Se il cinema deve raccontare quello che siamo, è stato un festival preciso come un colpo sparato al cuore da una Colt ma se deve far sognare e provocare è stato un festival annacquato come uno spritz, bevanda ufficiale da queste parti, senza il frizzante del prosecco
Allora eccoci qua, proprio come siamo dopo due anni di pandemia. Con in mano un bicchiere a far tintinnare il ghiaccio nei bar o alle feste ritrovate al Lido per darci euforia ma ancora parecchio abbacchiati. Diciotto film in corsa per il ‘Leone d’oro’, nemmeno una commedia. Nessuno che abbia cercato di farci ridere, c’era Paolo Virzì fuori gara con ‘Siccità’ che almeno ha provato a scherzare con l’apocalisse di una Roma assetata ma l’hanno tenuto fuori che bisognava stare compunti dentro al concorso.
Tante storie di cronaca nera e giudiziaria, molte del passato, come se inventare, farsi trascinare da visioni anche un po’ allucinatorie, sia diventato blasfemo. ‘Argentina 1985’ sui due pubblici ministeri che indagarono i capi della giunta militare che ha guidato il Paese fino al 1983. ‘Il Signore delle formiche’ di Gianni Amelio sul processo a un intellettuale omosessuale degli anni ’60 accusato di aver plagiato il suo giovane compagno. ‘Saint Omer’ della senegalese Alice Diop sul caso giudiziario legato a un infanticidio. ‘All the beauty and the Bloodshed’, la battaglia di Nan Goldin per far riconoscere la responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da farmaco. Tanta fluidità di genere, una realtà al centro dell’interesse di molti autori anche in altri ambiti, vedi anche Mario Desiati vincitore dello Strega con ‘Spatriati’. Emanuele Crialese nell’Immensità’ svela il suo passato di bambina rinchiusa in un corpo mai accettato e in conferenza stampa riflette su quanto sia stato più doloroso il suo percorso di conquista dell’identità rispetto a quello dei ragazzini di ora.
Solo Paolo Virzì, fuori gara con "Siccità", ha provato a scherzare con l’apocalisse di una Roma assetata, ma l’hanno tenuto fuori
Andrea Pallaoro in ‘Monica’ indugia sulla faticosa ricerca di sé di una donna trans che torna dalla madre morente dopo una lunga assenza. Reazioni del pubblico in sala ai film? Tiepide. Gli spettatori sono attenti, tengono i telefoni spenti anche perché i controlli sono giustamente rigorosi, finita la proiezione illuminano subito gli schermi delle loro protesi digitali e se ne vanno. Nessun fischio, standing ovation una rarità. Gli applausi più convinti a ‘No Bears’ di Jafar Panahi e anche qui c’entra molto la realtà perché il regista iraniano è in carcere da luglio e nel film interpreta se stesso. I cineasti gli hanno dedicato un flash di solidarietà sul red carpet. Unico momento politico del festival, per il resto nemmeno il voto imminente scalda gli animi.
Oliver Stone col suo documentario a favore del nucleare prova a scuotere un po’ l’ambiente invocando un patto con la Russia ma non ci riesce. Gli appassionati di cinema, che sono la parte più commovente del festival, persone che si guardano anche 4 film al giorno, spendono capitali per un posto letto al Lido oppure fanno avanti e indietro sul vaporetto con Venezia, si confrontano nelle code al bagno, al bar, mentre cercano di prenotare i film col contestato sistema on line, ma sempre con la pacatezza di giocatori di bridge. C’é poi l’altro Festival, quello cafonal che sta crescendo sempre di più e si è piazzato proprio nel luogo più sacro. Il tappeto rosso, un tempo la passeggiata dei divi o almeno di artisti legati al cinema, è diventato il pascolo degli influncer e dei “morti di follower”.
Per la prima volta si è vista una proposta di matrimonio in versione fiabesca e a favore dei fotografi
Quest’anno per la prima volta si è vista anche una proposta di matrimonio in versione fiabesca: lui in ginocchio con l’anello, lei, elegantissima, a raccogliere il suo diamante a favore di fotografi. Poi tutto in pasto ai social dove si svolge una rassegna chiassosa e ben poco cinefila con sempre più proseliti che, attenzione, dopo avere espugnato il tappeto, potrebbe irrompere anche nelle sale. Stai attento festival, che l’anno prossimo sono 80.
La giuria di Venezia 79, presieduta da Julienne Moore affiancata da Mariano Cohn, Leonardo Di Costanzo, Audrey Diwan, Leila Hatami, Kazuo Ishiguro e Rodrigo Sorogoyen, ha assegnato il Leone d'Oro al documentario 'All the Beauty and the Bloodshed' di Laura Poitras, il Leone d'Argento a 'Bones and All' di Luca Guadagnino e il Premio Speciale della Giuria a Jafar Pahami per 'No Bears'. Tra gli attori hanno conquistato i riconoscimenti più importanti Colin Farrell interprete negli 'Spiriti dell'Isola' e Cate Blanchett nel film Tar mentre il Premio Mastroianni per i giovani va a Taylor Russell, protagonista in 'Bones and All'. Premio per la miglior sceneggiatura a Martin MacDonagh sempre per 'Gli Spiriti dell'Isola'. "Le decisioni - ha spiegato Moore - non sono state unanimi in nessuna categoria ma alla fine siamo soddisfatti e orgogliosi del nostro lavoro".
25 settembre 2024