio in ebraico indicano la danza. Una danza saltellante, a piedi uniti. Musica e danza, nell’unione corpo-spirito, si accompagnano alla tradizione ebraica in segno di vittoria, lode, gioia, festa, trance profetica. Per sedare l’ira divina o impetrarne la grazia.
Così in “Esodo” e “Samuele”: “allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze”. Aronne, vale la pena di sottolinearlo, era fratello e voce del balbuziente Mosé. Ma sopra tutti Davide, il prescelto, il grande re citarista: “Al loro rientro, quando Davide tornava dall’uccisione del Filisteo, le donne uscirono da tutte le città di Israele incontro al re Saul, cantando e danzando con tamburelli, con grida di gioia e con strumenti musicali”. “Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Ora Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa di Israele trasportavano l’Arca del Signore con tripudi e suoni di tromba.” La danza in connubio con l’Arca, uno dei talismani più potenti e potenti della fede. Sparita e mai ritrovata.
Come dimenticare inoltre la danza di Salomè? In un “deguello” di amore e morte? Anche se la prima danza dei sette veli si attribuisce alla dea babilonese Ishtar. Dea appunto dell’amore. Discesa negli inferi per salvare lo sposo rapito dalla sorella. Dovette attraversare sette cancelli. Giungendo nuda alla meta. Provocando ancora l’ira della congiunta. Con conseguenze disastrose. Finché l’amore trionfò.
Più conosciuta la vicenda della Salomé di incredibile bellezza, protagonista del Vangelo cristiano di Marco. Erodiade, moglie di Erode Antipa, in seconde nozze contro la legge ebraica, viene indicata al pubblico ludibrio da Giovanni Battista. La donna sa che Erode è invaghito dalla ragazza. La invita a ballare. I veli sono fissati alla cintura e alla braccia. Contrariamente a quanto si crede il ballo non ha nulla di lussurioso. E’ puramente simbolico. Ogni velo rappresenta l’abbandono di un vizio.
In occasione della festa di compleanno del re Salomé danza in suo onore.I veli svaniscono ad uno ad uno. Erodiade cova la sua vendetta. Turbato dalla bellezza e dalla nudità della ragazza, dalle movenze eccitanti, Erode arriva a prometterle metà del suo regno. Soggiogata dalla madre Salomè chiede invece la testa su un piatto d’argento del Battista. Verrà accontentata. Il Battista decollato. Reminiscenze di quel ballo rimangono oggi presenti nella danza del ventre. Dove sopravvive solo l’aspetto sensuale. Curioso che nei dipinti successivi di quella lontana esibizione Salomé è ritratta col “piede monco” in avanti, il sinistro che è la parte del cuore, del sentimento. Non a caso la dama darà sempre la mano sinistra al cavaliere, il quale porgerà la destra come protezione e guida.
Solitaria al contrario è la danza dei dervisci rotanti. Una sorta di meditazione. Risale alle confraternite sufi dal XII secolo. Sono gli spirituali di un’altra religione, testimoni dell’Islam. Abbandono dell’ego, dei desideri ascoltando la musica come voce di Dio. Ricerca della perfezione, della rivelazione, della resurrezione. In un ossessivo volteggio circolare. Come una trottola. Senza vertigini. Grazie alla postura del corpo e alla concentrazione. Come pianeti attorno al sole. In una trance estatica in collegamento con Allah.
Il cappello di pelo di cammello indica l’abbandono dell’io. L’ampia e lunga gonna bianca , “tennure”, che si gonfia ne è la testimonianza. Togliersi il mantello nero è il cammino verso la verità. Le braccia incrociate l’unità con Dio. Quando si aprono la destra è rivolta al cielo. Per ricevere la benedizione. La mano sinistra è rivolta verso la terra. Per trasmettere agli astanti il dono divino. La rotazione da destra a sinistra è il segno dell’abbraccio. Comprende tutta l’umanità. Un’umanità creata con amore. Un lontano poeta della mistica persiana scriveva: “Tutti gli amori sono un ponte verso l’amore divino. Eppure chi non l’ha assaggiato non lo sa”.
Dall’Islam alla sacralità medioevale del Cristianesimo. Quando la pratica era riservata all’ambito religioso nei templi. Finché le autorità ecclesiastiche non scoprirono una lascività e il peccato sobillato da corpi voluttuosi. Non rimaneva che il sabba delle streghe o il giullare? Niente affatto. In città e nei piccoli centri si continuò a ballare, a “insanire” nel carnevale. E’ il tempo della “carola”, a catena chiusa, mano per mano in cerchio. Contrariamente alla “farandola” a catena aperta. Rompendo il cerchio iniziale. Per dare modo a nuove evoluzioni e incroci. Fino alla danza macabra esercitata pare nei pressi dei cimiteri. Un po’ come gli “zombie” nel filmato del capolavoro di Michael Jackson.
Ma è nel Rinascimento che dalla sacralità del divino ci si sposta alla sacralità del corpo. La danza diventa una prerogativa di educazione: atteggiamento nobile, compostezza, cavalleria, galanteria. I maestri di ballo sono richiesti nei palazzi nobiliari. Nascono trattati, la danza si trasforma in “arte”. In un’evoluzione che approda nel 1581, presso la corte francese del re Enrico III. Quando fu allestito il primo balletto della storia: il “Ballet comique”, una commedia. Ma bisogna andare al secolo XVII per vedere la danza approdare su di un palcoscenico. Con la nascita dei teatri pubblici. In una spinta che vede protagonista sempre in Francia, addirittura Luigi XIV, il “re sole”. Amava esibirsi negli spettacoli di corte. Interpretò il “sole nascente”. Dal quale derivò il suo soprannome.
Dal sole alle ombre, dalle corti ai bassifondi, saltando di secoli. Per un ballo popolare, peccaminoso, a lungo ostracizzato. Uno scontro uomo-donna. Improvvisazione, eleganza, passionalità. Gambe a volte come scudisci. Un abbraccio frontale, una disfida. In fondo una camminata. Durante la quale il maschio e la femmina inscenano un contrasto d’amore: il leader guida, il partner segue, la destra cinge la schiena. Con la sinistra ne tiene la mano. I visi si avvicinano, i corpi arrivano a contatto e si separano. Le movenze sono delicate e brusche. I passi a volte frenetici, come le gambe. E’ il tango, ”un pensiero triste che si balla”.
Se farete un viaggio in Argentina, a Buenos Aires, andate nel “barrio” di “Caminito”. Casette piccole e basse, colorate come un quadro. E’ il quartiere della Boca, abitato da immigrati di origine soprattutto genovese. Un museo a cielo aperto. Qua il tempo si è fermato. “Caminito, que el tiempo ha aborrado”. Dicono che si avverta un odore inconfondibile di scarpe col tacco, gonne dallo spacco vertiginoso e brillantina. E’ la culla di uno dei balli più famosi al mondo: Caminito-camminata. 150 metri sono il palcoscenico a cielo aperto del tango: un ballo diventato un simbolo nazionale.
Ci sarebbe da parlare della polka, del valzer di tante altre forme di ballo, delle danze nella sconfinata Asia, in Russia e negli angoli più riposti dei continenti. Tutti ballano. Ma veniamo ai nostri giorni. Saltiamo un’infinità di altri balli. I balli latino-americani, il twist, l’esplosione del rock, che rinasce con i Maneskin. A volte si tratta solo di mode transitorie, exploit di una stagione. Mentre con la “street dance” il ballo torna in strada. Dall’“hip hop” fino ad arrivare alla “break dance”. La pista quasi sempre è l’asfalto. Il corpo si trasforma in uno strumento di gomma. Ballerini a metà fra ginnasti e funamboli. Con virtuosismi da circo. Non c’è spazio per la coreografia. Ognuno crea la sua danza. In una esibizione egocentrica. In un ballo decisamente maschilista, che esclude, tranne casi rari, la donna. Sono giovanissimi. Fanno parte di clan, a volte di bande. Spesso coperti di tatuaggi sulla pelle. Ricordano più che il ballo o la danza in senso stretto qualcosa di primitivo. Il panorama sociale è quello che è. Stiamo tornando, così mi piace definirla, alla società tribale?
E per finire un’esperienza personale nel deserto. Per la festa di un matrimonio sotto la luna. Fra incanto, mistero e magia. E poesia.
NEL DESERTO
Squilli di vento
pettinano le dune
mentre un bambino corre
sulla sabbia ocra.
Da un seno bianco
sotto il velo nero
una giovane madre
dagli occhi di brace
allatta una creatura.
Nel rosa deserto
di un tramonto rosso
le ombre si stirano
su tappeti di rena.
Bevendo un sorso di tè
con foglie di menta
il beduino mostra
sul palmo rugato
un chicco turchese strappato
alla miniera abbandonata.
Poi, sotto una falce
di luna tagliente
iniziano le danze
per la festa di nozze.
Giovani sotto braccio in fila
con movenze d’avvoltoio
nei mantelli rabbuiati.
Di fronte sorrisi di ragazze
con piccoli passi di uccelli
nelle vesti a colori.
Si fanno incontro
poi di colpo si lasciano
in un andare ad onde,
finché una donna resta
sola nel maschio girotondo
in un richiamo d’amore.
E la musica sale
con echi di tamburo
e sonagli battenti.
Uomini e donne
fino all’alba
uomini e donne
dall’alba del tempo.